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Campo Dall’Orto: “Manca il pluralismo delle risorse”

Antonio Campo Dall’Orto è il personaggio nuovo della tv italiana, almeno di quelli che la tv la fanno pur senza comparire. Non lo è solo perchè nei fatti la truppa dei Direttori di Rete italiani tende preoccupantemente ad auto-conservarsi, con poche novità e tante facce già viste, ma perchè dalla sua La7 arrivano i programmi

15 Novembre 2007 16:14

Antonio Campo Dall’Orto è il personaggio nuovo della tv italiana, almeno di quelli che la tv la fanno pur senza comparire. Non lo è solo perchè nei fatti la truppa dei Direttori di Rete italiani tende preoccupantemente ad auto-conservarsi, con poche novità e tante facce già viste, ma perchè dalla sua La7 arrivano i programmi più innovativi, coraggiosi ed interessanti del panorama italiano (satellite escluso).

Il 43enne manager ne fa di cose che fanno parlare (bene) di lui: riaperto le porte della tv a Daniele Luttazzi e al suo Decameron, da spazio a Crozza Italia, manda in prime time Marco Paolini e il suo “Il Sergente” senza un minuto di pubblicità, punta sui talk show raffinati (e un po’ piacioni, diciamolo) condotti dalle “sue” donne Daria Bignardi e Ilaria D’Amico e propone un modo originale e provocatorio di parlare di politica con il Tetris di Luca Telese.

L’ultimo in ordine di tempo che gli dedica un’intervista sulla carta stampata è Vittorio Zincone per il Magazine del Corriere della Sera. Dalle tante domande viene fuori il ritratto di un personaggio atipico, un direttore di rete che studia da Commercialista, passa per il Master di Publitalia e Canale 5 diventando l’oggetto del desiderio di Raidue, Sky e nuovamente Mediaset, ma decidendo di restare lì, a Telecom Italia Media, dove può gestire in prima persona la programmazione di La7.

Le risposte fornite da Campo Dall’Orto spaziano in molti campi della sua vita e delle sue esperienze (l’intervista completa potete travarla qui), ma appaiono particolarmente interessanti in un paio di passaggi che vi riproponiamo e che contengono il suo pensiero sulla Rai e soprattutto sulla mancanza di un “pluralismo delle risorse“, in riferimento al mercato pubblicitario, che senza l’approvazione della Legge Gentiloni si acuirebbe a tutto danno di La7 e degli altri soggetti “minori” del mercato televisivo.

Un’operazione non molto redditizia? (Ndr “Il Sergente” di Paolini)
«Gestisco una rete commerciale che vive di spot, ma due o tre volte all’anno faccio servizio pubblico. Il che porta anche un ritorno di immagine».

Lei ha detto che la Rai fa sempre meno il servizio pubblico.
«Da un pezzo la tv di Stato sembra aver rinunciato a quella prospettiva».

È giusto pagare il canone Rai?
«Non lo so. Io sono per pagarlo, ma il contratto di servizio dovrebbe essere chiaro. In questo momento non lo è».

E poco chiaro pure come faccia lei a gestire un’azienda in rosso come Telecom Italia Media. Solo con La7, ogni anno spendete 60 milioni di euro più di quelli che ricavate con le pubblicità.
«Altri settori del gruppo non sono affatto in rosso. E poi ci sono due problemi strutturali. In molte zone del Paese La7 non si vede. E il sistema televisivo non ha regole competitive. Noi investiamo, aumentiamo lo share, ma non ci schiodiamo da una percentuale minuscola di mercato pubblicitario. Manca il pluralismo delle risorse. Siamo molto preoccupati».

Aspetta la legge Gentiloni sul riassetto del mercato come una manna dal cielo.
«Se non venisse approvata sarebbe una brutta botta per La7. E questo governo mi sembra che abbia difficoltà a far passare cose ben più semplici della Gentiloni. Detto ciò, le cose politiche mi sfuggono».

Difficile dargli torto, probabile che la “brutta botta” arrivi.

La7