Boss in Incognito: un enorme (e lento) spot pubblicitario
Boss in Incognito si conferma un programma che ti lascia tante perplessità e tanti quesiti. Con un Max Giusti non giudicabile…
La visione di Boss in Incognito ti lascia in eredità un quantitativo di quesiti irrisolti talmente alto che, in confronto, l’onirismo visionario di certi film di David Lynch risulta nettamente più comprensibile.
È impresa titanica, infatti, assistere ad una puntata del programma di Rai 2, condotto da Max Giusti, senza porsi domande sull’autenticità di ciò che si sta vedendo per almeno 4/5 minuti.
Senza mettere assolutamente in dubbio la veridicità delle storie altamente drammatiche che sono state raccontate nel corso della prima puntata, è più che altro la confezione del programma a lasciare interdetti.
Entrando nel dettaglio, ad esempio, le perplessità sorgono spontanee quando si assiste al modo in cui il boss in incognito scopre le criticità della propria azienda, all’elementarità sconcertante degli errori commessi dagli operai oppure ai dubbi degli operai davanti al travestimento del boss (che sembrano quasi inseriti appositamente per dribblare le accuse di fake).
E questa sera, i dubbi sono nati già a Tg2 Post, con ospite Max Giusti, quando il conduttore, al momento dei saluti, si è congedato con un “Vado! Mi sbrigo!”, come se Boss in Incognito fosse un programma in diretta in studio (siamo pesanti, sì).
Boss in Incognito 2022: la prima puntata
Già le premesse del programma ti inducono a nutrire perplessità. L’inizio è praticamente uguale ad una qualsiasi puntata di Melaverde, durante il quale vengono elencati numeri e peculiarità dell’azienda. La scusa scelta per giustificare la presenza delle telecamere, ossia la realizzazione di un documentario, è deboluccia.
È davvero arduo, poi, credere che i dipendenti di un’azienda che opera in 4 continenti non riconoscano il proprio datore di lavoro con un trucco appariscente e posticcio. I dubbi si alimentano ancor di più nel finale, nel momento dello svelamento della verità e dei regali, quando si scopre che tra il boss e i dipendenti c’è anche un rapporto altamente confidenziale, fatto di nomignoli o di frasi come “Ti conosco da quando eri piccola”.
Anche Max Giusti, di cui, tra l’altro, l’ingresso nella missione è praticamente inspiegabile, valeva la pena lasciarlo al naturale per quanto fosse riconoscibile dopo la sessione di trucco (la foto è in alto, valutate voi).
Le storie che abbiamo ascoltato, come scritto in precedenza, sono serie e molto dolorose, vicende aventi a che fare la droga, il COVID, il suicidio, la malattia. È ovvio arrivare alla conclusione che gli operai non siano stati tirati a sorte ma che ci sia stato un casting e che gli operai, quindi, abbiano già ampiamente raccontato i loro passati difficili in un precedente momento.
Storie incredibili, di cui non mettiamo in discussione la veridicità, raccontate, però, in un contesto davvero poco spontaneo. In questo modo, è anche difficile parlare di descrizione circostanziata delle realtà imprenditoriali e dei loro lavoratori.
Gli errori degli operai (ogni operaio ne commette uno), come già anticipato, sono grossolani: cottura senza timer, mani asciugate sul grembiule, mani dentro l’impastatrice in funzione. Anche il meno diligente degli operai, con una telecamera puntata davanti, non si lascerebbe certo andare a sviste del genere.
Il finale, poi, è lento, lentissimo, in una puntata che potrebbe durare poco più di 90 minuti e che, invece, viene diluita e allungata di almeno un’ora. Anche in questo caso, si segue un rituale: la ramanzina e poi il regalo.
Max Giusti è praticamente ingiudicabile: il suo aiuto nella missione non ha senso, i suoi interventi sono pochi, il boss in incognito risulta il vero conduttore della puntata.
L’impressione che resta di Boss in Incognito, scritto ciò, è solo quella di un enorme spot pubblicitario.