Citadel: Diana, recensione: quella volta in cui facemmo un action meglio degli americani
Una serie tv ben riuscita il cui limite più grande rischia di essere proprio quel Citadel da cui tutto è partito
Consegnando pacchi nelle case di tutto il mondo, in Amazon convivono un’anima globale e locale per adattarsi alle esigenze di ogni singola nazione. Il progetto Citadel nasce proprio con l’obiettivo di far convivere sullo schermo queste due anime, realizzando un prodotto globale con ramificazioni locali rappresentate da produzioni di serie tv locali che siano collegate alla principale ma che abbiano uno stile e una lavorazione autonoma. Così è nata Citadel: Diana che è la prima serie tv germogliata dall’universo Citadel che ha legami narrativi con l’impianto principale, ha un’anima italiana e uno sguardo globale. La serie in sei episodi arriva il 10 ottobre su Prime Video (e il 7 novembre arriverà la versione indiana Honey Bunny).
Citadel: Diana, la recensione
Un action che non finge di essere altro
Citadel: Diana è una serie tv action, ha tutti gli elementi tipici del genere, dalla motivazione personale che muove la protagonista ad agire, al cattivo da contrastare, ai compagni di viaggio. Ancor prima della sigla (che fa tanto serie anni ’90 ma glielo perdoniamo) la serie tv mette subito in chiaro i suoi punti di forza: l’azione e la sua protagonista Matilda De Angelis. A quel punto le strade sono due per lo spettatore che si sia avvicinato in modo casuale alla serie, o si allontana perché sparatorie, inseguimenti e complotti non fanno al caso suo, oppure viene trascinato in un vortice e si spazzolerà nel giro di poco tempo le sei puntate (perché non rilasciarla settimanalmente collegandosi all’uscita di Honey Bunny resta uno dei tanti misteri imponderabili).
Siamo infatti davanti a un action decisamente ben riuscito, una serie che sa mantenere costantemente alto il ritmo, che si concede pochi rallentamenti romantici (inevitabili ma talvolta non farebbe male ridurli come durata) e lascia poco spazio agli effetti speciali o alle scene esageratamente roboanti. Citadel: Diana è una serie artigianale per la cura del dettaglio delle sue scene e dei suoi ambienti. Le scene d’azione sono vive, passionali, emozionali non sono freddi riempitivi del momento, ma si inseriscono in modo coerente nel tessuto narrativo.
Il limite più grosso è….Citadel
Il più grosso problema di Citadel: Diana è Citadel. La pessima serie madre da cui tutto è partito con Richard Madden, Stanley Tucci e Priyanka Chopra Jones è il fardello di tutte le serie collegate che ne deriveranno. Confusa, caotica, frettolosa, finta nella recitazione impostata da action, la serie ha rappresentato un grosso flop per Prime Video anche da un punto di vista numerico. Un progetto dalla lunga lavorazione, con il coinvolgimento dei fratelli Russo non può accontentarsi di essere la seconda novità più vista il giorno d’uscita e la quarta nei primi 24 giorni. Non sono numeri esaltanti, soprattutto se in parallelo sono fioccate soltanto critiche. Eppure chi è riuscito a concludere la prima stagione di Citadel e deciderà di avventurarsi in Diana, si accorgerà che le potenzialità di un ottimo intrattenimento di genere ci sono tutte.
Un futuro da incubo
La serie ci porta nel 2030 quando ormai Citadel è caduta da anni dopo l’attacco combinato delle sedi di Manticore di tutto il mondo che ha ucciso quasi tutti gli agenti dell’agenzia internazionale Citadel (la stessa di cui fanno parte i personaggi di Tucci, Chopra Jones e Madden nella serie principale). Citadel: Diana racconta quindi le iniziative delle sedi di Manticore in Europa e in particolare della sede italiana, guidata dalla famiglia Zani, che fa parte di un triarchia con Germania e Francia ma in una posizione di subordine per le conseguenze di alcune iniziative di qualche anno prima. Diana Cavalieri è soltanto un numero all’interno di questa agenzia, ma è anche un’agente Citadel sotto copertura, infiltrata prima della sconfitta, rimasta nascosta nel tentativo di portare avanti la propria vendetta personale.
Per farlo si ritroverà come alleato Edo Zani, figli dello spietato capo Ettore Zani (uno straordinario Maurizio Lombardi, perfetto nel ruolo del mefistofelico stratega, spietato e senza scrupoli, un cattivo che i Russo farebbero bene a portare in Citadel). Partendo da questa base la serie prosegue tra colpi di scena, tradimenti, amori, flashback, azione, nemici, insomma tutto quello che ti puoi aspettare da una serie di questo tipo, ma tutto fatto nel migliore dei modi.
Il futuro immaginato da Citadel: Diana è reso inquietante da piccoli accorgimenti visivi che si inseriscono in una Milano che è perfetta come città del futuro, con i suoi tanti grattaceli moderni e un paesaggio che fonde tradizione e contemporaneità. Vedere il Duomo semi-distrutto dà subito l’idea che qualcosa di grave è successo, l’architettura razionale con cui sono costruite le sedi di Manticore, rimanda all’immaginario dell’architettura del regime fascista, portando subito la mente a un periodo di orrore e terrore. A questi si aggiungono i dettagli dei costumi, dalla divisa degli agenti ai vestiti scuri, rigidi, razionali indossati da Diana all’eleganza impeccabile degli Zani incarnazione del ricco e potente.
I difetti ci sono ma Citadel: Diana è da non perdere
Pur avendo alcuni difetti che sono però tipici del genere, come una recitazione eccessivamente e costantemente intensa (al punto che Matilda De Angelis risulta più convincente quando può essere più rilassata), o alcune esagerazioni e semplificazioni sparse, Citadel: Diana assolve al suo compito di portare al pubblico un’eroina umana, vera, di carne e ossa, tridimensionale e non appiattita sugli stereotipi del genere. Un nemico freddo, glaciale che ferisce con il tono della voce intriso di sarcasmo e stordisce con la tracotanza del potere, ma che sa anche mostrare le proprie debolezze. E ovviamente è la famiglia è la debolezza più grande, per tutti i personaggi.
Citadel: Diana è un action inaspettato, che funziona e dimostra che con un budget di livello siamo ampiamente in grado di superare gli americani su questo genere, soprattutto se sono “distratti”.