Conversazione con Irene Ghergo: “L’autore tv oggi? Alla ricerca dell’ospite. Con Boncompagni ridevamo anche dei flop. A Uomini e donne riscopro la mia Lollipop”
La storica autrice tv si racconta all’indomani del suo debutto da conduttrice su Rai5.
Amici miei – Irene Ghergo e i Vanzina
Continua il format delle conversazioni su TvBlog. Stanchi di fare interviste promozionali, in cui rischiavamo di trovarci ad ascoltare passivamente l’interlocutore, ora farlo all’indomani di un programma già andato in onda, per discuterne direttamente con l’interessato, è sicuramente più stimolante.
In fondo è quello che è successo all’autrice Irene Ghergo ieri sera su Rai5, in cui ha debuttato come conduttrice. La puntata di Amici miei, ciclo di documenti su personaggi dello spettacolo, aveva come protagonisti i fratelli Vanzina, spesso vittime di pregiudizi: “Loro hanno tentato di uscire dal genere, ma la cosa non è riuscita dal punto di vista del box office. Però sono intelligenti, hanno un vissuto che è degno di nota. C’è tutto un mondo dei Vanzina che il largo pubblico, forse, non conosceva”. Non a caso, per una volta che non erano in promozione, hanno potuto svelare alla Ghergo tanti aneddoti sulla loro storia artistica, anche se decisamente per pochi eletti.
La crisi dello spettacolo oggi è il banale pretesto da cui è partita la nostra chiacchierata. Senza toni esageratamente nostalgici, e con il realismo di una che si sente “fortunata”, la Ghergo dimostra di poter continuare a fare questo mestiere. Seriamente, ma all’occorrenza ridendoci sopra. Perché no, anche dei flop, perché per lei gli autori “mica scoprono il vaccino dell’AIDS”. Leggerete delle risposte spesso secche ma esaustive, senza formalismi né snobismi. Perdonatemi il tu a una signora, ma lei mi ha chiesto espressamente di darcelo al telefono.
Ieri dicevi ai Vanzina quello che a sua volta ti dice sempre Maurizio Costanzo: ‘E ora con chi mi confronto, dopo che mi sono confrontato con Gassman e Mastroianni?’. Tu ora con chi ti confronti?
«Domanda bella difficile, per una viziata come me. Vent’anni con Boncompagni, dieci con Chiambretti, tutti ideatori assoluti. Invece collaborare con un programma-format è tutto un’altra storia. D’altra parte la televisione è diventata così, che vogliamo fare?».
Tu, allora, ha fatto Kalispéra, per entrambe le edizioni. Perché la seconda non ha funzionato? Forse non intercettava il momento storico?
«Non credo. Semplicemente la prima fortunata serie di Kalispéra era in seconda serata. Purtroppo quest’anno siamo andati in prima serata per una scelta dell’ultimo minuto. Ed è sempre difficile portare un programma di seconda serata in prima. Secondo me ha pesato proprio il fatto che fosse rimasto uguale, anche nella scenografia. Non è da prima serata».
Quest’anno non ti abbiamo vista in video, però.
«Quella cosa dei provini che avevamo fatto, con il pretesto di trovare delle ragazzotte, quest’anno non era richiesta».
Perché hai scelto di lavorare con un personaggio così contemporaneo come Alfonso Signorini?
«Io e lui abbiamo un rapporto speciale, perché quella che l’ha fatto debuttare televisivamente sono io al Chiambretti c’è».
Per il resto ti vediamo su Rai5 perché è l’ultima occasione rimasta per sperimentare? Ora persino la seconda serata è scomparsa…
«Sì, è sicuramente un’opportunità alternativa alla generalista, ma sappiamo bene che è un pubblico di stranicchia. Tutti ci auguriamo che un certo tipo di prodotti porti più consensi, anche se non è ancora così. Io avevo già esperienza con i canali digitali. Ho cominciato con due programmi su Raisat Extra: Bau, perché abbaiava contro la televisione generalista, e Flop, nel quale intervistavo tutti i maggiori personaggi televisivi che parlavano dei loro flop, con una rubrica di Max Novaresi. Perché ricordiamo che in tv ci sono anche i flop, eh».
L’argomento l’hai tirato fuori tu, quindi neanche suona come una cattiveria del sottoscritto. Non hai problemi, quindi, nel parlare anche dei tuoi?
«Beh, Crociera è rimasto storico. Dopo la prima puntata, dove già si intravedeva il baratro, quando la mattina dopo ho visto gli ascolti che erano un 9%, una cosa per allora disastrosa, io ho chiamato Boncompagni e gli ho detto: ‘Gianni, guarda che qui è un disastro’. Lui: ‘Ah, bene, perché un grande flop è come un grande successo’».
Il vostro Non è la Rai, se non erro, pur diventando fenomeno di costume non ha mai fatto sfracelli. Anzi talvolta era anche in affanno.
«Assolutamente. Ma, nel caso di Non è la Rai, c’era un tale riscontro pubblicitario ed eravamo talmente ambiti da quel punto di vista che l’azienda se ne fregava degli ascolti. E’ un programma che ancora oggi va in onda dopo vent’anni su Mediaset Extra e non è invecchiato».
Tu ti occupavi soprattutto dell’immagine delle ragazze, vero?
«In realtà lavoravo su tutto perché è un programma che ho costruito insieme a Boncompagni. L’immagine certamente l’ho stravolta. Allora esistevano solo soubrette con lustrini e paillettes. Tutto è stato tolto e bandito. C’erano diktat ferrei, specialmente sul trucco che per le ragazze, a quell’età, era la cosa più attraente. Nel caso in cui violassero le regole, bloccavamo le registrazioni e le mandavamo via di corsa a struccarsi. Per il look sono stata molto rivoluzionaria, perché volevo quella freschezza che allora non esisteva».
C’è un’ex ragazza di Non è la Rai che ti è rimasta particolarmente cara? Boncompagni si è sbilanciato ogni tanto, tu mai.
«Beh, molte hanno avuto successo. L’Impacciatore era una ragazza che lavorava in redazione, poi le abbiamo subito riconosciuto tutto il suo potenziale ironico e speciale. L’abbiamo mandata in video e ha fatto la sua bella carriera. Forse direi lei».
Di questi tempi vediamo anche un grande ritorno delle Lollipop, nate nel programma Popstar a cui pure hai lavorato (mettendoci la faccia). Marcellina fa Quelli che il calcio, mentre Roberta Ruiu spopola dalla De Filippi… Lo sapevi?
«Lo sai che me ne sono accorta proprio l’altra notte? Quella su cui avevo puntato di più è tornata a Uomini e Donne. E’ un programma che vedo con molto interesse in replica, essendo una insonne. Inizialmente non l’avevo riconosciuta. E dire che mi ero molto battuta per lei, perché non aveva una gran voce, però le riconoscevo un aspetto fisico interessante. E soprattutto aveva una sua personalità. Poi dopo si è sposata, ha avuto dei figli. Ecco che è tornata».
In tv siamo abituati a vederti spesso di spalle, quasi sempre a provinare ragazze insieme a “grandi uomini”. Un caso o un segno particolare della tua carriera?
«E’ stato del tutto casuale con Non è la Rai, non con Popstar dove era voluto che ci fosse una donna con due ragazzi a provinare. Con Gianni abbiamo sempre fatto coppia, ma certo lo sguardo femminile ha delle sfumature in più nel vedere una donna. Tutto sommato quello che ho sempre ricercato è la personalità, perché la televisione è video, ma anche audio. Certe cose non le passi attraverso un copione e neanche solo con la bellezza».
Quindi potresti fare la giudice, ora che il ruolo spopola. Te l’hanno mai proposto?
«Sì, ci sono state occasioni (l’abbiamo vista opinionista a Il Ballo delle debuttanti, ndr). Ma io penso a lavorare con qualcuno con cui essere in sintonia e che abbia soprattutto una certa cifra ironica, un po’ birichina. Vedi Costanzo, con cui ho fatto Buona Domenica e l’ultimo Costanzo Show: lui è uno molto spiritoso. E questo non è facile da trovare. Appena si esce fuori dal seminato si rischia di non essere capiti e che ti diano della stro@@a».
I Vanzina ieri lamentavano che nello spettacolo di oggi c’è più incattivimento e che non si fa più lavoro di squadra fuori dalle logiche dei clan. Lo stesso discorso vale anche per gli autori?
«Io vengo dal cinema. Ho lavorato parecchi anni come ditta con Lucherini. Ho avuto la fortuna di frequentare da vicino i colossi. E’ stata un’esperienza notevole che mi ha abbastanza formato e mi ha dato un certo distacco dalla televisione. Distacco che, poi, ho ulteriormente imparato da Boncompagni. Anche se prima di lui avevo già lavorato in Rai, è stato lui il mio maestro. Mi ha insegnato il non copione, un certo modo di lavorare non convenzionale. In generale ho avuto la fortuna, nella maggior parte della mia carriera, di lavorare con persone con cui avevo un rapporto molto stretto di amicizia, quindi la collaborazione è stata molto facile e divertente».
Insomma, sei una che non ha rimpianti. E la tv di nuova generazione non ti avrà del tutto? Nessun compromesso?
«Il punto è un altro. Il lavoro di autore è diventato, per un certo tipo di programma, la ricerca affannosa dell’ospite. L’ospite ambito viene solo sotto promozione, se no costa cifre che soprattutto oggi le aziende non si possono permettere. Tutti i palinsesti, dalla mattina sino a notte fonda, sono fatti di ospiti, quindi è una categoria così ambita e competitiva che è una tragedia. Nel caso di Amici Miei, ho riassaporato la grazia e la delizia di persone che hanno anche i loro prodotti, ma che non parlano con quell’intenzione, che si raccontano e basta e soprattutto che hanno un background interessante. Poi certo devi sempre tagliare perché non puoi andare avanti con gli aneddoti per ore».
Il prossimo personaggio che intervisterai?
«Piero Chiambretti».
E quello che vorresti intervistare?
«Uno senza ombra di dubbio, ma è una follia. La duchessa d’Alba. Io e lei in un faccia a faccia. Mi ci applicherei come non mai».
Ma su carta o in tv?
«In tv, e che scherzi? Quella va vista».
Ah, un’altra curiosità. Come si fa a chiamarsi Irene Ghergo, mantenendo una certa distanza dal nazionalpopolare, e poi firmare la rubrica L’invidiosa su un settimanale come Di Più?
«Io adoro le contaminazioni e il mix di alto e basso. E’ più divertente fare una rubrica un po’ sofisticata su un giornale molto popolare come Di Più, che farla su Vanity Fair».
Con lo stesso sprezzo del pericolo hai fatto l’autrice del programma di Sgarbi su RaiUno, chiuso dopo una puntata?
«Sì. Sgarbi è stata una bella follia. Lì era tutto indomabile, dal conduttore alla squadra di autori, e poco televisivo. Anche se faticosissima è stata un’esperienza. A a me Vittorio piace comunque. Lavorare con personaggi così diversi e originali, comunque vadano le cose, è un arricchimento ed è un privilegio».