APPUNTI SULLA POST TELEVISIONE (6)- TUTTI CRITICI, ANCHE SENZA DESIDERARE DI ESSERLO
Un amico del nostro tvblog ha rivolto a tutti un interrogativo che è rimasto senza risposta, prendendo spunto dai trent’anni dalla morte di Achille Campanile, il critico televisivo dell’Europeo. La domanda era semplice e diretta: cosa ne pensate della critica in questo campo? Silenzio. Il dato è significativo, mentre carrettate di commenti spaziano dall’auditel al
Un amico del nostro tvblog ha rivolto a tutti un interrogativo che è rimasto senza risposta, prendendo spunto dai trent’anni dalla morte di Achille Campanile, il critico televisivo dell’Europeo. La domanda era semplice e diretta: cosa ne pensate della critica in questo campo? Silenzio. Il dato è significativo, mentre carrettate di commenti spaziano dall’auditel al gossip o al divismo del video. Comprensibilissimo. Si parla di globalizzazione, ovvero di stimoli e di necessità di uscire dai propri confini anche personali, e invece continuiamo a incontrarci sullo stesso pianerottolo. Può essere consolate. Ma la situazione in cui siamo segnala cambiamenti talmente impercettibili da renderli quasi invisibili.
Eppure, un’analisi sulla critica tv bisognerà pur farla. La fanno solo i quotidiani in senso tradizionale e scampoli di opinioni critiche vengono sparse come seminagione senza troppi frutti nella terra arida dei talk show della domenica o dei contenitori del mattino o del pomeriggio. Per ora, sono prudente d’abitudine, conviene riflettere un poco sul lavoro di Campanile che pochi o nessuno conoscono oggi, nonostante la nuova edizione di qualche suo libro (compreso quello sulla tv) e la rappresentazione di qualche spettacolo dedicato ai suoi testi teatrali (ne circolano uno con Piera Degli Esposti).
Achille Campanile, nato a Roma, pseudonimo di Gino Cornabò, scriveva sull’Europeo negli anni in cui io molto giovane tenevo sullo stesso giornale una rubrica teatrale e mi occupavo di cinema come sceneggiatore. Era la seconda parte degli anni Settanta. Campanile, essendo l’Europeo un settimanale, faceva squillare i suoi giudizi spassosi e la sua brillante ironia una volta ogni sette giorni. Ecco, una prima osservazione: una settimana rappresenta un lasso di tempo sufficiente per decantare meglio parole e valutazioni. Tutta la nostra commiserazione,e invidia (?), la rivolgiamo – noi che lavoriamo in tv e leggiamo, scriviamo di tv – a chi senza tremare quotidianamente porta la croce sul Golgota dei mille e uno schermi di indefinibile delizia.
Il prode Anchille di “Agosto moglie mia non ti conosco“, “Il povero Piero“, “L’inventore del cavallo“. Aveva una leggerezza e un’intelligenza che mancano molto alla scrittura e alla riflessione sui massmedia. Apparteneva a una fase in cui la critica tv veniva affifdata dai direttori dei giornali a scrittori o a persone di una certa levatura culturale e affidabilità. Un pò per esorcizzare il nuovo mostro e un pò per venire a patto con lui a suon di qualità di attenzione. Vengono in mente i nomi di Ugo Buzzolan, di gusto letterario e teatrale; Mino Doletti, di gusto cinematografico; Sergio Saviane, di gusto letterario e giornalistico in senso alto; Morando Morandini, in realtà più interessato a spartire il suo tempo col cinema; Alfredo Barberis, critico letterario, e così via. Tutte persone impegnate, chi più e chi meno, a capire qualcosa che sfuggiva alla sensibilità degli intellettuali dell’epoca.
Umberto Eco semplificava allora (anzi lo aveva fatto negli anni Sessanta) la situazione dividendo gli “apocalittici”, ovvero coloro che pensavano che la tv fosse il diavolo, dagli “integrati”, cioè coloro che accettavano le novità del nuovo mezzo (Eduardo de Filippo lo definiva “un elettrodomestico”) e magari cercavano di lavorarci, di starci dentro per capirlo meglio. In questo senso, in Francia, ci fu chi teorizzò addirittura l’esigenza di avere la critica all’interno degli organismi televisivi per stimolare confronti e idee. In Italia, ci fu qualche tentativo nella medesima direzione. Ad esempio, nel mio piccolo, posso dire di essere entrato in Rai alla fine degli anni Sessanta dopo avere fatto la critica in un giornale di Bologna, esperienza importante e significativa per me che peraltro volevo assolutamente “tradire”.
Ma quel che conta a trent’anni dalla scomparsa di un Achille senza talloni deboli, è verificare che cosa sia diventato questo prezioso esercizio di analisi e di ragionamento ( anche in chiave ironica e divertente da leggere) nel tempo delle immagini che rimbalzano sulle immagini. Campanile e altri come lui hanno rappresentato una fase pionieristica, avendo avuto b il merito di adottare e praticare atteggiamenti elastici, vivaci, colmi di sorniona saggezza.
Adesso cosa serve? quale movimento è utile, appartiene ai momenti vicini e davanti a noi della post televisione? Non possiedo formule. Ricordo con piacere la levità e l’acutezza di Campanile. Trovo che, rispetto a lui e a pochi come lui, si leggeva nei suoi commenti la preoccupazione di puntare sulla competenza e soprattutto sull’onesta, la credibilità. Non cercava bersagli facili, retroscena, dietrologie politiche e ideologiche, non si comprometteva con giudizi improvvisati che diventano durevoli fino a trasformarsi in coazione a ripetere quasi maniacali.
Guardiamo dunque alla post televisione in modo più libero. Aumenterebbe in questo modo, rinunciando alle fisime e al velleitarismo di scherzare (senza esserne capaci), consapevolezza su una realtà che promette di essere difficile ma sempre più complessa e interessante. La post televisione è un campo aperto di ricerca per il quale serve una preparazione ad ampio raggio. E serve sensibilità. Il prode Achille aveva soprattutto questa, e scriveva con uno stile che spronava all’acutezza e alla misura, mordendo e non sdraiandosi sui tanti conformismi che la conformista tv è capace di suscitare. La tv è come il piffero dei fachiri per i serpenti. I serpenti sono i critici che ballano a suon di pifferi da video.
ITALO MOSCATI