Parole, parole, parole, rafforzate dal senno del poi. Soluzioni a portata di mano, quasi scontate, tanto da pensare a quanto si possa essere stati stolti a non applicarle nell’immediato. I dibattiti televisivi sul coronavirus ci stanno insegnando che tutti avevano capito tutto, con una puntualità che manco un orologio svizzero.
Prendete Atalanta-Valencia, partita da sogno per i tifosi bergamaschi, ma allo stesso tempo divenuta una sorta di bomba del contagio a detta di chi sostiene che sarebbe bastato disputarla a porte chiuse per arginare – se non eliminare – ogni problema.
Inutile sottolineare come il match di Champions League del 19 febbraio fosse in programma ben due giorni prima che in Italia venissero registrati i primi casi ‘casalinghi’ e il primo decesso. Bisognava agire, prendere provvedimenti, afferrare il toro per le corna. Ok, ma in quale contesto?
Presto detto. La televisione in tal senso è un preziosissimo archivio. Basta infatti riavvolgere il nastro e tornare a quei giorni per rendersi conto che il tema del contagio era del tutto marginale, se non addirittura assente.
Cominciamo da Quarta Repubblica di lunedì 17 febbraio. Alla data dell’”impatto” mancano quattro giorni e l’apertura del talk di Nicola Porro è tutta per la politica. Sono i giorni dell’alta tensione tra Renzi e Conte e della crisi di governo minacciata da Italia Viva. A tenere banco poi la storia dei decreti sicurezza, dell’immigrazione e del processo a Salvini. Il covid è in scaletta, ma viene circoscritto al continente asiatico. I casi nel mondo sono 71 mila, quasi tutti registrati in Cina. In studio si minimizza: “I morti sono meno di quelli per morbillo”, sussurra Maria Giovanna Maglie. L’unico a fotografare esattamente lo scenario futuro è Alessandro Meluzzi: “Il coronavirus sopravvive sulle superfici, è trasmissibile tra gli asintomatici, tanto da rendere la misurazione della temperatura corporea inutile. La pandemia inesorabilmente arriverà e Paesi come l’Italia saranno fottuti”. Olé.
Il 18 febbraio è il turno di Cartabianca, con la Berlinguer che intervista il ministro Roberto Gualtieri. Attenzione all’inganno: si affronta sì la questione economica legata al virus, analizzando tuttavia le possibili ripercussioni sull’Italia della crisi cinese. “Ad oggi non ci sono elementi di un impatto concreto immediato. E’ assolutamente prematuro, parliamo di una zona limitata, siamo fiduciosi sull’attività delle autorità sanitarie cinesi”. Ad allarmare Gualtieri è piuttosto il testimone lasciato dal precedente esecutivo gialloverde: “Il problema non è l’impatto del virus, ma come affrontare l’eredità di un anno in cui il Paese si è fermato”.
Contemporaneamente, a Di Martedì ad accennare al coronavirus è soltanto Enrico Letta all’interno di un lungo intervento incentrato soprattutto sul tema dell’immigrazione. A seguire spazio a Travaglio, Scalfari, Fornero, Cottarelli, Calenda, Senaldi, Damilano per una puntata incentrata su Conte-Renzi, pensioni, vitalizi e i regali di San Valentino.
Arriviamo a giovedì 20 febbraio, ultimo giorno di normalità. Alle 8 ad Agorà dominano sempre Conte e Renzi e le polemiche sulla prescrizione. Il virus è ancora un fatto esclusivamente orientale e Serena Bortone si confronta con l’ambasciatore cinese proponendo filmati sul distanziamento pescati dalla rete, commentati con lo stupore di chi mai avrebbe immaginato di doverci convivere di lì a poco.
Non cambia lo spartito nel pomeriggio a Tagadà: c’è Renzi che minaccia di sfrattare Conte da Palazzo Chigi, ci sono le ‘sardine’ che rifiutano di appoggiare De Luca alle future elezioni regionali in Campania e c’è il coronavirus, confinato però all’interno delle navi in cui ci sono turisti italiani da andare a recuperare con voli speciali. Per l’occasione viene mostrata la mappa del contagio, con i bollini rossi tutti spostati ad est e l’Italia nemmeno segnata sulla cartina. Il sogno prima dell’incubo.
Si arriva a sera e l’emergenza sanitaria non trova alcuno spazio all’interno di Piazzapulita che invita Giorgia Meloni e discute di xenofobia e blocchi navali. Sì, c’è il viceministro della salute Pierpaolo Sileri, ma per parlare di disturbi alimentari. Su Rete 4, invece, focus su ‘sardine’, immigrazione, decreti sicurezza, rom e fascismo. “Giusto dare la cittadinanza onoraria a Mussolini nel 2020?”, ci si domanda. Il virus è in scaletta e Del Debbio si collega con la Notte delle Bacchette di Milano, organizzata per solidarizzare con la comunità cinese. “Una bacchettata contro la psicosi, un segnale a non avere paura”, dichiarano i promotori.
A notte fonda escono le prime agenzie e Codogno diventa il centro del mondo. Eppure, il mattino dopo a L’Aria che tira l’argomento viene introdotto dopo un’ora di trasmissione. Fabrizio Pregliasco prova a rassicurare tutti: “Ce lo aspettavamo, in Cina non hanno risposto in maniera tempestiva, qui siamo a tre casi. A mio avviso riusciremo a contenere questi numeri”. Gli risponde Myrta Merlino: “In Cina hanno messo in quarantena milioni di persone, ma la Cina è la Cina. Faccio fatica a pensare che in Italia si possano bloccare centinaia di migliaia di persone chiuse in casa”. Come no.
Opinioni e pareri pronunciati tra gli applausi del pubblico che allora ancora invadevano gli studi televisivi. Il primo programma a svuotare la platea sarebbe stato – domenica 23 febbraio alle 19.40 – Che tempo che fa, in seguito alle misure precauzionali prese dalla Rai. Limitazioni rivolte alla Lombardia, che all’inizio marzo avrebbero coinvolto anche gli studi tv del resto d’Italia.
Da ricordare, oltretutto, che nella settimana successiva – il 27 febbraio – Milano avrebbe lanciato l’iniziativa #milanononsiferma, promossa dal sindaco Sala col supporto di qualche volto televisivo.
Ma la colpa, ovviamente, è di chi non ha fermato Atalanta-Valencia.