Ciak, si canta! – la versione politicamente corretta di Music Farm
Ciak, si canta! è un programma di successo che nasce da una sconfitta di fondo: l’incapacità della canzone italiana di mettersi in gioco. Ci si è inventati un bel pretesto per legittimare questo malcostume tutto nostrano: sottoporre i big, o presunti tali, a una gara di videoclip che non inficia in alcun modo la loro
Ciak, si canta! è un programma di successo che nasce da una sconfitta di fondo: l’incapacità della canzone italiana di mettersi in gioco. Ci si è inventati un bel pretesto per legittimare questo malcostume tutto nostrano: sottoporre i big, o presunti tali, a una gara di videoclip che non inficia in alcun modo la loro intoccabilità. Se ad esibirsi sono artisti riconosciuti come Al Bano e Iva Zanicchi, che hanno lasciato una forte impronta nella tradizione musicale del nostro Paese, riservare lo stesso trattamento di favore a Viola Valentino o Pippo Franco fa imbarazzo.
Ogni settimana c’è una giuria formata dai conduttori più desiderati dalla casalinga (il placido Frizzi, il fascinoso Sposini, quel piacione di Giletti e il buon Cucuzza) e da un elemento di disturbo come Cristiano Malgioglio, che sta allo smoking come Eleonora Daniele sta a Milly Carlucci. Con il loro ridimensionamento da presentatori-opinionisti a valletti di una primadonna in erba creano un effetto da tv-fantascienza spacciata per format autoprodotto. Dietro questa bislacca idea c’è nientemeno che quella forza creativa di Gianni Ippoliti, costretto da troppi anni a questa parte a rinunciare ai “colpi di genio” per accontentarsi di quel che passa al convento.
Così nasce Ciak, si canta!, un format tanto più vecchio dentro quanto più ha la pretesa di fare il giovane, attualizzando il repertorio d’annata di vecchie glorie con il supporto dei media di nuova generazione. I video fanno praticamente tutti schifo, anche se i giurati tendono a mitigarlo: l’abuso di chroma-key e l’assenza di una vera scrittura narrativa riproducono l’effetto-bomboniera dei filmati di Paolo Limiti.
Quando ci scappa il brutto voto, specie per opera del Malgioglio iena per contratto, si tiene però a sottolineare che non si sta giudicando l’artista, ma un video di cui non è responsabile e che vede per la prima volta in studio. Non avrebbe più senso, allora, invitare i registi e motivare certe scelte in termini di responsabilità tecnica?
RaiUno, insomma, si è inventata un bell’alibi di ferro per valorizzare il potenziale di Music Farm, senza quella componente agonistica che faceva indispettire i partecipanti. E di reduci del talent show di RaiDue ce ne sono parecchi, dalla Zanicchi alla Valentino passando per Riccardo Fogli. Ora, però, sono felici perché dalla vetrina prendono il meglio senza essere costretti a mettersi realmente in discussione.
Diciamola tutti: molti di loro, che possono vantare una o al massimo due hit da top ten, più che fare successo hanno fatto il colpaccio. E ci vivono di rendita da anni, godendo di salamelecchi spropositati nei (troppi) programmi vintage della tv di stato.