Ci tocca anche Vittorio Sgarbi – Ma per quanto?
Davvero difficile fare una recensione di quanto visto ieri sera nel corso della prima puntata di Ci tocca anche Vittorio Sgarbi (qui il commento live). Perché, semplicemente, quello che si è visto ieri sera non è un programma televisivo. O meglio, lo è per il solo fatto di essere un qualcosa di ripreso da telecamere
Davvero difficile fare una recensione di quanto visto ieri sera nel corso della prima puntata di Ci tocca anche Vittorio Sgarbi (qui il commento live). Perché, semplicemente, quello che si è visto ieri sera non è un programma televisivo. O meglio, lo è per il solo fatto di essere un qualcosa di ripreso da telecamere e poi mandato in onda.
Non c’è una struttura, non c’è una scaletta – cosa che farà dire a qualcuno che c’è stata innovazione, sperimentazione e robe del genere: va di moda, dire che si innova e si sperimenta, ma ieri non si è visto proprio nulla di sperimentale -, tempi morti, improvvisazioni, ospiti che non sanno bene che fare accanto a Sgarbi, immagini di repertorio tutte celebrative del conduttore-politico, o comunque dei suoi presunti padri culturali. Sgarbi riesce persino a mostrare un filmato di Pasolini. Chissà se l’intellettuale avrebbe gradito, considerata la sua opinione a proposito di un certo uso del mezzo televisivo.
Tutto è costruito intorno a lui, Vittorio (nell’immagine, eccolo mentre brandisce una riproduzione della sua stessa testa mozzata). Addirittura il sottotitolo, che è l’anagramma del suo nome: “Or vi sbigottirà”. Be’, no. Non ci ha lasciati sbigottiti per nulla. Nemmeno nello – scontato – montage delle sue esternazioni e telerisse, nemmeno nei vari “Capra, capra” e nemmeno negli sfoggi di cultura. Già, la cultura. Be’, più che altro c’è uno sfoggio di erudizione che passa da un argomento all’altro con agganci narrativi quantomeno discutibili se non assenti: da Petrini a Celentano (che viene anche attaccato per non voler andare da Sgarbi e perché “parla solo ad Annozero”), da Nino Rota (attraverso l’esibizione di Morgan) alla figura paterna di Dio (attraverso una vera e propria predica in prima serata del Vescovo di Noto) a Renzo Arbore, si ha la sensazione di aprire a caso una serie di volumi dell’Enciclopedia Vittorio Sgarbi. L’effetto non è per nulla gradevole. Perché la tv, l’anti-tv, qualunque cosa voglia intrattenere, va scritta. Anche nei suoi ritmi lenti.
Ma gli aspetti più inquietanti e deteriori del programma risiedono nella costruzione agiografica della vita del conduttore: e nell’uso di spazi presunti informativi per veicolare determinate idee care a una certa parte politica, senza che però si riesca mai a mostrare il valore della cultura di destra di cui Sgarbi – che tuttavia, va ricordato, ha militato in partiti che coprono sostanzialmente tutto l’arco politico della scena nostrana, da sinistra a destra, dal PCI a Forza Italia, dalla DC-MSI al PSI, dai Repubblicani ai Monarchici – avrebbe voluto farsi portatore.
Per lunghi momenti il programma si configura come un gigantesco spot al conduttore. Sgarbi legge se stesso. Sgarbi porta il figlio Carlo in studio. E il padre Giuseppe in collegamento (Sgarbi padre, novantenne, regge un libro del figlio). Sgarbi utilizza lo spazio in prima serata RAI per attaccare giornali che hanno raccontato fatti che lo riguarderebbero, accusandoli di essere falsari. Sgarbi attacca Oliviero Toscani. Sgarbi le manda a dire a Celentano. Sgarbi fa battute sui magistrati. Per tacer di come viene rappresentato, tanto per dirne una, il mondo delle energie rinnovabili.
Con un lungo monologo, Carlo Vulpio parla dell’eolico e del fotovoltaico. Per introdurre il tema dell’eolico, mostra il filmato di una pala che uccide un grifone in volo. L’intero monologo è, de facto, un attacco alle energie rinnovabili, al fatto che danneggerebbero l’ecosistema, al fatto che favoriscano le infiltrazioni mafiose – quindi, per dire, visto che secondo le relazioni dell’antimafia, anche le grandi opere favoriscono le infiltrazioni mafiose, per coerenza bisognerebbe schierarsi anche contro le grandi opere, giusto? -. Infine, l’affondo contro la Regione Puglia e Nichi Vendola, con frasi allusive e senza che vengano portate prove fattuali a costruire un pensiero critico – che si può costruire, chi dice di no – contro un certo tipo di uso di energie rinnovabili.
Naturalmente, nonostante la sigla (o presigla?) proponga una serie di immagini di catastrofi varie (immancabile l’11 settembre) in montaggio alternato con il Giudizio Universale, della catastrofe di Fukushima non si parla. E’ l’alternativo, il bersaglio.
Ci sono anche un paio di affondi contro giudici e magistrati, per non sbagliare.
Poi, continui riferimenti a tutte le difficoltà avute per mandare in onda il programma, la cui unica nota positiva è lo studio, decisamente suggestivo.
Il resto non dà affatto l’idea di un progetto pensato. E’ un confuso flusso di Sgarbi-pensiero, di sfoggio di cultura senza che se ne ravvisi il fine ultimo, di lentezza e di questioni personali che riguardano il conduttore da risolversi in diretta.
La parola più pronunciata, in oltre tre ore di programma, è “Io”. O comunque, qualcosa che afferisca alla prima persona singolare, in una celebrazione assoluta, ai limiti dell’onanistico.
Insomma. A meno che il piacere del pubblico non sia elevato, nel vedere Sgarbi parlar di Sgarbi – e di quel che è caro e interessa a Sgarbi – per tre ore e mezza, forse ci toccherà per poco.