Coronavirus: Francesco Giorgino sta bene ed è pronto al rientro, intanto parla di Platone
Il conduttore del Tg1 sta bene ed è pronto al rientro in Rai
Mentre questa settimana l’edizione del Tg1 delle ore 20 è condotta da Emma D’Aquino e la prossima ci sarà Laura Chimenti, per la settimana successiva è previsto il turno di Francesco Giorgino, che in questi giorni è stato protagonista di un riposo forzato cautelativo avendo avuto ospite nello Speciale Tg1 da lui condotto il vice ministro della salute Pierpaolo Sileri, risultato positivo al Coronavirus.
Secondo quanto apprende TvBlog Giorgino sta benissimo ed ha avuto già l’ok da parte dell’Asl di competenza per il suo ritorno al lavoro in Rai che, a quanto ci risulta, dovrebbe avvenire nelle prossime ore. A questo proposito, sempre secondo quanto apprendiamo, dovrebbe arrivare a breve una comunicazione ufficiale da parte dell’azienda radiotelevisiva pubblica. Giorgino dunque non è in quarantena. La Rai gli aveva chiesto di restare a casa il tempo necessario per chiedere all’Asl una valutazione. Valutazione che, come per Serena Bortone conduttrice di Agorà, è stata favorevole al rientro immediato in azienda. Vi aggiorneremo sugli sviluppi nelle prossime ore.
Nel frattempo il mezzobusto del Tg1 si è dedicato a Platone in un pezzo pubblicato oggi dalla “Gazzetta del mezzogiorno“. Un articolo in cui parla dell’emergenza Coronavirus che stiamo vivendo in questo periodo e di come le situazioni di questi giorni ci possano in qualche modo cambiare per sempre.
Il virus del buon esempio
di Francesco Giorgino
Desiderio, emozione, conoscenza. Platone aveva fissato in questi tre elementi l’origine del comportamento umano. Il desiderio di ottenere qualcosa, che rappresenta l’anticamera della motivazione a compiere gesti ed azioni quotidiane per perseguire obiettivi specifici. L’emozione di essere e di apparire umani anche quando tutto intorno a noi sembra essere condizionato dal primato della razionalità. La conoscenza come presupposto della consapevolezza dei rischi e dei pericoli, ma anche delle opportunità e delle occasioni di riscatto personale e sociale. Davanti all’emergenza da coronavirus quali sono stati e quali sono i nostri desideri, le nostre emozioni, le nostre conoscenze? A livello conscio ed inconscio il desiderio più grande (di tutti e di ognuno) è che questa pagina, drammatica e tragica al tempo stesso, venga archiviata al più presto e che si contengano al massimo i danni alla salute, all’economia, le restrizioni alle libertà fondamentali, alla relazionalità sociale.
Che si riesca a trasformare un momento di smarrimento collettivo in un’occasione di rinascita, lavorando giorno dopo giorno, comportamento dopo comportamento, alla costruzione sì di una soluzione definitiva a questo problema enorme, ma anche alla definizione di un nuovo modello antropologico. E’ probabile che quando la lotta al Covid-19 verrà archiviata, speriamo presto e con esito positivo, non sia solo la politica, l’economia, la cultura, ma anche il nostro modo di comportarci a cambiare per sempre. In queste ore ci stiamo rendendo conto di cosa significhi la fragilità della specie umana. Stiamo verificando sulla nostra pelle cosa significhi convivere con limiti, costrizioni, minacce alla nostra incolumità fisica, con il cambio radicale di abitudini, con l’imprevedibilità, con l’assenza di un orizzonte temporale in cui immaginare la fine di questa emergenza italiana, europea, internazionale che non aveva avuto finora diritto di cittadinanza nemmeno negli spazi più reconditi della nostra immaginazione. Siamo tutti più deboli e al tempo stesso più forti, perché il desiderio del ritorno alla normalità passa attraverso il coinvolgimento emotivo e la conoscenza, ovvero la paura. E ci unisce nonostante la distanza fisica.
Il diffondersi degli hastag #iorestoacasa oppure #andràtuttobene è la riprova della triangolazione desiderio-emozione-conoscenza. Una triangolazione che genera partecipazione collettiva, che riattiva il senso di comunità e rigenera l’identità nazionale. E’ il contagio del buon esempio. Dove non poté la prescrizione (e all’inizio non poté) ha potuto il comportamento. Sì, il comportamento per emulazione. Se lo fanno gli altri, lo faccio anche io. Se gli altri sopportano tutti questi disagi, li posso sopportare anche io. Senza troppo protestare. E’ una vecchia questione filosofica quella che qui stiamo affrontando. Da sempre si dibatte sulla necessità di svincolare la riproduzione della condotta etica dal solo meccanismo delle prescrizioni normative. La segnalazione di sanzioni giuridiche a fronte di comportamenti sbagliati o in violazione alla legge è certamente uno strumento necessario per ottenere determinati risultati, ma lo è ancor di più la forza del convincimento che quello che si sta facendo è la cosa più giusta per sé e per gli altri. La filosofia, basti rileggere Spinoza, ci spiega che il desiderio (che qualcosa avvenga o che non avvenga), in quanto “essenza della vita”, si sviluppa in due direzioni, una più attiva e l’altra più passiva. La prima: non affidarsi al destino ed entrare nella dimensione pragmatica delle cose per affrontarle, gestirle, governarle. La seconda: avvertire la mancanza di qualcosa che non possiamo riavere in nessun modo, trovandoci esclusivamente nella situazione di dover subire.
Le due prospettive sono governate, proprio come sta avvenendo in questi giorni, dalla capacità di tenere in equilibrio emozione e ragione, sensazione e conoscenza. Del resto, il modello platonico-socratico puntava a questo. Il concetto di resilienza, particolarmente evidente in questo frangente della storia del mondo e dell’umanità, si inserisce con forza nelle intercapedini di questo ragionamento. Andare avanti senza arrendersi, nonostante le difficoltà. Anzi, a maggior ragione con le difficoltà. Farlo con o senza ottimismo. Farlo con l’obiettivo di gestire i processi trasformativi in atto, a livello sociale, culturale e appunto antropologico. Quando tutto sarà finito, cambierà la nostra percezione del tempo e dello spazio. Le ore, i minuti che stiamo contando prima dell’arrivo della buona notizia (la regressione del morbo) stanno dando al tempo un altro valore, un’altra dimensione. Stanno mettendo tutti noi nella condizione di capire in che cosa consista l’attesa. Saper attendere. Poter attendere. Dover attendere.
L’ideologia della globalizzazione, indicata dalla cultura post-marxista e progressista come la miglior soluzione possibile per il nostro futuro, è minata nelle sue basi da un’elevata dose di scetticismo esperienziale nutrita dalle tante paure della società postmoderna. Uno scettiscismo che sviluppa una domanda di protezione e di sicurezza all’interno dei confini nazionali