Cinque giornalisti, cinque vite minacciate dalla Mafia: racconta questo Cose Nostre, in onda ogni sabato alle 23.40 su Rai 1 da stasera, 9 gennaio 2016. Un ciclo di cinque documentari per portare in tv le storie difficili di uomini e donne che hanno anteposto la propria professione all’interesse personale e alla paura, scrivendo di Mafia, corruzione e rapporti illeciti tra ‘mondi di sopra e di sotto’.
Spesso i riflettori insistono sui soliti noti, mettendo da parte personaggi meno televisivi, meno famosi, meno fashion e nascondendo così la quotidianità di chi non ha avuto – e non ha – paura di mettere nero su bianco storie scomode e verità ‘note a tutti’, ma da nessuno denunciate. Non solo vite blindate, ma soprattutto vite minacciate da attentati, aggressioni, lettere minatorie, pallottole spedite in redazione, incursioni nella vita privata. Tutti modi per ‘chiudere il becco’ a chi in tv, sulla stampa quotidiana o sul web, continua a denunciare nomi, cose e fatti, prima di arrivare all’omicidio. La Commissione Parlamentare Antimafia ha certificato oltre 2000 episodi di intimidazione ai danni di giornalisti italiani solo tra il 2006 e il 2014, mentre sono almeno 9 i redattori uccisi dalle Mafie nel nostro Paese, tra casi accertati e omicidi ancora senza colpevoli ( e ricordiamo Giuseppe Alfano, Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giuseppe Fava, Mario Francese, Peppino Impastato, Mauro Rostagno, Giancarlo Siani, Giovanni Spampinato, a cui si potrebbero aggiungere Carlo Casalegno e Water Tobagi, vittime degli Anni di Piombo).
Protagonisti di queste 5 puntate – firmate da Emilia Brandi, Giovanna Ciorciolini, Tommaso Franchini e scritte con Danilo Chirico, Francesco Giulioli, Giovanna Serpico per la regia di Andrea Doretti – sono Arnaldo Capezzuto, ora blogger de ilfattoquotidiano.it, Michele Albanese de Il Quotidiano del Sud, Amalia De Simone, giornalista di Corriere.it, Pino Maniaci, direttore di Telejato e Giovanni Tizian, giornalista de l’Espresso.
Si parte da Arnaldo Capezzuto, che racconterà Napoli attraverso gli occhi di chi vive sotto lo sguardo ‘attento’ della Camorra e di cui ripercorre la storia: dal regno del clan Giuliano a Forcella, che ha denunciato e di cui ha fatto condannare alcuni esponenti, all’omicidio di Annalisa Durante, la 14enne uccisa per errore nel 2004, per arrivare alle ‘paranze’ dei giovanissimi e alla lotta per il controllo delle piazze di spaccio della città. Dagli esordi come cronista con i primi articoli per “La verità” ai pezzi scritti per i quotidiani Napolipiù ed E-Polis Napoli, fino all’esperienza come blogger del Fatto Quotidiano, Capezzuto si racconterà alle telecamere e racconterà il suo mestiere tra i vicoli di una città difficile e contraddittoria.
Cose Nostre | Le Puntate e i Protagonisti
Vediamo anche le sinossi delle prossime puntate, in onda sempre il sabato sera alle 23.25 su Rai 1.
Michele Albanese, sotto scorta per la ‘Ndrangheta
(in onda il 16 gennaio 2016)
Vivere sotto scorta per avere fatto con onestà e rigore il proprio lavoro. Può accadere nella Calabria di oggi se come giornalista ti occupi degli affari delle cosche della ‘Ndrangheta. Ed è quanto è accaduto a Michele Albanese, cronista del Quotidiano del Sud e collaboratore dell’agenzia Ansa, di recente insignito con il premio “Borsellino”, come anche Capezzuto.
Ripercorrendo alcune delle inchieste più importanti condotte negli ultimi anni da Albanese, Cose nostre rivolgerà lo sguardo su una delle zone a più alta densità mafiosa d’Italia: la Piana di Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria. Grazie anche ad alcune importanti testimonianze, come quella del procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho, Cose nostre racconterà il potere militare ed economico delle cosche, si occuperà di alcuni tra i più efferati fatti di sangue tra cui l’omicidio del piccolo Cocò Campolongo, ricostruirà il ruolo della ‘ndrangheta nelle attività del porto di Gioia Tauro, crocevia di affari milionari per i clan. Seguendo il lavoro di Michele Albanese, “Cose nostre” farà anche un focus sul rapporto tra religione e mafie: dalla storica visita in Calabria di Papa Francesco nel giugno 2014 con la scomunica pubblica per i boss fino alla vicenda contestata dell’inchino della Madonna che sarebbe avvenuto nel luglio 2014 davanti all’abitazione di un boss della ‘ndrangheta a Oppido Mamertina (Reggio Calabria) durante la processione.
Amalia De Simone, cronache dalla Terra dei Fuochi
(in onda il 23 gennaio 2016)
I reportage sulla terra dei fuochi in Campania e il lavoro serrato sul clan dei Casalesi che da Casal di Principe è partito alla conquista di tutta Europa. La scoperta dei rapporti oscuri tra clan, politica ed economia e le denunce sul mercato della droga della camorra. L’impegno come direttrice di Radio Siani, l’emittente anticamorra di Ercolano, e i documentari Rai per “La storia siamo noi” e “Crash”, fino al lavoro di videoreporter d’inchiesta per Corriere.it che – dalla Campania – l’ha portata a occuparsi anche di terrorismo internazionale.
Sarà la giornalista e videomaker Amalia De Simone, che s’è aggiudicata per ben tre volte dei riconoscimenti legati al premio Cronista dell’anno e che nel 2014 ha vinto il prestigioso premio “Maria Grazia Cutuli”, la protagonista della terza puntata di “Cose nostre”.
“Cose nostre”, attraverso il punto di vista di Amalia De Simone, accenderà i riflettori su alcune delle vicende più oscure del Mezzogiorno. Ricostruirà gli affari della camorra e il malaffare che si annida dentro lo Stato. Racconterà inoltre la storia dei villaggi turistici abbandonati di Castel Volturno (Caserta), simbolo dello sviluppo mancato della Campania e divenuti luogo di degrado, povertà e criminalità. È in quel pezzo d’Italia infatti che vivono i cosiddetti invisibili, gli immigrati irregolari in cerca di un tetto e di un lavoro. Ed è proprio sul litorale Domizio che ha messo le sue basi la mafia nigeriana che – nel silenzio dei media – traffica droga e gestisce il mercato della prostituzione ed è riuscita a costruire importanti collaborazioni con la camorra e persino alcune organizzazioni terroristiche internazionali come l’Isis e Boko Haram.
Nel corso della puntata, “Cose nostre” ricostruirà inoltre la storia drammatica della strage di San Gennaro avvenuta proprio a Castel Volturno la sera del 18 settembre 2008: un commando di uomini del clan dei Casalesi organizzò un blitz e sparando all’impazzata uccise sei migranti. Un fatto gravissimo, che conquistò le prime pagine di tutti i giornali e varcò i confini nazionali, a cui la comunità straniera di Castel Volturno rispose il giorno successivo con una rivolta.
Pino Maniaci, una tv contro la Mafia
(in onda il 30 gennaio 2016)
Una piccola televisione locale, Telejato, e il suo direttore, Pino Maniaci, che rappresentano una insopportabile spina nel fianco per la mafia siciliana sono i protagonisti della quarta puntata di Cose nostre. Una storia che viene dalla lunga tradizione del giornalismo antimafia isolano, dai Siciliani di Pippo Fava a Radio Aut di Peppino Impastato.
Pino Maniaci, dal 1999 alla guida dell’emittente comunitaria con sede a Partinico nel cuore della Sicilia, a causa delle sue denunce ha subito decine di intimidazioni: gli uomini dei clan lo hanno minacciato e malmenato, gli hanno più volte incendiato l’automobile e il ripetitore della televisione, hanno impiccato platealmente i suoi cani. Azioni pressanti e costanti che non hanno tuttavia impedito al funambolico giornalista siciliano di continuare a fare il suo lavoro con coraggio. E di costruire un nuovo modo di fare informazione antimafia, un modello e un punto di riferimento per giornalisti di tutto il mondo che vogliono raccontare la Sicilia e gli affari e le attività della mafia, numerosi percorsi di formazione per i giovani di tutta Italia.
Attraverso gli occhi e le passioni di Maniaci, “Cose nostre” racconterà i boss siciliani, da Totò Riina a Matteo Messina Denaro, l’azione della magistratura e le attività dei clan di Cosa nostra, il rapporto perverso tra mafia e politica, la battaglie territoriali di Telejato – da quella contro la distilleria di Partinico fino a quella per la demolizione delle stalle divenute il quartier generale del clan Vitale – fino alle denunce delle falle del sistema dell’antimafia siciliana (come nel cosiddetto caso Saguto).
Giovanni Tizian, da vittima della ‘Ndrangheta a reporter dei legami tra Mafie, politici e imprenditori
(in onda il 6 febbraio 2016)
Il giornalista dell’Espresso Giovanni Tizian è il protagonista dell’ultima puntata di Cose nostre. La storia di Tizian, vincitore tra l’altro dei premi Biagio Agnes ed Enzo Biagi nel 2012, nasce in Calabria, a Bovalino, un piccolo centro della Locride. E lì ha inizio il racconto di “Cose nostre”, dalla ‘Ndrangheta degli anni Ottanta, quella dei sequestri di persona, della guerra tra clan che provocò nella sola provincia di Reggio Calabria oltre 700 morti. Ma soprattutto quella che incendiò l’azienda di famiglia di Tizian, che non voleva cedere al racket, e uccise suo padre Giuseppe, integerrimo funzionario di banca, il 23 ottobre 1989. Fatti che ancora oggi non hanno un colpevole.
Il racconto di Cose nostre prosegue in Emilia Romagna, a Modena, dove la famiglia decide di trasferirsi e dove Tizian inizia la sua attività di giornalista alla Gazzetta di Modena. Un lavoro da cronista che lo porta ben presto a scoprire che le mafie si sono radicate da tempo anche al nord e che lo vedono denunciare gli affari dei clan. “Cose nostre” ripercorrerà le denunce sempre più stringenti – e spesso in solitudine – di Tizian sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta e della camorra nel sistema economico e politico emiliano e racconterà come oggi i clan condizionano l’edilizia e il commercio, il turismo e hanno affari milionari nel gioco d’azzardo, hanno relazioni con il mondo politico e con le classi dirigenti del nord del nostro Paese.
E “Cose nostre” ricostruirà anche le minacce di morte subite da Tizian per il suo lavoro sul gioco d’azzardo, l’inizio della vita sotto scorta del dicembre 2011, il lavoro per il settimanale l’Espresso. Minacce, intimidazioni e tentativi di condizionamento che sono finiti anche nelle aule di tribunale nel processo Black Monkey tuttora in corso a Bologna. Fatti che, grazie al coraggio del giornalista calabrese e al sostegno delle associazioni antimafia, non impediscono a Tizian di continuare a svolgere il suo lavoro.