Home Che Dio ci aiuti Che Dio ci aiuti 2 – Lino Guanciale a Tvblog: “Siamo una commedia alla Cary Grant.”

Che Dio ci aiuti 2 – Lino Guanciale a Tvblog: “Siamo una commedia alla Cary Grant.”

Lino Guanciale è Guido Corsi, l’uomo in grado di conquistare la vulcanica Azzurra di Francesca Chillemi, e con lei sette milioni e mezzo di italiani. Quindici anni fa invece era un rugbista della nazionale under 19, e per sei anni ha rifiutato la tv: “Volevo costruirmi nella maniera giusta per durare”. L’intervista di Tvblog.

pubblicato 10 Aprile 2013 aggiornato 3 Settembre 2020 19:25

La seconda serie di Che Dio ci aiuti si è conclusa Mercoledì scorso con oltre sette milioni e mezzo di telespettatori e una scommessa vinta: quella di cambiare registro senza cambiare ascolti, anzi. Uno dei protagonisti di questa scommessa è Lino Guanciale (Guido Corsi), entrato in corsa come protagonista maschile dopo l’uscita di scena (con lieto fine) di Massimo Poggio (Marco) e Serena Rossi (Giulia).

Ma Lino Guanciale è anche il vincitore del Premio Gassman 2003 dell’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico nonché “il principe dei cessi” di Una grande famiglia (stanno iniziando le riprese della seconda e terza serie) nonché ancora uno dei protagonisti del nuovo film di Pappi Corsicato, “Il volto di un’altra”, con Laura Chiatti e Alessandro Preziosi, in uscita al cinema tra pochi giorni. Partiamo allora dai dati auditel del gran finale di Che Dio ci aiuti 2 per conoscere meglio Lino Guanciale, la sua vita e i suoi progetti.

Sette milioni e mezzo per il finale, un successo numerico fortemente atteso che porta Che Dio ci aiuti definitivamente all’altezza di Don Matteo e una scommessa vinta. Cos’hai pensato leggendo quei dati?

“Non saprei, un tipo di risposta televisiva così ampia è una cosa abbastanza nuova per me, anche se “Una grande famiglia” andò ugualmente molto bene, però questa inizia a dare una riconoscibilità da parte delle persone… si sente un bell’affetto intorno. Poi la vita rimane sempre quella e anche li lavoro lo gestisco allo stesso modo, però ora si sente un calore speciale. E poi… mio padre che non piangeva da anni ha pianto guardando il finale di Che Dio ci aiuti!

Stravolgere la linea narrativa e cambiare protagonista maschile non era una scommessa da poco. Non ti sei sentito un incosciente nell’accettarla?

E’ vero, è stata una bella sfida ed è vero che la linea di Massimo Poggio era molto diversa per cui cambiare e restare vincenti era una bella scommessa per me, per Elena, per Francesco, per tutti. Ma quando ho letto le sceneggiature ho sentito che funzionavano e anzi agevolavano gli assestamenti del cast: questo concentrarsi più sul cotè sociale ha fatto ingranare una buona marcia alla serie rispetto ai cambiamenti di cast fatti, ed erano scelte intelligenti che andavano a migliorare il prodotto. Poi che fosse una scommessa lo dicevano tutti in Lux, sul set, ce lo siamo detto e ridetto… e poi abbiamo smesso di dircelo e abbiamo iniziato a divertirci… ci siamo messi d’impegno per fare un buon lavoro. Per me certo, la novità era tanta e per la prima volta c’era anche una certa esposizione a livello personale, per cui c’era una certa ansia da risposta di autidel e share. Però vedere i risultati mi ha dato la conferma di una cosa che sentivo già andando sul set e cioè che era possibile se non probabile avere una risposta di questo tipo. In tanti mesi di lavoro sul set non ricordo giorni in cui non ero soddisfatto del lavoro, quindi in fondo sentivamo di meritarcelo e che forse poteva davvero andare bene.

Che cosa hai pensato la prima volta che hai visto Francesca Chillemi, e come avete costruito la coppia romantica?

La prima reazione è stata quella che avrebbe chiunque davanti a lei, è una ragazza bellissima che ti toglie un po’ di fiato quando la vedi. Quello che poi invece apprezzi da subito è la carica comunicativa che ha, l’energia positiva e semplice che irradia. La cosa bella è che forse senza dircelo abbiamo cominciato subito a giocare fuori dal set come se fossimo Azzurra e Guido Corsi, a rincorrerci, a farci i dispetti,a prenderci in giro… abbiamo instaurato da subito la dinamica giusta che poi ci ha permesso di lavorare bene sul set.

Credi che la tua presenza abbia contribuito a far emergere quel talento comico di Francesca Chillemi che anche noi abbiamo elogiato molto negli ultimi giorni? E tu invece cosa porti via dal set di Che Dio ci aiuti 2 che prima non avevi “in valigia”?

Io penso che per come era scritta la serie, più che la mia presenza come detonatore sia stato il lavoro che abbiamo fatto insieme a far sì che venisse reso al meglio il potenziale comico della scrittura e del personaggio.
Per me è stato un set particolare, sicuramente il più caloroso che ho conosciuto. Ma non perché gli altri siano stati dei lager eh! (ride) E’ che qui c’è stato qualcosa di più, forse anche perché conoscendo già Elena Sofia Ricci lavorare assieme è diventato speciale. Lei è la figlioccia di Pino Passalacqua, che era un regista e un maestro dell’Accademia con cui io avevo studiato molto e a cui ero molto affezionato. La sua perdita dieci anni fa ci aveva avvicinati e Elena da allora ha sempre seguito i miei lavori fuori dall’Accademia con una generosità, dei complimenti e una voglia di gratificarmi che sono una delle cose più belle che ha. Perché è raro in questi ambienti, e invece lei ha una sincerità e una trasparenza uniche.
E quindi quando è arrivata l’opportunità di lavorare assieme sul set e dal set abbiamo portato questo, la familiarità, la domesticità. Che fanno tanto bene al lavoro.

Avevi mai visto la prima serie o hai recuperato in corsa?

No, avevo in famiglia persone che la vedevano, ma io la tv continuo a guardala poco (ride) tant’è vero che anche quelle di quest’anno le ho sempre riviste online! Perché essendo la sera a teatro… in tournée è così, non si può. Quindi qualcosa avevo occhieggiato l’anno scorso, poi quando è iniziata la preparazione quest’anno ovviamente mi sono visto tutta la serie passata e ho studiato le sceneggiature, che erano scritte con un taglio molto diverso. Anche nella serie passata è stato fatto dagli attori e dal regista un bellissimo lavoro: in particolare Vicario ha un talento raro nel dirigere e mixare i vari registri brillante, comico e drammatico di cui deve comporsi una serie come la nostra.

Al suo primo apparire Suor Angela è stata considerata un Don Matteo in gonnella senza sfumature, e la serie dell’anno scorso andava abbastanza in quella direzione. Quest’anno però tra citazioni “insolite” e linea narrativa diversa il modello sembra diventato più Tutti pazzi per amore. O no? Tu cosa ne pensi?

Che hai ragione! All’inizio con il cotè detection la serie era più prossima al modello di Don Matteo, che quest’anno è stato abbastanza abbandonato, sostituendo nei casi di puntata la componente investigativa con un casus più familiare, e il paragone con Tutti pazzi per amore è azzeccato. Oltre a quello, nella volontà degli sceneggiatori, e ovviamente nei limiti di tempo e risorse che avevamo, c’era la volontà di guardare anche alla commedia romantica inglese, la Bucaccio (head writer della serie, ndL) citava sempre il modello alla Cary Grant. Ovviamente, ripeto, con tutti i distinguo e gli ammortizzatori della situazione. Però io credo che sia un merito importanda della produzione l’aver voluto diversificare i propri prodotti senza affidarsi a un solo modello. Sono stati bravi loro a scommetterci (sorride) e forse anche noi a realizzare il progetto!

A proposito di progetto, mi sono sempre chiesta quanto sia stretto il rapporto tra sceneggiatura e set: vi sentivate, c’era una discussione sul personaggio e sulle vicende oppure arrivavano i copioni e ciak?

C’è sempre stato un collegamento molto forte tra i due reparti: chi aveva con loro un rapporto storico aveva dibattuto già in sede di preparazione della serie su questa o quella caratteristica, poi una volta che sono arrivate le sceneggiature è sempre valsa una regola di adattamento tra di noi attori e con Francesco Vicario, che è un regista che tende molto a rapportarsi con la scrittura. Perché ci sono frasi che dette sul set hanno un’altra sostanza rispetto a quando sono state scritte, e quindi ci sono stati cambiamenti a volte anche cambiamenti significativi. Mi è piaciuto molto questo modo di gestire la cosa e dal reparto degli sceneggiatori c’è sempre stata una totale cooperazione. Poi ovviamente c’erano punti sui quali si aveva più o meno flessiblità, ma c’è sempre stata una grossa collaboratività, e un grosso ascolto nei confronti degli attori anche con la presenza di editor sul set, Sabrina Barabini e Eleonora Recalcati, che hanno permesso non dico di stravolgere ma di dibattere tra noi e la regia in modo da trasformare le intenzioni di sceneggiatura in un risultato ancora più plausibile. E’ un modo di lavorare che parte dalla filosofia di un lavoro che si sviluppa insieme, e quando sono arrivato ho notato che era già sostanzialmente prassi l’anno scorso. Poi probabilmente è un atteggiamento mentale che è possibile anche per via del tipo di prodotto, improntato alla commedia: se manca il confronto con chi recita si rischia di non dare leggerezza. Magari in altri prodotti di altro tipo ci sono altre relazioni tra la scrittura e la recitazione, anche per necessità della serie.

Domanda obbligata per il pubblico femminile visto che il resto del cast è formato da sei donne, un attore sposato (Luca Capuano, con Carlotta Lo Greco che gli ha appena dato il secondo figlio) e uno fidanzatissimo (Jgor Barbazza, con la collega Linda Collini). Tu sei fidanzato/sposato o le fan possono sperare?

(scoppia a ridere) Sono impegnato, convivo con la mia compagna da due anni, è un’attrice molto in gamba e per ora abbiamo deciso di non fare nomi.

Torniamo indietro nella tua vita: si trovano online tracce di un tuo passato nel rugby. Come è partita poi la passione per la recitazione?

Io da ragazzo suonavo il pianoforte: l’ho fatto dai dieci ai quindici anni, finchè è esplosa la passione per lo sport che mi ha portato anche a rinunciare alla musica. Il rugby è stato la mia vita per una decina d’anni, fino ai ventuno, quando sono entrato all’Accademia Silvio D’Amico e le cose non erano più conciliabili, perché il rugby se lo fai senza essere minimamente fisicamente preparato… muori! (scoppia a ridere).
Però sono stato nel giro delle nazionali giovanili, all’epoca, e ho avuto il previlegio di osservare da vicino e giocare con ragazzi che portavano il nome di Mauro Bergamasco, Walter Pozzebon, Andrea Masi… la prima grande generazione di rugbisti moderni italiani. Poi a un certo punto ho dovuto decidere, se avessi continuato col rugby avrei dovuto chiudermi in palestra e fare scelte che non mi avrebbero soddisfatto, e così sono passato all’Accademia… (sorride) e poi loro erano così bravi che era giusto andassero avanti loro!
La passione per la recitazione è scoppiata in un laboratorio dell’ultimo anno di liceo. Io non avevo mai recitato, mi spaventava pure… l’ho fatto con l’idea “Togliamoci uno sfizio tanto è l’ultimo anno…”, per non lasciare qualcosa di non provato. Ma è anche vero che da quando avevo quattordici anni io ero l’unico abbonato della mia età al cineclub della zona, gli altri erano tutti over sessanta… a quel punto mi sono detto “Se tu hai tutta questa passione ci devi provare per bene!”

A proposito di Accademia: quando come e perché hai vinto il premio Gassman?

Io sono uscito dall’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico nel 2003, Gassman era morto nel 2000 e aveva lasciato nel testamento le istruzioni per istituire una borsa di studio a un all’ievo della scuola che fosse stato particolarmente meritevole nei risultati. E così quando mi sono diplomato, i miri risultati collimavano con quelli richiesti e ho ricevuto il premio.

Esatto, 2003. E invece al cinema sei arrivato nel 2009 e in tv addirittura nel 2011. Guardando il tuo curriculum nell’intervallo si trova una sfilza di spettacoli teatrali. E’ stata una tua scelta o è capitato?

(sorride) E’ stata una mia scelta. Nel momento in cui sono uscito dall’Accademia ho avuto l’opportunità di lavorare con grandissimi maestri teatrali da Ronconi a Franco Branciaroli a Massimo Popolizio a Werner Bentivegna a Gigi Proietti a Michele Placido. E proprio dieci anni fa ho incontrato il regista teatrale con cui faccio compagnia, Claudio Longhi, e abbiamo iniziato a progettare cose teatrali che avessero un valore educativo forte. E’ stata la nostra priorità da quando ci siamo incontrati e lo è tuttora… e quindi ero impegnato a teatro al punto da rifiutare le offerte televisive che erano arrivate a partire dal 2004/2005.
Poi in realtà quello era anche un modo mio per difendermi da un rischio: avevo paura, entrando troppo presto in una macchina molto accelerata come la produzione televisiva e quella cinematografica, di non durare. Poi quando nel 2008 ho avuto un momento più libero dal teatro e mi sono sentito più pronto e strutturato ho cominciato. (pausa, poi sorride) Sì, in effetti nella mia vita mi sono fatto anche troppi problemi da questo punto di vista! Ma quando ho cominciato mi sono detto che se dall’essere appassionato volevo provare a trarne un lavoro, allora volevo darmi gli strumenti per poterlo fare tutta la vita. E di qui la decisione di entrare in Accademia e tutti i passi fatti piano piano per maturare.

A proposito di impegni dal 2009 in poi: oltre a Che Dio ci aiuti, sei tra i protagonisti di Una grande famiglia. Quando iniziate a girare la seconda stagione? E quando andrà in onda?

Iniziamo… adesso, a settimane, e per l’andare in onda non so dirlo ma credo il più presto possibile, vista la richiesta!

Che cosa vivrà ora il tuo Ruggero, amabilmente soprannominato da Nicoletta e Stefano “Il principe dei cessi”?

Nuove peripezie e variazioni intorno al tema del matrimonio oggi. Sarà un’occasione per divertirsi, nella famiglia… di “Una grande famiglia”, i Rengoni, in cui il mio principe dei cessi sta entrando (e dalla porta principale!) stanno per emergere nuove sorprese. Un bel modo per continuare le avventure protoconiugali e le altre peripezie, sempre a cavallo della vicenda tra il mistery e il nero che distingue la serie.

E invece nel film di Pappi Corsicato che sta per uscire, “Il volto di un’altra”, chi sei?

Allora, questo è un film divertentissimo che invito tutti a vedere e in cui io interpreto Tru Tru (Pappi mette sempre il suo immaginario personale nei film, Tru Tru era un bambino che conosceva), che è un idraulico. Tra l’altro è divertente il fatto che in Una grande famiglia io sia “il principe dei cessi”, cioè il figlio di due produttori di sanitari, mentre Tru Tru è uno che i cessi li ripara… è dall’altro lato del tubo, del sifone. E la vita di Tru Tru si intreccia con quella dei personaggi di Laura Chiatti e Alessandro Preziosi: lei è una conduttrice televisiva che gestisce una trasmissione sulla chirurgia estetica, lui un medico che partecipa a questa trasmissione… e poi tutto salta perché la conduttrice ha un incidente terrificante: un sanitario le cade sul parabrezza e la sfigura. Il suddetto sanitario è mio, è caduto dal mio camion, e di lì parte un caravanserraglio che vi invito a venire a vedere!

Altri impegni di cui ci vuoi parlare a breve?

Sono stato in scena al Teatro Argentina fino a domenica con la tournée biennale di “La resistibile ascesa di Arturo UI”, per la regia di Claudio Longhi, premio della critica come spettacolo dell’anno… abbiamo fatto perfino una trasferta a Mosca! Adesso dal 9 al 19 maggi debutto in un nuovo spettaocolo con alcuni degli attori di Arturo Ui, sempre con la regia di Claudio Longhi, che si chiama “Il ratto d’Europa” e sarà in scena al teatro Storchi di Modena… (sorride) dopo Che Dio ci aiuti… una città, un destino!
Il logo dello spettacolo sui social network è un sorcio, letteralmente, ma l’idea è partire da Europa rapita da Zeus per scrivere uno spettacolo sull’identità europea. La cosa bella è che questo testo non esiste: lo stiamo scrivendo in 60 laboratori di scrittura aperti, in scuole, sindacati, centri interculturali, istituzioni religiose, parti sociali in giro per Modena: vuole essere uno spettacolo che renda conto della percezione dell’Europa da Modena, dall’Italia… di come ci sentiamo percepiti noi dall’Europa, e se può esserci un orizzonte di futuro. E questo spettacolo lo stiamo scrivendo assieme alle persone della città… c’è gente che non ha mai messo piede in un teatro prima! L’anno prossimo lo faremo anche a Roma.

Per concludere, c’è una cosa che non si sa di Lino Guanciale e che vorresti si sapesse?

Ti dico una cosa scema: ho un’insana passione per i dolci di ogni tipo che mi ha attirato le ironie continue di Francesca Chillemi che per mesi mi ha riempito il set di macarons che io andavo cercando in ogni angolo. Quindi se volete irretirmi basta portarmi due dolci e sono vostro!

Ringraziamo Lino Guanciale e Gabriele Barcaro per l’intervista e vi invitiamo a seguirlo nei suoi prossimi impegni. Lino Guanciale Che dio ci aiuti 2

Lino Guanciale Che dio ci aiuti 2

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Che Dio ci aiuti