Belve, il programma che ha inventato l'”alto” trash
Alcune osservazioni su Belve, il programma di Rai 2, condotto da Francesca Fagnani, giunto alla fine della sua nona edizione.
A volte, attorno ai programmi televisivi di successo, si sviluppano convinzioni generali che il più delle occasioni sono semplicemente figlie di un certo fanatismo, di un’idolatria sconfinata che non ammette l’esistenza di pensiero critico, come se qualcuno o qualcosa fosse, in qualche modo, intoccabile (e niente lo è).
Belve, il programma di Rai 2 condotto da Francesca Fagnani, rientra a pieno titolo in questo fenomeno di adorazione che non contempla repliche e nemmeno qualche vaga perplessità.
Belve è perfetto. Punto. Francesca Fagnani è perfetta. Punto.
Non c’è alcuna responsabilità della diretta interessata che, anzi, si gode giustamente il successo della sua creatura, partita dal canale NOVE e arrivata al prime-time di Rai 2.
Le colpe da attribuire alla giornalista, semmai, possono riguardare il fatto di aver snaturato, in un certo senso, il proprio programma sia per adattarlo alla prima serata che per accontentare lo stuolo di aficionados che le chiede di intervistare questo o di intervistare quello, con quell’impeto tipico di chi è assetato di trash televisivo.
Perché è un’opinione ammissibile, giungendo al nocciolo della questione, pensare che Belve sia un programma trash o che perlomeno abbia inventato una nuova forma di tv trash, un trash “alto” che provoca, probabilmente, anche minori sensi di colpa in chi ne fruisce.
È ampiamente accettabile, dire che, in alcuni occasioni, attorno alle interviste di Belve, si sia scatenato un gossip di livello non eccelso, giusto per usare un eufemismo, che potremmo paragonare a quello del Grande Fratello Vip degli ultimi anni.
Non è reato asserire che se alcuni personaggi scelti da Francesca Fagnani fossero stati intervistati da qualcun altro, staremmo parlando, senza dubbio alcuno, di tv trash. Certo, il contesto ha la sua importanza, di questo, se ne potrebbe parlare.
Non è lesa maestà, inoltre, soffermarsi su alcuni aspetti del modo di intervistare di Francesca Fagnani: sono solo opinioni, non certo lezioni di giornalismo.
Il “Che Belva si sente?”, domanda ad effetto detta in posa, ormai è un tormentone in piena regola ed è pure perdonabile.
Una certa sufficienza nel trattare l’ospite (non tutti), però, a volte provoca un dubbio elementare: se l’intervistatrice non prende sul serio l’intervistato/a, perché dovrebbe farlo lo spettatore? Si punta solo sul gusto di veder “maltrattato” un ospite?
La maggior parte delle domande di Francesca Fagnani, poi, propongono uno schema reiterato: ripescare vecchie dichiarazioni da altre interviste per formulare domande che, sostanzialmente, sono già state poste.
Ciò denota sicuramente una preparazione a monte prima dell’intervista (e ascoltando certi podcast, ormai, la preparazione dell’intervistatore è diventata quasi un lusso…) ma anche una rincorsa affannosa verso la notizia.
Tutte queste peculiarità hanno generato il suddetto fanatismo che celebra la “cattiveria”, la sfrontatezza e l’inflessibilità di Francesca Fagnani che ne hanno costruito il mito (perlomeno sui social), regalando anche l’illusione generale che le interviste di Belve siano tutte perennemente e puntualmente notiziabili quando in realtà, non è affatto così.
Ma dove c’è fanatismo, purtroppo, manca puntualmente anche l’obiettività.