Così amavano, così ameremo: la tv guardava al cinema, adesso il cinema guarda la tv, come finirà? (6)
Torno dalla Mostra del cinema di Venezia. Avrete letto i commenti. Festa. Anzi, no, mezza festa. Ricompare un Leone d’oro al cinema italiano per “Sacro Gra” di Gianfranco Rosi, e una manciata di premi toccano ad altr italiani. Sono rose che fioriranno? Non sono rose che fioriranno. Lo sanno anche i responsabili del cinema e
Torno dalla Mostra del cinema di Venezia. Avrete letto i commenti. Festa. Anzi, no, mezza festa. Ricompare un Leone d’oro al cinema italiano per “Sacro Gra” di Gianfranco Rosi, e una manciata di premi toccano ad altr italiani. Sono rose che fioriranno?
Non sono rose che fioriranno. Lo sanno anche i responsabili del cinema e della tv, sempre più a braccetto. Lo sanno e con giri di parole lo hanno dichiarato ai giornali. Sono tutti smarriti e non sanno a chi domandare consigli.
Per troppi anni-mi riferisco all’Italia- la situazione è stata compromessa da intrecci insensati sui rapporti cinema-tv (abbandonati all’inerzia) e sulle produzioni (reclamare soltanto soldi dello stato, già, per fare cosa?).
Infine, si fa per dire, confusione incredibile tra i critici, gli addetti ai lavori: ognuno parla per sè e sente il rispettivo referente politico. Una banda di matti, matti consapevoli e facce di bronzo (tutto va ben, tutto va come vuole madama la marchesa dell’incompetenza radicata).
Poi ci sono le scoperte, alla fine della Mostra. Giornalisti e critici, autori (tra cui Carlo Verdone) lamentano pro o contro la tendenza della rassegna veneziana: famiglie distrutte, assassini a piede libero, violenze, disgrazie, atrocità, miserie, stupri plurimi, sodoma, gomorra, camorra, cinema che gioca alla morra col male.
Beata incoscienza e dimenticanza.
Le mode per fare spettacolo con lo scandalismo, figlio di una realtà “reale”ma enfatizzata a scopi commmerciali e di share in tv, sono vecchie come il cucco. Le racconto nel mio libro “Così amavano (così ameremo?)”.
Nel lontano 1957 venne trasmesso dalla Rai lo sceneggiato, li chiamavano “scemeggiati”, “Il romanzo di un giovane povero”, tratto dal romanzo di Feuillet. Fu scandalo,neanche tanto piccolo, per un bacio. Gli attori Lea Padovani e Paolo Carlini furono richiamati e biasimati pe un bacio sulla bocca, il primo (!) nella storia della televisione italiana (senza contare i baci del vecchio e caro cinema), ripreso in maniera troppo ravvicinata, piuttosto che visto dalla nuca dei bacianti, nello stile degli sceneggiati da salotto e da baracca.
La posta in gioco in quegli anni era la conquista del pubblico, il pubblico di massa. Al prezzo di un abbonamento alla portata di tutte le tasche il piccolo schermo garantiva racconti prestigiosi, autori classici, creando un divismo spesso molto efficace.
La famiglia era in primissimo piano, destino incrollabile in cui la famiglia era il baricentro semza crisi irrisolvibili, tutelata da censure abili, sfiziose (allusioni),capaci di rimandare a sesso promettente carico di peccato. Sesso depurato e lasciato alla fantasia perchè si scatenasse. Fu l’ultimo babyboom. L’Italia un paese di televisori e culle.
La si chiamò televisione pedagogica. Ebbe un successo vero ma venne messa sotto accusa dai giornali che le rimproveravano ambiguità e eccessiva tendenza al sentimentalismo. E invece quella tv era un bomba ad orologeria di passioni e di violenze in nome del sesso come possesso.
In realtà, il successo era dovuto in parte ai messaggi subliminali ma derivava soprattutto dalla qualità generale delle opere, capolavori della grande letteratura del passato: personaggi affascinanti coinvolti in conflitti drammatici, tensioni profonde, in cui affettim sentimenti, odi e colpe si intrecciavano nella scommessa degli amori, pescando nel passato e guardando con emozione al futuro.
Un nome resta indissolubilmente legato al mondo degli sceneggiati tv, Anton Giulio Majano, lupo di mare di Cinecittà. Aveva cominciato a lavorare come sceneggiature prima della guerra; cimentandosi in seguito anche nella regia, realizzò dodici film in poco più di dieci anni. Poi passò alla tv, fin dal periodo sperimentale, a Milano una vera fede nel nuovo strumento.
Sintetizzò una sorta di manifesto programmatico, che fissava le caratteristiche della sua ricetta preferita.
Innanzitutto, una storia che si articola in puntate; ma una storia univoca, compatta. Che quasi mai si ispira alla realtà concreta, quella attuale. Ogni puntata deve avere un tema forte che deve servire da gancio, e non deve durare più di un’ora e un quarto compresi i titoli. Il pubblico ad ogni puntata deve avere la sensazione di trovars di fronte a “un pranzo completo” (6-segue)