Antonio Campo dall’Orto: “Voglio una tv popolare senza l’angoscia degli ascolti. Ok Fazio del sabato, Severgnini e E’ arrivata la felicità”
Antonio Campo dall’Orto a tutto tondo, parla della nuova Rai al Corriere della Sera.
Il mandato di Antonio Campo dall’Orto come direttore generale della Rai è iniziato ad agosto scorso. L’ex dirigente di Mtv sta lavorando in “autonomia totale” con un compito ben preciso – dichiara in un’intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera -, quello di “riportare la Rai a compiere in modo più alto il servizio pubblico, basandomi su due linee: competenza e meritocrazia”. Lo sta facendo senza interventi esterni da parte del Premier Renzi (“L’ho sentito il 5 agosto, quando mi ha chiesto di fare il direttore generale, ma non mancheranno i momenti di confronto. I miei interlocutori sono soprattutto dentro l’azienda, non fuori”).
Ma cosa ha fatto nel frattempo? “Ho iniziato la costruzione delle architravi per la grande trasformazione con cui porteremo la Rai nel mondo di oggi. Per fare solo qualche esempio ho istituito una direzione creativa che contaminerà tutte le attività, e una direzione digitale, che farà della Rai una media company. Ricordo l’accordo con Sky per portare Rai 4 sul satellite e quello con Netflix per la coproduzione di Suburra. Ci vuole più tempo a costruire una macchina nuova che a mettere il carburante in una vecchia. Noi stiamo costruendo una macchina del tutto nuova”.
Non si tratta di una rivoluzione ma di “una fortissima accelerazione al cambiamento” partendo dal prodotto: “Che si tratti di un programma di informazione, di una fiction o di un programma radio, questi vanno pensati fin dalla loro origine per tutte le destinazioni possibili, dalla tv allo smart phone a internet. Il tutto cercando di rendere evento tutto ciò che lo può essere”. Come? “Lavorando sulla comunicazione e il coinvolgimento delle persone […] La Rai deve fare bene i suoi contenuti e distribuirli in tutti i modi che consentono un salto culturale”. Campo dall’Orto prende come esempio la storia di Lea Garofalo ed il “quasi 20% di ascolti, quasi il doppio dei due talk show in programma contemporaneamente”.
Ma i talk non sono morti, sottolinea: “Stanno migliorando, riconosco la volontà di diventare più comprensibili. Per esempio la formula del sabato sera di Fazio funziona. Ma sono troppi. E non ha senso schiacciarli l’uno contro l’altro nella stessa sera. Credo molto nella tv scritta, che è maggior garanzia di qualità. Certo non si può scrivere tutto; ma la parte non scritta perde forza se manca la qualità degli interpreti […] Lo speciale di Vespa sui fatti di Parigi è andato bene. Nello stesso tempo se ne stava occupando Fazio, in modo molto diverso, e anche lui è andato bene. L’importante è trovare i toni giusti”.
E fra le fiction apprezza quella scritta da Ivan Cotroneo: “La mia indicazione è privilegiare contemporaneità e, se possibile, ambizione internazionale. Una fiction come È arrivata la felicità, che racconta la società che cambia, è un buon esempio di servizio pubblico. Come Sotto copertura sull’arresto del boss Iovine. Su queste cose investiamo volentieri. Su prodotti melò come Grand hotel facciamo fatica. Non dico non si debbano fare; ma non vedo perché dovremmo spenderci soldi pubblici”.
Capitolo telegiornali e newsroom: “Il punto è usare meglio le risorse, e ancor di più le persone. Lo facciamo bene quando usiamo linguaggi diversi e dovremo farlo sempre di più in futuro. RaiNews 24 immagini e notizie; i tg racconti brevi; gli approfondimenti sono basati sul confronto tra opinioni. Abbiamo un brand molto forte sulle inchieste, Report, ma dobbiamo per esempio lavorare di più sugli approfondimenti. Dobbiamo lavorare sull’efficienza e sull’efficacia. Ci sono buone idee: il programma di Severgnini mi è piaciuto […] A me pare però che l’informazione in Rai la sappiamo fare bene”.
I direttori cambieranno? “Ci sarà un giusto equilibrio tra le competenze esterne e quelle interne. Per la direzione digitale ho individuato un manager che proviene da esperienze internazionali. Per la direzione creativa sto facendo una ricerca che coinvolga sia interni che esterni. In altri ruoli valorizzeremo i talenti che sono già in Rai e sono disposti ad accettare la sfida della trasformazione”. E sugli agenti: “In tutto il mondo per ingaggiare gli artisti si tratta con i loro agenti. In Italia è tutto concentrato in troppe poche mani. Più l’editore ha chiara la propria missione, maggiore è la sua forza contrattuale”.
Infine racconta: “Le varie reti devono costruire spazi editoriali complementari, pensando anche ai giovani. Oggi per i giovani la Rai è un brand poco attrattivo […] Io voglio una tv popolare che non abbia l’angoscia degli ascolti. E voglio anche una tv di qualità. Tornerà l’indice di gradimento. Il Qualitel darà la media mensile dei vari programmi. Quelli di Alberto Angela ad esempio hanno un buon riscontro […] Anche perché secondo me il servizio pubblico deve avere meno pubblicità. Dal primo maggio il canale Yo-yo per i bambini e i canali culturali come Rai5 non avranno pubblicità”.