Elezioni Politiche, storia dei confronti tv. Concessi ed evitati, a seconda della convenienza
Storia dei confronti tv nel nuovo millennio alla vigilia delle elezioni politiche. Tanti appelli e una sola (doppia) realizzazione, nel 2006
I confronti in tv. Tema che torna in auge ad ogni campagna elettorale, tra chi li invoca, chi li evita, chi li pretende allargati e chi li esige ristretti. Tanti punti di vista, molteplici interessi personali da far convergere e l’inevitabile difficoltà nel mettere tutti d’accordo. Senza dimenticare il luogo nel quale svolgerli, con mille trasmissioni che si fanno avanti e poche considerate realmente in corsa.
Le sfide sul piccolo schermo godono quasi sempre di un banale principio: chi insegue le auspica, chi è in vantaggio tende a fuggire, comprensibilmente. D’altronde, perché accettare l’invito se hai solo da perdere?
2001, il no di Berlusconi a Rutelli
Andò in questo senso nel 2001, con Silvio Berlusconi – favoritissimo secondo i sondaggi – che negò a più riprese il faccia a faccia a Francesco Rutelli. Eppure la Rai, attraverso il suo presidente Roberto Zaccaria, si era fatta avanti con una lettera aperta inviata a Repubblica: “Propongo formalmente a Rutelli e Berlusconi di confrontarsi davanti al grande pubblico televisivo in un dibattito da noi organizzato in prima serata, con le massime garanzie tecniche di imparzialità in modo che i telespettatori possano conoscere direttamente i programmi e i progetti dei due candidati premier, seguendoli per la prima volta e ovviamente in diretta nella prova di una sfida televisiva”.
Insomma, da una parte il leader del Polo delle Libertà, dall’altra quello de L’Ulivo. Un uno contro uno tra i rappresentanti delle principali coalizioni, proprio come aveva proposto nelle settimane scorse Bruno Vespa, intenzionato a convocare Giorgia Meloni ed Enrico Letta a Porta a Porta prima che si scatenasse l’insurrezione generale. Ed una reazione si ebbe pure ventuno anni fa, per voce di Antonio Di Pietro che – così come Democrazia Europea e Lista Bonino – decise di correre da solo: “La proposta è indecente, iniqua e viola la par condicio perché fa due pesi e due misure”, tuonò. “Berlusconi e Rutelli si confrontino con me e gliene racconto quattro“. Una semi-fotocopia delle attuali uscite di Carlo Calenda.
Rutelli, dal canto suo, tentò di invertire la rotta fino all’ultimo, invano: “E’ una proposta seria degna di un paese serio. Gli italiani vogliono che si mettano a confronto le idee, i progetti e i contenuti concreti per i prossimi cinque anni di governo“.
2006, il doppio duello tra il Cavaliere e il Professore
L’ex sindaco di Roma fu accontentato a distanza di cinque anni, quando però il candidato premier del centrosinistra era Romano Prodi. Rutelli, infatti, incontrò Berlusconi negli studi di Matrix il 20 febbraio 2006. Fu record d’ascolti, con 1.968.000 spettatori e il 32% di share, dato mai toccato fino a quel momento da talk di Enrico Mentana. La trasmissione, terminata ben oltre le 2 di notte, non consentì all’Auditel di conteggiare l’ultimo quarto d’ora e anche per questo motivo venne rimandato su Italia 1 in prima serata, appena ventiquattr’ore dopo.
Berlusconi, che a Matrix si misurò persino con Oliviero Diliberto, stavolta doveva rincorrere e sfruttò tutte le occasioni utili per incrociare Prodi e i suoi alleati. Il ‘Professore’ – a differenza del Cavaliere che si dileguerà nuovamente nel 2008 nonostante gli inviti di Walter Veltroni – non adottò strategie e concesse all’avversario non uno, ma ben due match in diretta su Rai 1. Il primo, moderato da Clemente Mimun, si tenne il 14 marzo e fece registrare 16,129 milioni e il 52,1% di share, mentre il secondo atto del 3 aprile – condotto da Bruno Vespa – scese a 12,183 milioni, pari al 42,1%. Il calo di pubblico, tuttavia, venne compensato dal colpo di teatro dello stesso Berlusconi che nell’appello al voto finale promise – ammiccando alla telecamera – l’abolizione dell’Ici sulla prima casa. Una mossa studiata a tavolino, visto che il sorteggio gli aveva garantito l’intervento in chiusura, con annessa impossibilità di Prodi di replicare.
2008, le sfide ‘a distanza tra Silvio e Walter
Berlusconi rimontò, ma L’Unione si impose di misura. Una vittoria rosicchiata che generò un governo instabile che si sbriciolò dopo appena venti mesi. Il fondatore di Forza Italia, ora dato per super-favorito, non concesse come detto il privilegio a Veltroni.
Il motivo? A detta del centrodestra il duello non sarebbe stato consentito dalla legge sulla par condicio. Il match, pertanto, avvenne in maniera virtuale, con i due contendenti invitati in studio uno dopo l’altro. Prima toccò alla Rai, nella Tribuna Elettorale, poi a Canale 5, ancora a Matrix. “Il confronto mi sarebbe piaciuto e non c’entra niente la legge sulla par condicio – obiettò l’ex sindaco di Roma – si sono contrapposti Casini e Bertinotti, non vedo perché non avremmo potuto farlo io e Berlusconi».
Da Mentana aprì le danze il dem, seguito dal leader azzurro che, scaduti i 45 minuti concessi a testa, volle ugualmente mostrare al pubblico a casa come votare per evitare l’annullamento della scheda. Ne scaturì un diverbio col conduttore. “No, presidente, non si può, per favore”, reagì Mentana che arrivo a piazzarsi di fronte alla telecamera per evitare che Berlusconi fosse inquadrato. I retroscenisti ricostruirono pure l’immediato fuori onda, con il facilmente immaginabile disappunto di quest’ultimo: “Mi ha fatto fare una figuraccia, volevo spiegare come fare la croce sulla scheda e me lo ha impedito”.
2013, il pressing di Berlusconi e i paletti di Bersani
Il confronto rimase un’utopia anche nel 2013. A sorprendere, semmai, furono le posizioni sulla faccenda letteralmente capovolte. Berlusconi, che era dietro e aveva addirittura accettato a gennaio l’ospitata dal nemico Santoro, spinse a più riprese per uno scontro con il solo Pierluigi Bersani: “Il confronto dovrebbe essere a due, cioè tra i due protagonisti che hanno la probabilità di uscire vincitori”. Bersani, al contrario, rilanciò la versione allargata: “O con tutti i contendenti o con nessuno”. Tradotto: porte aperte a Grillo, Giannino, Monti e Ingroia, oppure niente. Strategia, nemmeno troppo velata, per paralizzare qualsiasi trattativa.
2018, nessuno vuole incontrare Renzi
Non se ne fece nulla, infine, nemmeno nel 2018. Qui fu Matteo Renzi, all’epoca segretario del Pd, ad insistere per un appuntamento sul piccolo schermo. Il Partito Democratico, guarda caso, arrancava nei sondaggi e né Matteo Salvini, né Luigi Di Maio accolsero le sue richieste. O meglio, ci ripensarono in corsa. “Per anni ho chiesto un faccia a faccia a Renzi e lui si è negato sdegnosamente, Adesso improvvisamente io dovrei rinunciare al mio tour elettorale per accontentarlo?”, tagliò corto il leghista. “Scappano non solo perché hanno paura, ma perché non hanno la cultura democratica”, ribatté Renzi. “Siamo all’abc del dibattito politico, noi l’abbiamo sempre concesso. Il confronto non fu fatto nel 2001 e nel 2008, noi invece abbiamo sempre dato la disponibilità. E’ uno strumento di trasparenza, non una gentile concessione”.
Muta il ruolo degli attori, ma alla fine i discorsi finiscono puntualmente col ripetersi.