Venticinque anni senza Corrado. Il conduttore che era voce, ma soprattutto volto
Corrado moriva l’8 giugno 1999. Sorriso sornione e sguardo che sapeva comunicare più di mille parole. A tal punto che La Corrida, la sua Corrida, si identificò soprattutto nei suoi primissimi piani, in occasione di esibizioni surreali e bizzarre
Avrebbe meritato un omaggio. Gesto che, tra l’altro, sarebbe stato facilitato da un periodo dell’anno in cui la televisione è già in ferie, o quasi.
Corrado Mantoni moriva l’8 giugno 1999, dopo mesi di riserbo ed un silenzio che era partito sei mesi prima, con l’ultimissima apparizione concessa a Raffaella Carrà, durante una indimenticabile puntata di Carramba.
Vicini per l’ultima volta, davanti alle telecamere. Come fosse un segnale, un testamento. Insieme, infatti, diedero vita ad una delle coppie professionali più armoniose e affiatate della storia della tv. Nonostante l’ampio divario di età, tra i due si instaurò una chimica immediata, frutto di complicità, affetto e stima professionale.
“Mi ha insegnato a prendermi in giro“, confidò una volta Raffaella. E la devozione per quel signore romano, tanto popolare da essere chiamato solo per nome (Totò lo aveva ribattezzato ‘lo scognomato’), si manifestò plasticamente nel 1991, a Fantastico. “Il mio amato Corrado”, gridò la conduttrice annunciando il suo ingresso in studio, prima di esplodere in un pianto liberatorio seguito da un abbraccio sincero ed interminabile.
Nel giorno della scomparsa, venticinque anni fa, la Carrà prese carta e penna: “Se oggi sono generosa con i miei compagni di lavoro, se uso l’ironia e l’autoironia, se sono vicina alla gente, se non ho paura di essere positiva, se mi faccio rispettare quando serve, se so sentirmi utile come autore tv, se non ho timore di mostrare i miei sentimenti, ma con riserbo, lo devo anche a te”.
Corrado era voce (da speaker radiofonico comunicò agli italiani la fine della seconda guerra mondiale), ma soprattutto volto. Sorriso sornione e sguardo che sapeva comunicare più di mille parole. A tal punto che La Corrida, la sua Corrida, si identificò soprattutto nei suoi primissimi piani, in occasione di esibizioni surreali e bizzarre.
I siparietti con il maestro Roberto Pregadio erano commedia pura. Eppure i concorrenti, spesso strampalati, non venivano mai ridicolizzati. Bastava un segnale di Corrado e tutti si ricomponevano, mettendo da parte campanacci e pentole utilizzate con foga fino ad un secondo prima.
I dilettanti allo sbaraglio furono la sua intuizione più geniale, trasferiti dalla radio alla televisione alla metà degli anni ottanta. Gli ascolti, eccellenti, fecero sì che venissero realizzate ben dieci edizioni, utili a confermare un successo spesso snobbato e disdegnato dalla critica, a dimostrazione del fatto che ogni epoca rimpiange la precedente, nella perenne condanna del presente. E Corrado, nella serata del commiato, a quelle stroncature volle rispondere, senza comunque rinunciare al suo inarrivabile garbo: “Vi giuro, ho un po’ le tasche piene di udire la peggiore delle offese che alla Corrida fanno la domanda soprattutto gli scemi del paese. È gente che si vuole divertire. Hanno una dote che non è pazzia e ce l’hanno in pochi: si chiama autoironia”.
La Corrida terminò quel 21 dicembre 1997 e lui, che di televisione ne aveva masticata a quintali, era consapevole che quella trasmissione avrebbe avuto eredi e mille scopiazzature: “Qualcuno, e questa è ormai un’istituzione, tra un poco ne farà un’imitazione. Pazienza, io mi sono divertito per tanti anni ed è arrivato il tempo di dare il mio commosso benservito, ma chi lo sa se poi non me ne pento”.
Di gente alla ricerca di un istante di celebrità, successivamente, ne avremmo trovata a bizzeffe. Una pratica che nell’era dei social si sarebbe imbattuta in una crescita esponenziale e che, come la storia recente ha dimostrato, avrebbe divorato tutto, a partire dal gusto per lo stupore.
Di Corrado ci resta dunque il ricordo. Dolce, affettuoso, nostalgico. Perché il pubblico, a differenza di altri, non se l’è mai scordato.