Home Sky Atlantic Ciro dei Neri per Caso: “Così ho insegnato a cantare a Nuzzolo e Giuggioli. La serie sugli 883? E’ piaciuta perché sincera”

Ciro dei Neri per Caso: “Così ho insegnato a cantare a Nuzzolo e Giuggioli. La serie sugli 883? E’ piaciuta perché sincera”

Ciro Caravano, storico componente dei Neri per Caso, è stato il vocal coach di Nuzzolo e Giuggioli nella serie Hanno ucciso l’uomo ragno: “Due ragazzi d’oro. Mi hanno dato la loro disponibilità e si sono dedicati seriamente al canto. Quelle che vedete nella ‘tavernetta’ sono tutte attrezzature vere dell’epoca”

4 Novembre 2024 18:54

Due ottime interpretazioni, sia dal punto di vista recitativo che musicale. Perché in Hanno ucciso l’uomo ragno, la serie di Sky dedicata alla nascita degli 883, Elia Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggioli hanno dovuto anche dovuto imparare a cantare, per vestire al meglio e in modo soprattutto credibile i panni di Max Pezzali e Mauro Repetto.

Un compito tanto complesso quanto fondamentale, che i produttori hanno affidato a Ciro Caravano, storico componente dei Neri per Caso. “Sydney Sibilia, regista e tra i fondatori della Groenlandia, mi ha chiamato perché aveva bisogno di una mano – racconta l’artista campano a TvBlog – con la loro società avevo già lavorato in altre produzioni, come la fiction Rai su Renato Carosone. Feci da vocal coach agli attori, riuscendo tra le altre cose nel difficile compito di far sembrare un pianista il protagonista”.

Ottime premesse per riuscire pure in quest’altra impresa: “La proposta arrivò nella primavera del 2023, forse poco prima. Ascoltai il provino dei due ragazzi e mi fecero capire che erano in allarme. Tuttavia, compresi che c’erano delle potenzialità e che si sarebbero potute tirare fuori. Nuzzolo e Giuggioli erano musicali, bisognava solo lavorarci. Quindi risposi che avrei potuto raggiungere dei buoni risultati”.

Erano musicali”. Cosa intende?

Erano capaci di capire al volo le mie richieste. Avevano orecchio e l’idea di cosa avrebbero dovuto fare, pur non sapendolo fare. Insomma, non bisognava partire dalle basi, bensì sulla modalità di emissione del suono e del controllo della voce.

I due attori come si sono comportati?

Mi hanno dato tutta la loro disponibilità. Hanno collaborato e mi hanno dedicato tempo. Nonostante fossero contemporaneamente impegnati in altre mille cose, si sono dedicati seriamente al canto. Con loro si è creato un bel rapporto, in questo senso sono stati due ragazzi d’oro. Elia e Matteo si sono comportati alla grande, lavorando sull’estensione della loro voce. Era in primo luogo una questione di tonalità. Sia in studio che dal vivo hanno garantito il risultato massimo con il minimo sforzo.

Interpretando Pezzali, immagino che il lavoro maggiore sia stato svolto su Nuzzolo.

Ovviamente il lavoro maggiore si è concentrato su di lui, era inevitabile. Nuzzolo era chiamato a cantare in più situazioni, ma Giuggioli è stato comunque imprescindibile nella registrazione del disco. E’ stato da supporto ad Elia nei punti in cui c’era da dare più grinta. Proprio come accadeva ai veri 883.

Sempre su Nuzzolo era fondamentale evitare il rischio della caricatura.

Vero. Max ha un timbro particolare e l’obiettivo era quello di non ricreare un’imitazione. Elia è toscano, ha dovuto lavorare per familiarizzare con l’accento e l’intercalare pavese e pure in quello non è andato a copiare Pezzali. Piuttosto, si è avvicinato al suo mondo. Un atteggiamento simile lo ha avuto nel canto. In questo senso mi sono trovato in linea con le direttive dei registi: l’importante è superare la soglia oltre la quale si risulta credibili.

Tecnicamente, come avete lavorato?

Abbiamo prima inciso in studio gli undici brani completi che servivano a determinare le scene. In seguito, abbiamo operato pure in presa diretta, in relazione alle varie situazioni. Non puoi usare un brano da studio di registrazione se stai suonando in pizzeria o in casa tua, mentre stai componendo. Molte cose sono state cantate direttamente sul set, motivo per cui dovevo essere presente.

Il brano più complesso da eseguire suppongo sia stato Non me la menare.

Direi di sì. Alcune parti della canzone richiedono un fiato da Enzo Maiorca (ride, ndr). Ci sono blocchi lunghissimi in cui non prendi mai il respiro. Abbiamo studiato il modo di superare l’ostacolo coinvolgendo Matteo che terminava le frasi, permettendo ad Elia di riprendersi. Ma anche ‘Con un deca’ è un brano complicato, in un solo passaggio c’è un salto di decima.

Non solo vocal coach. Nella serie è stato anche il consulente musicale sul set, occupandosi in prima persona della strumentazione dell’epoca e degli allestimenti.

Quelle che vedete nella ‘tavernetta’ sono tutte attrezzature dell’epoca ricostruite seguendo le indicazioni di Max Pezzali. Avendo vissuto quel periodo, capii immediatamente le sue istruzioni. Erano gli stessi apparecchi che usavo io negli anni novanta. L’incarico però avvenne per puro caso.

Racconti.

Ero arrivato in anticipo ad una riunione di produzione e mi capitò di ascoltare i presenti che parlavano del modo in cui rendere realistico l’uso degli strumenti musicali. Presi la parola e dissi loro che avrei potuto aiutarli. Con Max ci siamo incontrati in studio di Pavia e ci siamo trovati su ogni singolo aspetto. Quelle attrezzature facevano parte dei ricordi di entrambi e abbiamo provato a spiegarne il funzionamento a tutti gli altri. I macchinari che avete visto in quella stanza erano veri e le scene in cui Elia e Matteo suonano sono reali.

© Lucia Iuorio

Qual è stata, se c’è stata, la fase più complicata della lavorazione?

Direi proprio questa. Non per i ragazzi, ma perché dovevo essere vicino al set per far sì che riproducessero davvero quei suoni. Subito fuori dall’inquadratura c’ero io, collegato agli apparecchi con un cavo di 15 metri.

Che spiegazione dà al successo di Hanno ucciso l’uomo ragno?

Penso che alla base di tutto ci siano la sincerità e la voglia di raccontare una bella storia. Sydney ha svolto un ottimo lavoro, coadiuvato dal resto della squadra. La Groenlandia è una società di produzione eccezionale e il clima sul set è stato sempre positivo. Ho lavorato con grandi professionisti e hanno trovato gli attori giusti per tutti i ruoli.

La serie è soprattutto un inno all’amicizia. Max e Mauro, in fondo, potremmo essere noi.

Concordo. Hanno ucciso l’uomo ragno racconta l’amicizia e la voglia di emergere di due ragazzi all’apparenza senza alcun tipo di possibilità. Due giovani che ci credono e vanno avanti. A mio avviso è stato più importante raccontare questa parte che il mito stesso. Sono certo che la serie funzionerebbe anche all’estero. Non è stata narrata la storia del gruppo, altrimenti avrebbero prodotto un doc. E’ stato messo in evidenza l’aspetto umano. In tal senso, gli sceneggiatori sono stati fondamentali.

Una seconda stagione appare inevitabile.

So che ci stanno seriamente pensando, ma non ne ho la certezza. Se si facesse, sarei felicissimo di esserci ancora.

Il sequel affronterebbe, per forza di cose, la crisi del duo.

Da spettatore vorrei vedere come prosegue la storia. Ci sono i margini per un ulteriore racconto. Conosco Max da molti anni e so che ci sono tanti altri lati della vicenda da affrontare.

Gialappashow

Riguardo a lei, assieme ai Neri per Caso, si gode anche il successo del GialappaShow.

La Gialappa’s si merita questi apprezzamenti. Sono degli scopritori di talenti, da sempre. Tra il nostro gruppo e loro c’è sempre stata stima e amicizia. Quando cominciammo eravamo già loro fan. Un giorno assistemmo ad una puntata di Mai dire Gol in cui Aldo, Giovanni e Giacomo, assieme a Teocoli ed Albanese, ci imitavano. Immagina che emozione si può provare nel vedere i tuoi idoli che ti imitano. Ci mettemmo in contatto e ci invitarono. Da allora, quando hanno potuto, ci hanno sempre coinvolto. Con Vittorio Cosma abbiamo trovato la maniera perfetta per interagire all’interno del programma. Al GialappaShow si respira un clima bellissimo e si lavora in tranquillità.

Siamo già in clima sanremese. Vi piacerebbe tornare in gara al Festival?

E’ un discorso complicato, non è facile comprendere le dinamiche sanremesi. In passato presentammo dei brani, ma evidentemente non eravamo e non siamo in linea coi tempi. Una volta il Festival scopriva nuovi talenti, mentre oggi vuole che i talenti portino ascolti alla manifestazione. E’ cambiata l’interpretazione della kermesse e probabilmente è uno scenario figlio dei tempi.

Le ultime edizioni di Amadeus hanno riportato Sanremo al centro della scena musicale.

Sì, il Festival è stato portato più vicino alla realtà di chi ascolta la musica. Sarebbe ancora meglio se, anziché andare a cercare la realtà, provasse a crearne una migliore.

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