Bangla – La serie, storia delle seconde generazioni e di tutti gli italiani: la recensione
Ritroviamo tutti i personaggi del film rivelazione, per una storia che si rafforza e mostra che l’integrazione è già avvenuta: ora bisogna viverla
Nel 2019 è stato un personaggio rivelazione, tanto che Fiorello lo volle come surreale inviato del suo Viva RaiPlay. Ora, Phaim Bhuiyan torna nel mondo che aveva già presentato al cinema, con Bangla – La serie (già disponibile interamente su RaiPlay, mentre su Raitre parte da questa sera, mercoledì 27 aprile 2022, alle 20:20), che altro non è che il sequel del lungometraggio. A tre anni di distanza, il regista e sceneggiatore mantiene intatta la sua visione di un mondo di periferia che parla agli italiani molto più di tanti altri testimonial più blasonati. E lo fa con lo strumento migliore: l’ironia e l’autoironia.
Bangla – La serie, recensione
Già il film del 2019 aveva dimostrato come sia possibile parlare di integrazione, di seconde generazioni ma anche degli italiani di oggi senza fare troppa retorica e senza il dito puntato da nessuna parte. Bhuiyan, nel suo racconto, non fa altro che mostrare una realtà che esiste già, ma che fatica a trovare spazio sul piccolo schermo.
Netflix ci aveva provato la primavera scorsa con Zero, inserendo però la trama fantasy del protagonista dotato di superpoteri al suo interno (l’esperimento, poi, sappiamo non essere andato bene come si sperava). Nel caso di Bangla, la realtà del quartiere romano di Torpignattara, le sue differenze ed il caos che regna tra i vari personaggi bastano ed avanzano per portare avanti tutti ed otto gli episodi della serie.
Ed è la voce narrante dello stesso Phaim Bhuiyan ad accompagnarci: non perché la trama sia complessa e necessiti di spiegazioni, ma per farci entrare meglio nel punto di vista di un protagonista in cui si ritrovano molti altri giovani della sua generazione, che vivono le sue stesse difficoltà.
Perché se è vero che Bangla si sofferma su una cultura che sarà differente per gran parte degli spettatori, si può altrettanto dire anche che Phaim, Asia e gli altri giovani personaggi ben rispecchiano una generazione bombardata di regole, richiami ed avvertimenti, e che si ritrova bloccata in un limbo, con il timore che, qualsiasi decisione si prenderà, qualcuno ne rimarrà deluso.
Bangla non è una storia di integrazione, ma una storia di un’Italia che quel processo lo ha già attraversato ed ora vive gli stessi problemi di sempre, ma con la consapevolezza che quelli sono i problemi di tutti, non solo di alcuni. Religione, amore, famiglia e lavoro: che tu sia “bangla” o italiano, è la vita di sempre che va affrontata. Magari con un po’ più di ingenuità, paura di sbagliare e voglia di osare.