Che Tempo Che Fa 2021-2022, la stagione inizia con calma patta e mare mosso. Una contraddizione? Non proprio.
L’attualità, protagonista dell’anteprima e dello spazio Covid, traina un format ormai talmente rodato da andare di pilota automatico e in questo inizio stagione non finge neanche di cercare altro, come se dopo due stagioni di scossoni dovuti alla necessità di adattarsi al Covid si volesse andare stancamente di abbrivio, senza stress. Neanche il ritorno del pubblico in studio, per quanto accolto con calore ed emozione dal conduttore, restituisce sangue al programma: la risata dell’ospite fisso c’è sempre, gli applausi e le reazioni non sono così diversi – da casa – da quelli che lo studio garantiva con un certo sforzo nei giorni più bui. La scenografia così appiattita – e non esaltata da luci e riprese – finisce per rendere ancora di più il senso di un distacco e di una stanchezza generale per tempi non facili.
Talmente è tutto uguale a se stesso che a fare notizia è la barba ormai completamente bianca di Fabio Fazio. “In un mondo di finti giovani, abbiamo scelto di essere veri vecchi…” dice il conduttore; “Ma allora prima la tingevi?!” risponde Luciana Littizzetto. No reply. Ma quel riferimento ai finti giovani evoca programmi ‘rivoluzionari’ andati in onda nelle precedenti domeniche su Rai 1…
Altro elemento focalizzante, il microfono del conduttore. Perché Fazio usa il gelato? Fu adottato dopo il suo intervento chirurgico alla gola ed è rimasto in uso: se per vezzo o per salute in fondo ci interessa poco. Ormai fa parte del racconto ed è anche un modo per occupare le mani e per qualcuno anche un mezzo per concentrarsi meglio sulla conduzione.
Che Tempo Che Fa 2021-2022 non innova se non per l’ingresso di Michele Serra con la sua ‘amaca’ audiovisiva e per l’arrivo in regia di Stefano Vicario, con tutti i suoi stilemi e il suo stile (dalla carrellata dietro al muro alle ottiche crude). Che Tempo (che) Fa quindi a Rai 3 in questa ennesima edizione? L’aria è sostanzialmente ferma, o meglio gira su se stessa come le tante parole che invadono lo studio, spesso egoriferite e leziose (sarà anche ‘colpa’ del parterre di ospiti). Un pizzico di aria fresca arriva solo con Lello Arena e Nino Frassica al Tavolo e il Mago Forest quando non la porta alle lunghe.
La pagina migliore di CTCF resta l’attualità e in particolare quella sul Covid, vessillo di servizio pubblico vero in questi quasi 2 anni di pandemia, nei giorni peggiori e anche in questi tempi di mezzo in cui si vive come se nulla fosse e si muore ancora per un virus nient’affatto sconfitto. Mentre le interviste internazionali continuano a offrire spesso momenti cringe (quella a Brian May si archivia tra queste), l’interesse vero si accende con l’attualità. E quando parliamo di attualità, come accennato, ci riferiamo alla pagina Covid, seguita sempre con attenzione e precisione e che per il debutto ha visto il generale Figliuolo che fa il punto sulla campagna vaccinale e il ritorno di Burioni, una certezza. Nell’attualità facciamo rientrare anche lo spazio sul giornalismo con Lilli Gruber e Lucia Goracci: se è vero che l’occasione è sgtata data dalla presentazione del nuovo libro della Gruber, è anche vero che la presenza della padrona di casa di Otto e mezzo, del marito e della collega appena rientrata dall’Afghanistan ha dato il via a una riflessione a più voci sul ruolo del giornalismo, del suo rapporto (dimenticato) con i fatti e della ricerca della verità come afflato filosofico più che come direttrice di marcia. Interessante e approfondito grazie agli scarti dalle domande e dall’impostazione data dall’intervista in sé.
CFCF, un usato leale
Se vedi CTCF sai, quindi, cosa aspettarti: da questo punto di vista il programma è leale e affidabile, una sicurezza per gli aficionados. Un pregio per molti versi, una garanzia di continuità. Ma quel brivido di ‘trincea’, di debunking nei giorni più difficili della pandemia, quello spirito di resistenza che ha visto il programma andare in onda praticamente sempre, un mezzo in meno a ogni settimana, avesse consolidato uno spirito di appartenenza col pubblico, un accenno di ‘trasgressione’ contro il conformismo di certi modi di raccontare il virus che ora si è perso nuovamente tra leziosaggini e momenti fini a se stessi. La puntata è senza politica a causa dei seggi aperti per le Amministrative 2021: ma al di là dei contenuti, è modalità di trattazione degli argomenti, la loro forma a essere più che riconoscibile, il che rende CTCF uno dei pochi programmi tv che di questi tempi ha una identità e mira a conservarla. Al netto dei gusti o del desiderio di vedere qualcosa di diverso in tv, Che Tempo Che Fa ha il pregio di avere un’idea narrativa – che può piacere o meno – e una struttura consolidata. In una stagione iniziata con l’esaltazione di novità già vecchie, qui c’è un format e un racconto.
Un tentativo di dare uno sguardo veloce e lucido alla settimana arriva con la nuova rubrica, Quello che non ho capito, da rodare: al debutto Michele Serra ha bisogno della guida di Fazio ma che regala un brivido commentando il GF Vip non potendo parlare di politica visto il silenzio elettorale. Menzione speciale alla grafica un po’ anni ’90. Tutto il resto ha quasi il sapore del monolite: meccanismi sono gli stessi, sia nelle interviste, sia nei giochi, nelle battute (già sentite) con gli ospiti fissi, sia nelle dinamiche con Luciana Littizzetto – sempre fedele a se stessa, pure troppo.
Anche il momento che alla vigilia doveva essere il più frizzante, ovvero il ritorno di Fedez su Rai 3 dopo le polemiche per il Primo Maggio, le minacce di querele incrociate, il Tapiro d’Oro al direttore Di Mare per l’ospitata al CTCF, è completamente disinnescato dai complimenti per il successo di Mille e dai riflettori completamente centrati sulla regina Orietta Berti (col solito stucchevole giro di domande e battute su Sanremo, Osvaldo, Patty Pravo… che se non fosse per la spontaneità di Orietta porterebbe con sé automaticamente alla gif di Robert Downey Jr che alza gli occhi al cielo). Ma nella liturgia di Fazio è tutto assolutamente coerente.
Il ritorno della colonna infame…
Con tutto questo ritorno del già noto – talmente noto che si possono anticipare battute, domande e argomenti – dove sta il mare mosso cui abbiamo fatto riferimento nell’introduzione? Nella regia, che regala brividi sanremesi nell’esibizione (in stretto playback, diciamolo salvo equivoci) del trio con la camera che parte dalle quinte regalando un nero sull’attacco di Orietta Berti e che sceglie nuove angolazioni da backstage, inquadrando i protagonisti di spalle (come Fazio al primo “Buonasera” di puntata). Uno stile ‘sporco’, diciamo, che opta per quello che non si vede e che non si dovrebbe vedere, come il sacco di Serra, che la Gruber si ritrova accanto alla poltroncina, il ritorno in postazione di Fazio, le camere automatizzate che rientrano in posizione, impallamenti di operatori vari. Su cerca di portare lo sguardo dal dietro le quinte, ma non c’è l’effetto dell’inedito, quanto dello sgabuzzino. Diverse anche le luci talmente nette e senza ‘mediazione’ da rendere tutto piatto, le ottiche che rimpiccioliscono uno studio non grandissimo, e una grafica da MSDos che lascia interdetti. La manovra sembra chiara: togliere la patina leccata delle ultime (decine di) edizioni e andare sullo sporco, su un racconto che ambisce quasi al ‘documentaristico’, diciamo. Diciamo. Il mosso è quindi nella regia, di certo non è famosa per la staticità.
Che Tempo che Fa, il clima chiede attenzione
Il programma è stato un pioniere nel trattare i temi del cambiamento climatico. Ora che se ne parla di più (anche se solo ‘per finta’ o per opportunità in tv e nelle agende del potere), il tema è praticamente scomparso. Un vero peccato: il ritorno su Rai 3, i mezzi produttivi e narrativi, la capacità di raccontare altro potrebbero essere un ottimo mezzo per andare oltre il già sentito, il già detto, il già visto e anche la sensazione di ritrovarsi in un rodato club del libro. Ma magari ci si arriverà dopo aver ripreso un po’ fiato dalle fatiche della pandemia. Ma sarebbe bello se quella ‘fiamma’ da sguardo lucido e analitico, scientifico ed esperto tornasse sia per l’arte (Cairoli ci manca) e anche per il clima. Ma questo è solo un desiderio… Comunque sia, bentornato a Che Tempo Che Fa che resta un programma dalle idee chiare. Magari a volte ripetitive, ma chiare. E di questi tempi in tv è un grande vantaggio competitivo.