Che ci faccio qui, Domenico Iannaccone e il racconto struggente di una gioventù dimenticata
Il giornalista torna nel quartiere palermitano di Borgo Vecchio, terra di dispersione scolastica, fuitine e disoccupazione.
Sembra quasi di assistere a un remake di Io speriamo che me la cavo con questa prima puntata di Che ci faccio qui ambientato nel difficile quartiere palermitano di Borgo Vecchio: dispersione scolastica, fuitine, altissima disoccupazione giovanile consolata dal reddito di cittadinanza (che ai tempi del film con Paolo Villaggio non esisteva).
Domenico Iannaccone, ideatore e conduttore della trasmissione sbarcata nel sabato sera di Rai 3, ritorna a Borgo Vecchio a cinque anni dalla sua prima visita. Nonostante si tratti di una seconda incursione, lo spettatore tuttavia riesce a mettere insieme tutti i pezzi grazie ai numerosi flashback, che ci fanno vedere i ragazzi quando erano molto più piccoli. Dopo un lustro molti di essi hanno lasciato la scuola e sono diventati genitori da minorenni.
Il giornalista si fa guidare come in quell’occasione dall’educatore e rapper Christian Paterniti, che lo porta a rincontrare quei giovani di quel quartiere. Colpisce la signora sul balcone che si rivolge a Iannaccone interamente in dialetto palermitano, a tal punto che compaiono i sottotitoli. Poi ci sono i ricongiungimenti tra il narratore e i giovani, con questi ultimi che appaiono sinceramente entusiasti nel rivederlo e gli raccontano che cosa stanno combinando per tirare avanti.
Nonostante si tratti di un programma di denuncia, questa prima puntata di Che ci faccio qui – ne andranno in onda altre quattro – costituisce tuttavia una valida proposta televisiva per il sabato sera di Rai 3. I toni si mantengono sempre leggeri, con il giornalista che non osa mai giudicare i suoi interlocutori, apparendo per loro come un punto di riferimento.
Rimane d’altra parte sullo sfondo questo retrogusto di amarezza per una gioventù dimenticata dallo Stato, nonostante Borgo Vecchio a dispetto di quello che si possa pensare non si trovi in periferia (e anche se fosse, sarebbe grave a prescindere), bensì sia ubicato nel cuore di Palermo.