Home Rai 2 Antonino Monteleone a TvBlog: “Degli ascolti non me ne frega niente. L’Altra Italia punterà alla qualità. TeleMeloni? Non siamo in Corea del Nord”

Antonino Monteleone a TvBlog: “Degli ascolti non me ne frega niente. L’Altra Italia punterà alla qualità. TeleMeloni? Non siamo in Corea del Nord”

Antonino Monteleone: “C’è una classe di critici televisivi ossessionata dagli ascolti, la mia priorità è solo quella di realizzare un prodotto alto. TeleMeloni? Se qualcuno ha la capacità di dimostrare che sono un professionista di area, lo faccia. Ma non ci riuscirà mai”

30 Agosto 2024 11:02

Sarà il volto nuovo dell’informazione Rai e, come ama sottolineare lui stesso, anche quello più giovane. Classe 1985, Antonino Monteleone è pronto al grande salto, che si concretizzerà a partire da giovedì 3 ottobre, quando su Rai 2 prenderà il via L’Altra Italia. “Non ci inventeremo niente di nuovo – spiega il giornalista a TvBlog – sarà un talk di approfondimento, che poggia su uno schema abbastanza semplice. La vera difficoltà sarà semmai quella di mantenere uno spazio che consenta di realizzare inchieste e servizi più strutturati. Vorremmo non essere vittime degli eventi della quotidianità. Questo ci consentirebbe di essere più concentrati, di poter programmare in anticipo una parte di trasmissione”.

Monteleone desidera pertanto dedicarsi a quegli argomenti che non vengono affrontati nei classici salotti televisivi: “Non stravolgeremo la puntata per seguire l’attualità, che comunque non ignoreremo. Ma ci sono questioni che non vengono mai trattate, come la giustizia o le difficoltà delle periferie. Vogliamo occuparci delle ingiustizie che subisce il cittadino comune fuori dai riflettori. C’è una parte di racconto della società a cui non è giusto voltare le spalle”.

La scuola de Le Iene – dove ha militato per sette anni – risulterà determinante: “La forza di quel format è tradurre in termini semplici argomenti complessi. L’Altra Italia sarà qualcosa di scollegato, differente, ma la mia è un’ambizione di linguaggio, ovvero semplificare le cose senza banalizzarle. Spesso si confondono i due concetti. L’Altra Italia è pure quell’Italia che non partecipa al gioco della politica, che non va a votare. I numeri dell’astensione sono altissimi”.

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A proposito di Iene, cosa ti ha portato a cambiare aria?

Molto semplicemente mi si è aperta un’opportunità. Ho sempre desiderato fare qualcosa di mio e la possibilità è arrivata. A Italia 1 ero ben pagato, ben voluto, avevo una certa influenza sui contenuti e Davide Parenti è come un padre per me. Mi ha voluto e mi vuole bene. Però se certe occasioni non le cogli a 39 anni, quando le cogli?

L’Altra Italia ricalcherà la struttura di Nemo?

No. Nemo è stato un programma molto bello, un successo della Rai. All’epoca non c’era TeleMeloni, ma qualcuno pensò che non bisognasse più investire in quel progetto. Non potendo gridare a TeleMeloni non se ne parlò. Noi comunque faremo qualcosa di diverso. A Nemo il talk non c’era, alcuni protagonisti dei servizi verranno in studio e il pubblico sarà partecipe. Inoltre intendiamo coinvolgere i politici per farli misurare con la realtà.

Come si svilupperà lo studio?

Trasmetteremo dallo studio 6 del Nomentano, che è molto grande. Sarà un rettangolo e, come detto, ci sarà il pubblico, tanto pubblico. E’ un aspetto a cui tengo molto. La televisione post covid ci ha rinunciato e la cosa mi intristisce. Sentire l’umore della gente rappresenta un buon responso ottenuto in tempo reale ed è oltretutto utile ad allargare lo spettro del dibattito.

Sarà la prima esperienza da conduttore puro, dopo anni passati dietro al bancone ad introdurre o commentare servizi. Intimorito dal grande salto?

Quando Massimo Giannini approdò alla guida di Ballarò nessuno disse che fino a quel momento era stato solo un ospite. Anche Nicola Porro e Giovanni Floris non conducevano prima di arrivare ad un talk. Sarà un grandissimo salto e sono emozionato, vero, ma non trasformiamo questo incarico nel lavoro di un cardiochirurgo. In fondo, nessuno che inizia a fare qualcosa per la prima volta lo ha mai fatto prima.

Un po’ di pressione è inevitabile che ci sia.

La critica televisiva si è trasformata in un esercizio di pompe funebri. Ho avuto molte esperienze di dirette, ho all’attivo innumerevoli presenze in studio come ospite. Ma domando: siamo sicuri che il settore informativo sia pieno di opportunità per i giovani? Se questo mercato fosse foriero di opportunità, probabilmente non risulterei il più giovane conduttore della prima serata in quel campo.

Già fissata la durata del programma?

Non penso che andremo oltre la mezzanotte, salvo situazioni clamorose. Anche perché dopo di noi ci sarà Monica Setta.

Chiunque approdi in Rai in questa fase, per di più sul fronte del talk politico, rischia di essere etichettato come filo-meloniano. Nella centrifuga ci finirà di sicuro anche L’Altra Italia, ne sei consapevole?

Sinceramente, mi spieghi cosa intendi per TeleMeloni? Se significa che il governo ha indicato i vertici dell’azienda pubblica, allora in passato ci sono stati anche TeleDraghi, TeleConte, TeleGentiloni, TeleRenzi, TeleBerlusconi. Tra pochi giorni ricominceranno Presa Diretta, Il Cavallo e la Torre, Report. Non mi pare che questi programmi subiscano chissà che cosa. A volte leggi i giornali e pensi di essere in Corea del Nord. Se qualcuno ha la capacità di dimostrare che sono un professionista di area, lo faccia. Ma non ci riuscirà mai.

L’Altra Italia intenderà denunciare quello che non va nel nostro Paese, quindi punterete ad essere scomodi agli occhi del potere. Ti senti libero di poterlo fare?

Le notizie sono sempre scomode per il potere, perché ogni potere ha qualcosa da nascondere. Purtroppo in Italia ci concentriamo e intendiamo essere implacabili solo verso il potere politico e governativo, dimenticandoci di quello giudiziario. In quel caso il piglio critico svanisce. Il giornalismo è chiamato a rendere noto come il potere viene esercitato e dobbiamo farlo sempre e con tutti. Riguardo alla libertà, questa è qualcosa che tu ti prendi. E te la prendi se il giornalismo poggia sui fatti. Accetto la pressione e le aspettative di chi si attende alta qualità, tuttavia respingo con forza l’idea di chi pensa che la decisione di affidare una trasmissione a Tizio o Caio sia ancorata ad un binario di natura partitica.

Andrete al giovedì, in una serata impossibile.

Vero, ma non esistono più serate facili. Se ti piazzi al mercoledì ti scontri con Chi l’ha visto?, al lunedì ci sono fiction e partite. Ogni giornata è complessa, ormai. Ma la mia priorità è esclusivamente quella di realizzare un prodotto alto, che sia più fresco nel confronto e nella discussione. Credo si possa svecchiare sia l’andamento che il ritmo del dibattito.

Non posso credere che gli ascolti non ti preoccupino.

Non me ne frega niente. Mi interessa che il programma pian pianino possa incuriosire e far parlare di sé. I giornalisti fanno l’errore di sentirsi quelli che fanno avverare le profezie. C’è una classe di critici che è ossessionata dagli ascolti, ritenendoli l’unico indice di qualità. Quest’isteria nel resto d’Europa non c’è.

Allora inutile chiederti a che dato di share punti.

Mi hanno consigliato di non guardare fuori dal finestrino, ma di guidare. Come frase di incoraggiamento mi piace molto. Dopo un anno tireremo le somme e capiremo se il format è piaciuto o meno.

Accetto l’ammonimento, ma facciamo un patto: se davvero l’ascolto non è importante, promettici che non stravolgerai struttura e identità del programma al primo responso negativo.

Non è il cambio di trasmissione in corsa che ti garantisce l’aumento di mezzo punto percentuale. Il problema è che questo clima è figlio di questa critica televisiva. La verità è che il pubblico deve abituarsi al prodotto. Serve tempo.

Se un’azienda, come spesso è accaduto, chiude un programma anzitempo per bassi ascolti, vuol dire che l’Auditel ha un suo peso, al di là dell’ossessione dei critici per numeri e curve.

Penso che non si debbano prendere provvedimenti basandosi esclusivamente sul dato d’ascolto, che non rispecchia necessariamente il gradimento. Dovremmo superare quest’ossessione della tv commerciale proiettata sulla televisione pubblica.

Inizialmente sareste dovuti partire a novembre, poi avete optato per ottobre. Comunque troppo tardi, rispetto ad una concorrenza che avrà già messo la quinta.

Cominciare a novembre sarebbe stato un errore, un regalo agli altri. Si immaginava che il tempo per mettere in piedi la macchina sarebbe stato lungo. Fortunatamente si è lavorato più velocemente del previsto, con una produzione che è totalmente interna alla Rai, realtà che troppe volte viene maltrattata nonostante ci lavorino persone che danno anima e cuore. Anche ottobre non è prestissimo, ma è una situazione che l’anno prossimo non rifaremo.

Sei addirittura proiettato su una seconda edizione?

Bisogna avere la leggerezza d’animo di guardare a lungo termine, altrimenti si spegne la fantasia e la voglia di sperimentare. La mia ambizione è fare un programma che sopravviva al conduttore.

Piazzapulita e Dritto e Rovescio sono due realtà collaudate, con un pubblico fidelizzato. Non temete di essere l’agnello sacrificale?

Avrò una squadra all’altezza della sfida, che non sarà facile. Ma chi deciderà di darci fiducia non rimarrà deluso. Rai 2 è la rete che ha la prima serata che parte più tardi. La nostra scommessa sarà difficile, perché è difficile Rai 2. Chi il giorno dopo fa le pulci leggendo i numeri, questo aspetto dovrebbe sottolinearlo. La cultura del piangersi addosso è l’antitesi del mio modo di vivere e lavorare. Se avremo una situazione svantaggiosa, la aggireremo con la qualità. Saremo altra cosa rispetto a Formigli e Del Debbio. Avremo elementi scenografici, alcuni polemici.

Ad esempio?

Tipo la presenza della bandiera della Nato in studio.

Potrebbe capitare di aggiungerci anche quella israeliana?

Personalmente sono devastato per ciò che sta succedendo nel conflitto mediorientale. Come tutte le persone normali, di fronte all’orrore della guerra non posso avere un animo leggero. Ma in questi anni c’è stata un’opera di disinformazione scientifica, utile ad esacerbare il clima. Nel mondo si stanno rendendo dei bersagli gli ebrei solo per il fatto che sono ebrei e persone solo perché hanno il passaporto israeliano, senza fare distinzioni, storpiando il significato di genocidio ed occupazione. Questa cosa da noi non sarà consentita.

Vorrebbe dire finire nell’occhio del ciclone dopo mezzo secondo.

Se le mie posizioni sul conflitto in Medioriente dovessero provocare la chiusura de L’Altra Italia, sarei ben contento di chiudere. Vale la pena fare questa battaglia. Attenzione, ciò non significa che verranno esclusi gli altri punti di vista, ma avrò la mia idea. Il servizio pubblico non può permettere che vengano ribaltati i fatti, che vengano fatte passare le veline di Hamas come fonti affidabili. In questa storia c’è chi il genocidio lo vuole fare, Hamas, e chi lo potrebbe fare e non lo fa. Non s’è mai visto un genocidio che dura un anno; sarebbero bastati due giorni. Il dibattito è stato inquinato da alcune mistificazioni. Non è vero che la Palestina non c’è per colpa di Israele, non c’è per colpa dei Paesi arabi.

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