Che Peccato: I Promessi Sposi di Guardì vergognosi come Garko e Arcuri

E’ ufficialmente cominciata la nuova stagione televisiva. Gabriel Garko, a trenta minuti dall’inizio de Il peccato e la vergogna, chiede all’Arcuri di sposarlo. I due stanno già copulando come ricci, mezzi nudi tra le fresche frasche, e lei, per mantenere un minimo di contegno, prova a sottrarsi: “Io ho un sentimento per te, ma è meglio aspettare”.

Lo stesso Garko, mezz’ora prima, era uscito dal carcere mostrandosi ‘provato’, quel che si dice un reietto ai margini della società. L’Arcuri, invece, sfrecciava in bicicletta con quell’aria da popolana timorata che, sotto sotto, ne sa una più del diavolo. La storia è ambientata negli anni ’30, perciò il doppiaggio fuori synch o quella patinatura sgranata da cinematografo possono essere spacciate per intuizione stilistica.

Almeno, questo è quello che si dice un classico nella storia di Canale 5. La storyline che vede protagonista la bella coppia da stupro seriale, Garko e Arcuri, risponde sempre a una ritualità ben precisa: cambiano i personaggi ma le funzioni narrative sono sempre quelle, di sicura presa sul popolino.

Dall’altra parte, invece, Raiuno se la tira con la storia del teatro in televisione, nella variante dell’opera moderna. Questa volta a “poppizzarla” non c’è Antonella Clerici, ma un regista della televisione come Michele Guardì, che avevamo lasciato tra il vaso Cinese e i travestimenti di Magalli a Buon Capodanno.

Il Peccato e la Vergogna contro I promessi sposi – 1 settembre

Guardì dice di aver voluto dedicare un tributo ad Alessandro Manzoni per avergli insegnato la lingua italiana. Così nasce I promessi sposi – il musical, un’operazione drammaturgica quantomeno equivoca, rispetto alla fonte letteraria di origine.

E lo dice uno che, ancor prima di aver letto di Renzo e Lucia sui banchi di scuola, ne ha appreso le vicissitudini grazie alla parodia del Trio. Una parodia che non snaturava “il sugo della storia”, che partiva dal Lago di Como e finiva con la Provvidenza, che non trattava i personaggi intermedi come figurine di un amore da copertina.

Qui non fanno tutti che cantare in modo stucchevole, secondo la tradizione contemporanea del musical scaccia-cultura. Non c’è racconto né sforzo di divulgare una trama, visto che persino un conoscitore dell’opera si destreggia a fatica tra ruoli storpiati (una Monaca di Monza così bona è troppo, cara Lola Ponce) e altri solo nominati. E il vedere tutto riproposto in tv, con la buona coscienza di chi sta facendo qualità e scommettendo sulla cultura, ti fa per un attimo rivalutare il reality show nella sua mancata ipocrisia.

La sola differenza dei “nuovi” Promessi Sposi, rispetto alle scenette del Grande Fratello, è che Endemol non garantisce ancora una profusione di maestranze e investimenti scenografici così imponenti. Per il resto, la recitazione degli attori è ugualmente non pervenuta, al punto da fare a gara con le facce basite di Garko e Arcuri. Che “peccato”. Anzi, che vergogna.