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Confessione in ‘diretta tv’: come fu diverso il caso Carretta…

Partiamo dalle basi: confessioni in diretta tv in Italia non ce ne sono state.

24 Settembre 2024 17:03

La ‘confessione in diretta’ a Pomeriggio Cinque andata in onda ieri, lunedì 23 settembre, ha scosso la tv. Ma quella di Lorenzo Carbone a Pomeriggio Cinque non è stata una confessione in diretta. La diretta tv non c’entra niente. Quello è stato un servizio montato dopo alcune dichiarazioni rese ai microfoni di un giornalista appostato davanti al portone di casa della vittima. Con lui altri colleghi, visto che si nota un altro microfono nel video mandato in onda dal programma. Lo stesso inviato ha introdotto il contributo raccontandone le circostanze: era in auto con l’operatore, ha visto una persona che si aggirava davanti al portone, gli ha rivolto delle domande e ha scoperto si trattava del sospettato. Incalzato, il sospettato ha confessato davanti a una telecamera accesa, ma non in onda. E fa una bella differenza.

La ‘confessione’ di Zio Michele a Chi l’ha visto?: ci fu diretta, ma non confessione

Parlando di ‘confessioni in diretta tv’, molti stanno evocando – o portando come precedente – il caso del collegamento di Chi l’ha visto? con Concetta Serrano, la mamma di Sarah Scazzi, in casa Misseri. Ecco, quella era davvero una diretta televisiva, ma non vi fu nessuna confessione diretta: iniziò a circolare la notizia del ritrovamento di un corpo a seguito della confessione resa da Michele Misseri ai Carabinieri che lo stavano interrogando dal primo pomeriggio di quel mercoledì di ottobre del 2010, ma nessuno guardò in telecamera dicendo “Io ho ucciso”.

Il pubblico televisivo partecipò a un turning point drammatico nella storia della ragazzina di Avetrana. Se ne svelò l’omicidio, il ritrovamento del cadavere e l’assassino. Si poteva evitare? Si sarebbe potuto gestire meglio? Si è cercato il sensazionalismo? Di certo c’era una trasmissione in corso, c’era davvero una diretta tv: i fatti si stavano svolgendo nel loro farsi e come tali furono affrontati. Bene o male, la questione per noi è altra. Quella fu, per certi versi, l’apice (positivo e/o negativo) della “tv verità” che aveva ispirato Angelo Guglielmi 30 anni prima o forse fu l’apice della “verità in tv”: mai come in quell’occasione la televisione fu poco ‘mezzo’ e molto ‘canale’.

1998, Ferdinando Carretta si confessa a Chi l’ha visto?

Quando si parla di omicidi confessati in tv, personalmente il mio pensiero corre a un’altra puntata di Chi l’ha visto?, in onda nell’antidiluviano – televisivamente parlando – 1998. Anticipata da un notevole battage pubblicitario e da una caterva di polemiche (a memoria direi anche di interrogazioni parlamentari), Chi l’ha visto? trasmise una lunga confessione, praticamente a camera fissa su PP, di un omicida. Un omicida che inquirenti e opinione pubblica credeva ai Caraibi col resto della sua famiglia scomparsa il 4 agosto 1989, nove anni prima. E invece l’Italia assistette alla piena confessione in un triplice delitto: Ferdinando Carretta, 27 anni all’epoca dei fatti confessati, aveva ucciso a colpi di arma da fuoco il padre, la madre e il fratello. Lo raccontò con voce incerta, ma senza contraddizioni. Lo raccontò agli italiani, certo, ma prima lo aveva raccontato a un giornalista che si era messo – con altri – sulle sue tracce, che – con altri – lo aveva intervistato poco prima e al quale – come agli altri – Carretta aveva risposto di non sapere nulla del destino dei suoi familiari e che qualche giorno dopo ebbe accordata un’intervista video in solitaria. Un’intervista concessa, dunque, preceduta da una chiacchierata (tesa, come ricorda lo stesso giornalista) che ebbe un risvolto inatteso: “Vuoi che faccia un appello ai miei genitori? E se non potessero ascoltare?”.

Quel giornalista era – ed è – Pino Rinaldi, volto storico di Chi l’ha visto? e ormai da tempo ‘in proprio’ con programmi dedicati ai delitti risolti e non. Proprio oggi è stata presentata la terza stagione del suo Detectives, dal 29 settembre su Rai 3, ma Rinaldi è anche volto Warner Bros. Discovery con Faking It e innumerevoli altri speciali e approfondimenti crime. Fu lui a intervistare Carretta, a raccogliere la sua confessione, a telecamere spente. E quelle telecamere si accesero dopo un accordo tra le parti.

Come ricostruisce bene Stefano Nazzi in Indagini con la testimonianza dello stesso Rinaldi (anche su RaiPlay), l’accordo prevedeva la costituzione di Carretta in Italia con una sorta di ‘trattativa’ tra il giornalista e gli inquirenti, per evitare il clamore dell’arresto, per evitare il trasferimento a Parma – città in cui si era consumato il delitto – come richiesto dal reo. Di Rinaldi, Carretta disse: “E’ un bravo psicologo”.

Anche in quel caso non ci fu diretta, dunque: la confessione fu ascoltata a telecamere spente, fu sicuramente stimolata a partire da una crepa (come è stato quel ritorno sul ‘luogo del delitto’ per Carbone, che poi era casa sua), fu contrattata, definita, messa in scena in una stanza d’albergo londinese che fece da set (scelto soprattutto per far uscire Carretta dalla sua casa e dalle sue cose). Nessuna “confessione in diretta tv” neanche all0ra. La tv, però, ebbe un ruolo centrale: fu un mezzo, senza dubbio. Senza scrupoli? Beh, quella confessione fu registrata prima che fosse resa agli inquirenti. Non certo una cosa di poco conto. Oggi appare come un ‘modello di cautela’ e di deontologia…

Nessuna confessione in diretta tv

C’è un solo elemento che unisce questi tre casi: nessuno è stata una confessione in diretta televisiva. Nessuna è stata figlia di un impeto colto mentre le telecamere erano accese. E questa fa tanta, tantissima differenza.

Per citare un altro caso ‘eclatante’ del binomio ‘confessioni in tv’, andiamo negli USA per quella di Robert Durst, cristallizzata in un’intervista a margine dell’uscita di un documentario sulla sua vicenda giudiziaria, The Jinx. Fu figlia di un fuorionda, di un microfono acceso e di un reo che parlava con se stesso ad alta voce. Cosa vuol dire tutto questo? Che c’è una scelta tv in tutto questo. Che non sono semplicemente ‘voci’ raccolte, ma che c’è una messa in forma televisiva. Ed è qui il punto: il come e il quando fa tutta la differenza del mondo.