Home Notizie Central Station – Conversazione con Omar Fantini. Dalla satira che (non) graffia a Daniele Luttazzi e ritorno.

Central Station – Conversazione con Omar Fantini. Dalla satira che (non) graffia a Daniele Luttazzi e ritorno.

Stasera riparte il programma di “stand up comedy” di Comedy Central. Ma con Omar Fantini parliamo di tutto: dalla comicità italiana a Luttazzi, da Fiorello alle censure.

pubblicato 12 Gennaio 2012 aggiornato 5 Settembre 2020 00:24

Questa sera parte la quarta stagione di Central Station, programma comico di Comedy Central, alle 21 (canale 121 di Sky).

Al “comando” della stazione c’è Omar Fantini, con il quale ho cercato, intercettandolo in attesa della registrazione del programma, di fare una conversazione che andasse un po’ oltre il “lancio di rito” del programma, spaziando fra vari argomenti.

A cominciare, naturalmente, dalla comicità e dalla satira italiana: non si può fare altrimenti, visto che riparte anche Zelig.

La comicità in italia

«Siete alla quarta edizione, ma siete anche più “piccoli” rispetto a Zelig o Colorado. Come vi ponete nei confronti della comicità mainstream», chiedo.

«Rispetto al mainstream noi abbiamo più libertà», spiega Omar. «Possiamo permetterci di dire cose che in prima serata su una generalista, per un pubblico di famiglie, magari non si possono dire. A Central Station siamo meno popolari, quindi siamo meno censurati, meno controllati e quindi abbiamo più libertà. Colorado e Zelig sono diventati molto per famiglie. E poi, vedi, in tutto il resto del mondo la comicità è destabilizzante, fa traballare; in Italia è il contrario: facendo comicità per famiglie devi essere rassicurante».

La questione mi interessa: «E voi, come vi ponete in merito? C’è una forma di censura?»
«Noi possiamo permetterci di rischiare un po’ di più», prosegue Omar. «Comedy non ci pone alcun vincolo. L’unico argomento su cui facciamo attenzione è la Chiesa, che è un discorso sempre molto delicato. Su tutto il resto non abbiamo veramente barriere, se non quelle del buon gusto che ci imponiamo».

«Forse è anche una questione di morale collettiva» chiedo, «una morale che dipende anche dalla cultura? Penso, ad esempio alle celebri vignette della rivista danese che fece indignare i musulmani (le vignette-caricatura di Maometto sullo Jyllands-Posten, ndR)».

Omar è d’accordo: «Ma sì, certo, guarda le parodie di Luca e Paolo su Saddam e Bin Laden».

«Qui in Italia le possiamo fare. Altrove non sarebbe possibile. Ma in Italia c’è il Vaticano, e dunque c’è una sensibilità maggiore. Ma è una cosa anche di pubblico, eh, anche perché non è che se noi dicessimo qualcosa, fosse anche la cosa peggiore al mondo, poi magari arriverebbe Famiglia Cristiana: non sanno neanche che esistiamo, non è per quello. E’ proprio per evitare di essere urticanti nei confronti di una morale che esiste per molti. E poi, anche lì, Andrea Sambucco faceva Padre Ralph Lauren, in una passata edizione di Central Station. Un prete che vendeva gli allegati di Madonna Moderna, per dire. Non è che non possiamo o che non tocchiamo proprio il tema: si giudica nel merito. Di certo nessuno viene lì a dirci cosa possiamo o non possiamo dire».

«Mi chiedo allora come vi poniate nei confronti della satira politica. Ne fate?»

«No. Ma è una scelta editoriale dovuta a due motivi. Il primo è che Comedy stava lavorando ad un programma di pura satira, non so se si farà in questa stagione, ma per non rischiare di sovrapporci e di sottrarci risorse, ci stacchiamo da quei temi. E poi, c’è il fatto che noi non siamo in diretta e ci sono svariate settimane di distanza fra quando registriamo e quando andiamo in onda per la prima volta, senza contare che andiamo in replica per un anno. La satira politica non la puoi fare se non stai sull’attualità. Forse in replica si potrebbe anche tollerare, ma alla prima messa in onda no: se parli di un presidente del consiglio che non c’è più, diventi ridicolo».

A questo punto capisco che posso sbottonarmi e confesso a Omar che ho qualche problema con la comicità nostrana. Con il modo in cui si cerca di far ridere in Italia. Gli cito Bill Hicks e George Carlin come miei riferimenti comici, personalissimi.
Lui ride: «Quindi ti piacerà anche Daniele Luttazzi».
Central Station
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La comicità graffiante e quella rassicurante

«Sì», gli rispondo, «in effetti mi faceva ridere, il repertorio era buono» (ci riferiamo all’arcinota questione che ha visto Luttazzi nell’occhio del ciclone per aver mutuato integralmente spezzoni di popolarissimi comici americani, fra cui anche Hicks e Carlin. Ne parleremo più avanti, ndR).

«Vedi», prosegue Omar «quel tipo di comicità lì, quel genere, cinico, graffiante, spietato, esiste già in Italia. Se vai a vedere i laboratori live nei vari teatri (Milano ne ha tanti, ce n’è uno a Bergamo, ce ne sono parecchi in tutta Italia, soprattutto al nord), il taglio della comicità è molto più quello, e non le cose epurate che vanno in televisione. Poi tu mi hai citato due menti eccelse, che hanno scritto pezzi bellissimi. Certo, a livello televisivo la vedo complessa. Anche perché innanzitutto devi assicurarti che certi pezzi non vadano in fascia protetta. Anche all’estero questo tipo di comicità è da late night, anche il Letterman non va in prime time. Solo che negli altri stati il late night è una fascia interessantissima, che porta una fascia di pubblico interessante per chi fa televisione. Da noi non vale niente, tant’è che abbiamo la prima serata lunga e la terza. Però ti ripeto, quel gusto lì dissacrante e tagliente esiste, chi inizia a fare comicità lo fa molto più in quella direzione lì. Poi si arriva ad avere altro in tv per altre questioni».

«Forse sempre perché bisogna rassicurare e intrattenere allo stesso tempo. E allora si arriva ai casi come lo show di Fiorello, per dire. Che io, su TvBlog, ho criticato, molto. Ma proprio perché non mi faceva ridere».

Omar fa dei distinguo: «Fiorello è un intrattenitore, fa tante cose tra cui anche quella di fare dei pezzi, delle imitazioni che ovviamente non sono al livello di quelle di un comico puro. Poi, vedi… ha fatto pure un personaggio che facevo io (ridacchia). (Fantini a Colorado interpretava la sua versione di Edward Cullen, ben prima che Fiorello lo proponesse al pubblico di RaiUno, anche se non vuole che si dica per non far polemica. Niente polemica, semplice notazione ndR). Comunque, è stato un bene che ci fosse un programma come quello, in un periodo così delicato per gli ascolti: è la dimostrazione che se fai una cosa bella, che va incontro al gusto popolare, senza essere trash come un pomeridiano della De Filippi, puoi fare ancora grandi ascolti».

La televisione

Omar Fantini - Central Station «Ascolti che sono un po’ l’ossessione della tv. Ma a proposito, tu la tv la guardi? Ti ispira?»

«Mi piace guardarla, ma non per lavoro: la guardo per intrattenermi. Ho guardato molto X Factor, riesco a godermi anche il prodotto dell’italiano medio. Anche se forse X Factor non è proprio “medio”. E poi devo fare i conti con il fatto che alla mia compagna non piace la comicità in televisione. Sono molto curioso di vedere che cos’è il programma della Dandini, e anche quello della Guzzanti. Zelig lo conosco bene, è quello che fra tutti rischio di vedere meno perché l’ho già visto tanto. E’ un programma che conosco. E poi ho una compagna che odia la comicità.

«Hai in casa la tua nemesi, insomma».

«Sì. Infatti la “obbligo” a guardare Crozza: secondo me lui è uno che funziona tantissimo, e funziona al contrario degli altri: più va su se stesso, più riesce. Probabilmente è una satira che non fa male a nessuno, magari è una satira furba, però qualcosina lo dicono.
Poi ci sono gli ospiti parlamentari che giocano e scherzano e stanno lì, è una cosa che un po’ ti stupisce. Quando hanno a che fare con l’uomo comune, il destro e il sinistro che litigano sempre, poi si trovano molto più tra di loro che non con l’uomo comune. E hai la sensazione che sia un mondo a parte. Hai la sensazione che si dicano le cose peggiori pubblicamente e che poi vadano a cena insieme».

«Ecco, forse il comico può anche mettere in luce questo aspetto della politica».

«Magari ci va anche lui a cena» (ride).

«E su altri programmi comici? Dandini, Guzzanti? Zelig stesso? Li guarderai?»

«Zelig rischia di essere quello che guarderò meno, perché lo conosco bene. Sono molto curioso di vedere come saranno i programmi della Dandini e della Guzzanti, sì».

Daniele Luttazzi. E le copie

Ecco, è il momento di tornare su una questione che mi sta particolarmente a cuore: «Abbiamo citato Luttazzi, e se ti va vorrei riparlarne, perché per me tutta quella vicenda fu un colpo durissimo. Come ti poni nei confronti di chi copia?»

«Guarda, tutelarsi è pressoché impossibile. Guarda il mio caso, quel che ti dicevo prima, il personaggio di Cullen che è fatto con lo stesso meccanismo.
Però, come fai? Come ti tuteli? Vai alla Siae? E poi, dopo? Io penso che il mio mestiere non sia quello dell’artista, ma che si avvicini molto alla comunicazione.
Ma è una cosa che ha a che fare con l’arte, che non è di nessuno, non è di proprietà di qualcuno… però, se c’è un furto proprio voluto…

«Dai, parliamoci chiaro: tu un Luttazzi come lo giudichi?»

«A me fa tenerezza, più che altro, perché è una tale figura di m… No? Io la vivo dall’altra parte. Sai, quando ti beccano con le braghe abbassate, quando non ti sei accorto che non hai chiuso la porta del bagno e arriva tua suocera. Ecco, quella situazione lì. Non riesco a giudicarlo con cattiveria e in più l’ha fatto in un periodo dove, in qualche modo, era veramente difficile che si arrivasse a quella comicità lì. In maniera ingannevole ha portato quella comicità in Italia al grande pubblico».

«Magari poteva citare i credits»

«Ecco, per esempio. Ma basta poco. Basta dichiararlo. Per esempio, l’anno scorso a Colorado ho fatto dance evolution, dichiarando che è una cosa che aveva fatto un comico americano che andava molto su YouTube, Judson Laipply. L’ho riadattata, l’ho personalizzata, l’ho fatta per la realtà italiana. Ma ho citato».

«Poi», prosegue Omar, «c’è la collaborazione con gli autori. Tu non puoi andare a controllare tutto quel che ti scrivono o ricordarti tutto. Magari leggi una battuta, vedi che è bella, la dici. E poi, se tu mi dici: mettiamoci in 5 comici, ci dai una notizia e ci dici scrivete tutti e 5 una battuta su questa notizia, io penso che due verrebbero fuori uguali. Il fatto è che Luttazzi ha copiato cose che da noi non c’erano. Quindi non puoi dargli nemmeno il beneficio del dubbio».

Central Station

«Ma a voi è capitato? Di beccare qualcuno che copiasse, intendo».

«Guarda, ai provini è arrivato un tizio, fichissimo, dieci battute una più bella dell’altra. Poi il direttore di rete si è accorto che erano le battute del libro di Chuck Norris.
Ovviamente non l’abbiam preso».

«Però ne avete presi molti altri. Ci sono tanti personaggi, tanti comici a Comedy Central. Dai, dimmene qualcuno che non leggeremo tutti sui comunicati stampa».

«Te ne cito uno. C’è questo Max Galligani, che è un giovane toscano anche se dall’aspetto giovane non sembra più (ridacchia) che fa il comico fragile, ovvero un comico che non vuole fare il comico, vorrebbe andarsene ma ci sono io che lo obbligo a restare. Poi ci sono altre novità, e conferme rispetto agli anni passati, ma con cambio di personaggi: cerchiamo di essere un vivavio, un laboratorio, un test, e di non ripeterci».

«Ma come li trovate i vostri comici?»

«Ci sono tre autori, uno lavora a Zelig, uno è un’ex comico e autore di Colorado. Usiamo i laboratori, che esistono in Italia, da cui attingono anche Zelig e Colorado. Poi c’è conoscenza nostra personale. Per esempio, io vado in giro, faccio serate, se vedo uno che fa un’apertura a me ed è bravo, lo invito a fare il nostro provino. Generalmente organizziamo tre incontri l’anno per una quarantina di persone che poi diventano una ventina. Spesso ci arrivano Dvd tramite il sito, mi contattano, anche tramite Facebook».

Mentalmente, ringrazio che abbia detto Facebook e non Twitter (immaginandomi una serie infinita di persone che twittano chiedendo di fare un provino) e chiedo: «E tu rispondi? O te la tiri?»

«Rispondo, se si entra nel merito del lavoro, se qualcuno vuole fare il provino. Magari con tempi un po’ lunghi, perché non è che accedo sempre. Di certo non rispondo se si entra nel merito di mie questioni personali».

Il che pare più che condivisibile. Come è condivisibile il fatto che, alla fine della conversazione, si debba tornare a parlare di Central Station: «Omar, perché il pubblico dovrebbe guardarvi?»

«Be’, visto che abbiamo parlato della satira, dell’importanza della comicità in Italia… direi, prima di tutto, per il corpo di ballo. (Ride. E infatti, il corpo di ballo è nella foto a corredo della chiacchierata, ci mancherebbe altro). A parte gli scherzi, vale la pena di essere visto perché è uno dei programmi più puri e più vicini a quella che è la comicità spontanea, quando i comici non sono ancora compressi dai filtri televisivi. E’ come andare a vedere uno spettacolo live dove uno si può esprimere liberamente».

«Bene, vedremo: lo sai che poi i nostri lettori – e anche noi ci proviamo – sanno essere spietati».

«Ma guarda, io da quel punto di vista non mi arrabbio mai. Mi fa piacere se uno mi sfancula dopo che ha visto il programma. Sono ancora più contento perché almeno l’ha visto. Sarà anche gusto sadomasochistico, ma l’importante è che il programma sia visto, e che ognuno giudichi come meglio crede.

«Questo è positivo, magari spesso ti trovi il big e quello si inca*#a perché la critica non gli va a genio».

«Anche lì dipende dalla misura. Come giustamente dici tu, è il lavoro della critica, quello di far notare le defaillance; dall’altro lato esiste anche una critica più sensazionalista. Per quanto riguarda me, comunque, le critiche le accetto di buon grado. Certo, se uno mi dice “fa ca#*re” senza argomentare… vuol dire che, cribbio, non ci guarda».