Ad una settimana dal Festival di Sanremo, con molti di noi in crisi di astinenza persino da monologhi femminili perfettibili, papaline e Tananai, è il momento di ragionare a bocce ferme su uno dei momenti che ha più spaccato i social negli ultimi giorni: l’esibizione in Riviera di Checco Zalone.
Il comico dei record cinematografici ha portato tre pezzi sul palco del Teatro Ariston: nel primo ha letto una fiaba “lgbt”, una definizione che viene affibbiata dagli ambienti conservatori ad alcuni tipi di racconti per bambini per insegnare loro il rispetto delle diversità e a combattere gli stereotipi di genere. I protagonisti non sono quasi mai personaggi lgbt, ma il più delle volte animali. Quindi è più corretto parlare in questo caso di favola, in quanto si tratta di un racconto mirato a dare un insegnamento tramite le azioni dei protagonisti, degli animali.
Il virologo Oronzo Carrisi? Di un altro campionato
Nel caso di Checco Zalone si è verificata una crasi, unendo i due generi, ovvero sono presenti sia i caratteri della favola (una morale: ovvero l’ipocrisia del re) che la fiaba (la presenza di personaggi umani). L’attore pugliese ha poi ripreso un modello notissimo, ovvero quello di Cenerentola, ma al suo posto ci ha messo un principe calabrese che si innamora di una persona transgender, Oreste, contro il volere del genitore sovrano, che la frequenterebbe invece di nascosto.
Lo sketch è stato ritenuto omotransfobico da buona parte della comunità LGBTQIA+ per aver rimarcato degli stereotipi sul mondo trans, in particolare l’associazione delle persona transgender alla prostituzione. Probabilmente è vero che si è cavalcato un luogo comune, ma occorre provare ad analizzare le cose senza polarizzazioni: è più facile pensare che si sia trattata da una gag molto pigra: il Checco nazionale (quello dei Modà era Kekko, quindi nessuno si offenda) voleva sottolineare la doppia morale della società che condanna un determinato tipo di persone. Una parte del pubblico si è sentita offesa? Legittimo: significa che l’artista non ha avuto il controllo totale sul pezzo, che già non faceva sbellicare dalle risate (il virologo Oronzo Carrisi era di un altro campionato) e rimandava a un personaggio del suo repertorio.
Checco Zalone e la fiaba gender: le colpe della televisione italiana
L’attore avrebbe potuto forse cambiare il nome di Oreste, scegliendo una soluzione più neutra (Andrea?) oppure un nome al femminile, soluzione che sarebbe stata più corretta. Ma le soluzioni corrette di certo non si sposano con la sua comicità: nei resoconti dei giornali vi è stato un trionfo di “un trans“, a dimostrazione dell’ignoranza dei mass media sul tema. Chissà che uno degli obiettivi del pezzo non fosse proprio di far vedere anche questo aspetto a posteriori.
Insomma, giudicare lo sketch della fiaba gender non è semplice e non si vorrebbe dare una lettura cerchiobottista, tuttavia sappiamo come si sarebbe potuta evitare questa spaccatura: con una televisione che avesse dato molto più spazio alle persone transgender. Il piccolo schermo del nostro Paese sembra insegnarci che l’unica a venire da questa comunità sia Vladimir Luxuria, anche se questo non porta a farci pensare che Olga Fernando sia l’unica interprete attiva in Italia. Negli Stati Uniti la situazione è molto diversa.
Il momento della lettura della fiaba ha coinciso con il picco di ascolti della seconda serata del Festival: davanti allo schermo in quel momento si sono sintonizzati ben 16.214.000 telespettatori.