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Blind Justice – Critica per Non Vedenti

Occorre dire che non si tratta di carne nuova. In un certo senso è un po’ trita – se si considera la diffusione del genere poliziesco nei serial televisivi – e per quel che riguarda il genere in sé non ci sono grosse svolte innovative, per cui in qualche modo possiamo dire che la carne

di maxrenn
31 Luglio 2006 11:14

Occorre dire che non si tratta di carne nuova. In un certo senso è un po’ trita – se si considera la diffusione del genere poliziesco nei serial televisivi – e per quel che riguarda il genere in sé non ci sono grosse svolte innovative, per cui in qualche modo possiamo dire che la carne è pure un po’ ritrita. Però ci sono diversi però, e vediamo quali.
Stiamo parlando di Blind Justice, in onda tutti i giovedì su Raitre, ore 21:00. E per chi non lo sapesse questo telefilm tratta delle vicende pubbliche e private di Jim Dunbar, detective di NY che durante uno scontro a fuoco è rimasto gravemente ferito da una pallottola che gli ha sottratto definitivamente (punto interrogativo?) l’uso del senso probabilmente più importante: la vista. Con lui, con Jim, una rosa ben assortita di personaggi che comprende una moglie da podio di Miss Universo, una sfilza di disabili in cerca di autostima, e una serie di colleghi buoni, meno buoni, vagamente buonisti.
Lo diciamo, lo ricordiamo – facciamo ammenda e ci inchiniamo leggermente – la serie è creata da Steven Bochco. Il supernominativo non l’ha però salvata da una pena di cancellazione dai palinsesti dell’ABC per scarsi risultati di pubblico. Questi i dati.
Si diceva che non è carne nuova ma che ci sono di contro un paio di però.

E sono delle cose che di solito fanno apprezzare molto un telefilm, specialmente se lo si guarda con una carica di sano pregiudizio pensando “ecco, hanno fatto il poliziesco con il protagonista cieco a metà tra il Rutger Hauer di Furia Cieca e Matt Murdock di DareDavil”. Poi, invece, a guardarlo bene, a soffermarsi un attimo per cercare di oltrepassare la coltre orribile del pregiudizio, si scopre che si ha pienamente ragione, e che ovviamente tutto è condito con i sapori agrodolci (Mai Troppo Amari) della tv. Un male? Niente affatto. Un bene, direi. Assolutamente.
Perché il poliziesco è ben strutturato, le trame ultra-pop impazziscono e ritornano all’ovile nel tempo limite della durata dell’episodio, senza troppi capovolgimenti di fronte, senza voler stupire e senza strombazzare nessun carattere di Novità Assoluta a un pubblico al quale si chiede evidentemente uno sforzo davvero minimo. E così ci si ritrova davanti alla tivvù nel pieno delle proprie facoltà mentali ad apprezzare le piccole cose da sbirri anche se attraverso gli occhi – ooops – di Jim il detective disabile (diversamente abile, diversabile e bla bla bla). Poco importa che Jim non ci veda granché e anzi, nell’ottica della realizzazione, la cecità, l’adombramento, l’intuizione nel buio, l’ascoltare, il separare bianco dal nero e buono da cattivo diventa un ottimo spunto per giochi molto belli di chiaroscuri, fondali annichiliti, contrasti luce/buio praticamente netti, e lame di luce che puniscono i colpevoli come la mente aperta del buon Jim ancora prima che la giustizia abbia il suo corso. E la vista, la nostra, ne gode. E poco importa – nuovamente – se ogni tanto si cade in qualche piccola banalità, anche perché quando si guarda qualcosa (uno show televisivo, un acquario, una boccia di vino) solitamente bisognerebbe chiedersi che cosa si vuole da quel tipo di prodotto, e quindi bisognerebbe conoscere il prodotto e saperlo identificare, poi catalogare e poi forse – forse – poi, forse, criticare.
Critica per critici non vedenti. Sic.