Carlo Marsilli a TvBlog: Il giornalismo, la scintilla e la curiosità
L’intervista all’inviato del programma di La7 In onda
Si è chiusa domenica una stagione d’oro per il programma dell’access time di La7 In onda. La trasmissione guidata da Luca Telese e David Parenzo ha macinato ottimi ascolti per tutto il periodo di trasmissione, riuscendo a rimanere sempre sul pezzo, in una estate che non ha mancato di presentarci temi ed argomenti, oltre che eventi anche luttuosi, come il crollo del ponte di Genova, di grande impatto ed interesse sociale.
Il programma di La7 ha dimostrato quindi ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, di come sia necessario tenere accesa una finestra quotidiana di giornalismo, anche in una stagione dove solitamente i maggiori programmi di questo genere chiudono per ferie e spesso non vengono rimpiazzarti da altri che ne proseguano la missione informativa. Dell’ottimo lavoro di In onda abbiamo già avuto modo di occuparci da queste colonne, oggi vogliamo dare voce a chi lavora in esterna, spesso in condizioni non facili e che ha contribuito insieme all’insostituibile lavoro dei due conduttori Telese e Parenzo al successo del programma della rete di Urbano Cairo.
Carlo Marsilli, inviato di questa edizione di In onda, ha svolto un eccellente lavoro, dimostrandosi un ottimo elemento in grado di saper gestire un collegamento in diretta con un eloquio sempre puntuale, mai banale e tecnicamente di pregio, oltre che saper confezionare i servizi filmati in maniera per nulla scontata e con un filo rosso che metteva sempre in primo piano il racconto dei fatti, dando voce ai loro protagonisti, mettendosi al servizio di quello che presentava al pubblico, senza essere al centro della scena, come purtroppo spesso accade in altri giornalisti, sopratutto televisivi.
TvBlog ha voluto dare voce proprio a Carlo Marsilli in questa intervista, che vuole anche essere un piccolo, grande viaggio nella voglia di giornalismo di chi vuole intraprendere questa strada oggi, vista e raccontata da un giovane professionista di questo mestiere, attraverso le sue esperienze, le sue aspettative e la sua voglia di fare una professione affascinante, impegnativa e alcune volte pure pericolosa.
Come è nata la scintilla per il giornalismo ?
E’ stata una donna più che una scintilla. Un amore di dieci anni fa, fu lei ad insistere perché io facessi giornalismo. A me divertiva il metodo di ragionamento, lo trovavo una valvola di sfogo per la curiosità, ma non l’avevo mai davvero preso in considerazione come mestiere. La ringrazio ancora oggi per aver capito quello che io non avevo nemmeno intuito.
Ci racconti le tue esperienze ?
La prima esperienza fu in Israele. Avevo 23 anni, mi ero trasferito a Gerusalemme grazie a una borsa di studio dell’Università di Bologna. Volevo saperne di più sulla crescita dell’estremismo nazional-religioso nell’Idf, l’esercito israeliano. Nel frattempo servivo ai tavoli di una vecchia taverna armena e mi “accollavo” a fotografi e video maker che andavano a documentare gli scontri tra esercito e manifestanti palestinesi. Era l’alba delle primavere arabe, molti di quei futuri colleghi sarebbero finiti presto in Egitto, Libia e Siria. Io invece finii prima nell’Ufficio politica e stampa dell’ambasciata italiana a Tel Aviv e poi a Bruxelles, in una piccola lobby dove mi occupavo di comunicazione. Passai le prime selezioni per entrare nella Commissione Europea ma avevo capito che quella vita non faceva per me. Al tempo, era il 2012, avevo una ragazza che viveva a Milano, fu lei a convincermi di tentare l’ammissione al master della Walter Tobagi. Quando scoprii che mi avevano assegnato una borsa per merito decisi che era il momento giusto per ricominciare da capo. Durante il master conclusi con grande soddisfazione un tirocinio a Telelombardia, dove venni assunto dopo una bellissima esperienza all’AdnKronos. A TL trovai dei colleghi straordinari e una in particolare, Annalisa Corti, credette davvero in me e mi trasmise la passione per questo lavoro. Due anni più tardi mi licenziai per passare a La Gabbia Open di Gianluigi Paragone, un gruppo irripetibile che mi concesse la fiducia e gli strumenti di cui avevo bisogno per avanzare professionalmente. La chiusura improvvisa di quel programma determinò il passaggio a Mediaset, dove in un anno macinai centinaia di chilometri in giro per l’Italia a seguire la cronaca. Un allenamento fondamentale, duro ma bellissimo, che mi ha permesso di arrivare a In Onda con le carte giuste.
Come sei arrivato a In onda ?
Ci sono arrivato grazie alla stima di alcuni colleghi con cui ho avuto il privilegio di lavorare in passato ed altri di cui ho un’infinita stima e che hanno voluto scommettere su di me. Ci sono professionisti con esperienze molto più solide della mia, essere scelto mi ha dato un’opportunità per la quale sarò sempre grato.
Quali sono le difficoltà più grandi che hai incontrato sulla tua strada e quanto è difficile per un ragazzo fare il giornalista oggi ?
Mi ritengo molto fortunato, nel senso che lavorando duramente ho sempre trovato qualcuno disposto a insegnarmi e farmi crescere. Ma non è sempre così. L’accesso a questo mondo passa troppo spesso per delle scuole professionalmente molto valide ma economicamente impegnative. Le borse sono scarse, vivere in città come Milano e Roma è tutt’altro che economico. E, una volta fuori dalla scuola, in cambio di compensi irrisori vengono richiesti enormi sacrifici in termini di tempo, affetti e famiglia. Eppure la selezione dei giornalisti non può essere una questione di censo. Quella economica – assieme alla tutela legale, alla qualità dei contratti e al riconoscimento della professionalità – credo rimanga una delle difficoltà principali.
Cosa ti senti di consigliare ad un ragazzo che ci legge e vorrebbe fare il giornalista ?
Ci sono molti tipi di giornalismo, il mio sarebbe quello del cronista e dell’inviato televisivo, anche se sono ancora molto lontano dal potermene fregiare. Posso dire però che sento molto entusiasmo per quello che faccio, ne ricavo energia, mi impegno in battaglie a cui non credevo di poter contribuire. Percepisco soprattutto la forza di un mestiere che può migliorare – anche di poco, quel poco che possiamo fare – la vita delle persone. D’altra parte significa partire senza sapere quando tornerai, rischiare di finire a giudizio, allontanarsi dagli amici e dagli affetti. Eppure risponde ad un’esigenza di movimento, all’inquietudine della curiosità e della voglia di sapere, la necessità di toccare, vedere, sentire, oltre ad un senso di giustizia che ritengo indispensabile. Ecco, io consiglierei di chiedersi se sovrapporre questo mestiere alla propria vita risponde ad una naturale e personale inclinazione.
Fra le tue esperienze giornalistiche quale hai amato di più?
Genova è, umanamente e professionalmente, la più importante. Passare dieci giorni consecutivi in mezzo a un dramma umano è un’esperienza che penetra sotto pelle, ti costringe a confrontarti come uomo, come cittadino e come professionista. Anche in quel frangente In Onda ha fatto un lavoro incredibile, una squadra capace in pochissimo tempo di svelare e raccontare una tragedia complessa come quella del 14 agosto. Ho avuto la fortuna di essere il terminale sul campo di questa struttura e ho visto come le persone ci hanno dato fiducia, hanno aperto le loro case, hanno rivelato loro stesse, si sono persino radunate per noi. Spero di aver restituito loro almeno una parte di quell’umanità e mi auguro, nel nostro piccolo, di averle aiutate per davvero. Saperlo ripagherebbe qualsiasi fatica.
Cosa speri di trovare sulla tua strada professionale in futuro ?
Vorrei sperimentare tante vie, dalla radio ai nuovi media. Il sogno rimane sempre quello del video doc giornalistico, un passo alla volta.
Cosa ti piace di più del tuo lavoro e cosa di meno ?
Rimango sempre affascinato da come questa professione consenta di avere accesso a un’infinità di racconti e Sapere, di ottenere l’attenzione di esperti in qualunque campo, interfacciarmi con persone e personalità eccezionali, entrare negli infiniti strati sociali, politici, economici, religiosi ecc che compongono l’umanità. Non mi piace quando non ci riesco.
Dove ti vedremo prossimamente ?
A Non è l’Arena, di Massimo Giletti. Il 23 settembre si parte, tra l’altro nella squadra ci sono alcuni colleghi con cui ho già lavorato, so fin d’ora che mi aspetta un’esperienza incredibile.
Quanto hai dovuto sacrificare della tua vita privata per raggiungere gli obbiettivi di lavoro che ti eri prefissato ?
Ho persone splendide che mi hanno accompagnato durante questo viaggio, sia in famiglia che fuori, la mia vita privata per fortuna si è impoverita solo in termini di tempo. Ho capito piuttosto che, se non avessi intrapreso questo percorso, avrei dovuto sacrificare la mia soddisfazione personale. Mi è andata bene
In bocca al lupo!
Carlo Marsilli è nato a Trento nell’85, si laurea in relazioni internazionali prima a Forlì e, in seguito all’Erasmus a Bilbao, alla magistrale di Bologna. Dopo diverse esperienze lavorative tra Israele e Belgio si trasferisce a Milano per intraprendere la via del giornalismo. Ha lavorato per l’AdnKronos e mosso i primi fondamentali passi a Telelombardia, prima di diventare inviato per Mediaset e La7, dove oggi lavora. E’ appassionato di viaggi, soprattutto in solitaria, che lo hanno portato in tutti i continenti con l’eccezione dell’Australia. Vive e lavora a Roma.