Antonella Clerici a TvBlog: “Amo essere popolare, non sarò mai un piatto di caviale. Lasciai Mediaset per via di Funari, fu la mia fortuna”
Intervista ad Antonella Clerici: “Rai 1 è romanocentrica, ma a Milano sto bene. Stando lontana dai luoghi di potere non sento il vento del pettegolezzo. Sanremo del 2005 fu traumatico, nel 2010 feci il Festival che piaceva a me. Tornare all’Ariston? Magari accadrà”
Da trentasei anni ha siglato un accordo col pubblico. “Un patto di lealtà e chiarezza”, lo definisce lei, che l’ha resa uno dei volti più amati della televisione italiana. Antonella Clerici non ha maschere, è ciò che appare, senza possibilità di malintesi. “La mia aspettativa dopo tanti anni è soprattutto divertirmi e divertire”, racconta la conduttrice a TvBlog. “Voglio portare leggerezza, fare compagnia. Da sempre penso che se in una trasmissione ci inserisci gli ingredienti giusti, come in cucina, i messaggi arrivano. Ci sono ciambelle che escono col buco, altre meno, ma se cerchi di fare del tuo meglio il pubblico ti premia. Io non ho mai nascosto nulla, né le mie emozioni, né i miei patemi. Quando sono in onda, soprattutto nel quotidiano, è come se vedessi il pubblico che si muove tra le stanze di casa”.
‘Concordia’ è la sua parola d’ordine nel lavoro. Perché senza armonia non si va lontano: “Mi circondo sempre di persone positive, voglio che ci sia un bel clima, non conflittuale. Per il resto, non mi pongo mai aspettative. Quasi sempre, quando parto con la sola idea di fare le cose bene e con criterio, i risultati non mancano”.
La quarta stagione di E’ sempre mezzogiorno è partita da poco. Un’avventura inaugurata nel settembre 2020, nel pieno dell’emergenza covid. Un periodo drammatico, capace però di far viaggiare la mente: “In quella fase mi venne l’idea del bosco”, rivela la Clerici. “Durante il lockdown abbiamo capito quanto fosse importante possedere un pezzo di terra, poter stare all’aperto. Io avevo il privilegio di vivere a contatto con la natura. La mia intenzione iniziale era quella di un programma da casa, familiare, più contenuto, non mi interessava tornare ad occupare il mezzogiorno. Ad insistere fu l’allora direttore di Rai 1 Stefano Coletta. Mi disse che stavo ragionando in piccolo e che sarei dovuta tornare in quella fascia oraria. A quel punto, decisi di portare un po’ del mio bosco in via Mecenate. L’immagine sul ledwall dà respiro allo studio e a questo ci ho aggiunto i discorsi sulla sostenibilità e un clima familiare, grazie alla mia compagnia di giro e ai cuochi che mi vengono a trovare”.
A proposito di empatia, prima spiegava di come riesca a percepire le azioni degli spettatori a casa.
Intendo dire che avverto quando un momento è troppo lungo, o noioso. Ragiono soprattutto da spettatrice. Mi domando: ‘ma questa roba io la guarderei?’. Un programma deve avere una sua identità, deve essere qualcosa che riesci a spiegare in maniera facile al pubblico.
Lo stesso pubblico con cui lei ha instaurato un rapporto fiduciario.
Una volta il format era più importante del conduttore. Al contrario, oggi il conduttore è tornato al centro della tv, soprattutto con l’avvento dei social. Con mille canali a disposizione è fondamentale trovare il volto che ti piace. Lo spettatore ti segue ovunque tu vada. Ovviamente vale soprattutto per i conduttori più identificativi.
Tornando a E’ sempre mezzogiorno, partiste senza la presenza del pubblico in studio a causa della pandemia. In seguito però la formula non è mutata.
All’inizio non si poteva, per via delle varie restrizioni, poi sono subentrati altri fattori. Spesso la gente veniva in pullman, ma tra maltempo, traffico e altri disagi si presentavano dei problemi. Capitava di dover chiamare dei figuranti, allora mi sono convinta che potevamo farne a meno. Avere un pubblico che non è partecipativo non ha senso. Nell’appuntamento quotidiano non ne ho nostalgia, altra cosa sono gli show serali. Lì il contesto lo richiede.
Con E’ sempre mezzogiorno ha anche dato uno scossone forte alla sua vita.
Nel 2018, finita La Prova del Cuoco, pensavo che non sarei più tornata al mezzogiorno. Mi ero trasferita in Piemonte per amore e avevo cambiato vita. La provincia è il posto migliore dove far crescere i figli. Li puoi controllare meglio e tutelare. Venire ad Arquata Scrivia è stata una scelta di vita. Rai 1 è romanocentrica, è vero, ma nello studio di Milano sto molto bene, ci sono praticamente solo io, è la mia seconda casa. Stare lontana dai luoghi centrali e di potere mi consente di stare tranquilla, isolata e di non sentire il vento del pettegolezzo. Non nego che mi manchino tanti amici dello spettacolo che inevitabilmente vedo meno, ma alla fine Milano ti consente di essere più lucida ed indipendente. Sono in un’oasi felice e lo apprezzo.
Ha pensato per un istante di salvare il brand de La Prova del Cuoco, oppure è stata sempre convinta che servisse cambiare formula?
In realtà ero un po’ stanca della gara tra i cuochi. La Prova del Cuoco rimarrà per sempre il mio programma, lo adoro. E’ stato la mia vita, il mio grande successo e tutto è cominciato da lì. Non rinnegherò mai un format che mi ha dato tutto, anzi spesso e volentieri lo cito. E’ sempre mezzogiorno è un’altra cosa, un altro mondo. Come spiegavo poc’anzi, volevo fare qualcosa che durasse 15 minuti, nel bosco, immersa nella natura. Quando mi sono trovata a lavorare su un progetto diverso, l’ho allargato e senza saperlo mi sono trovata con una trasmissione nuova. L’avvicendamento è stato casuale.
L’amore per la cucina scoccò dopo un’esperienza negativa a Mediaset. Nel 2000 lavorava ad A tu per tu e se ne andò quando nel programma subentrò Gianfranco Funari.
Mi allontanai volutamente e quella fu la mia fortuna. Sono forse l’unica che col passaggio a Mediaset non ci ha guadagnato (ride, ndr). Ad A tu per tu non ero a mio agio e ci finii un po’ per ripicca. Venivo da Uno Mattina, che era andato molto bene, e mi avevano promesso Domenica In. Cambiarono idea e mi ritrovai senza una vera conduzione. Siccome ero puntigliosa, annunciai che mi sarei fermata. In quel momento arrivò l’offerta di Mediaset con questa trasmissione sulla carta carina. Strada facendo mi accorsi che non faceva per me, faticavo, dovevo recitare una parte, prendere la difesa di una tesi, contrapposta a quella di Maria Teresa Ruta.
Proprio in quel periodo accennò ai dirigenti di Canale 5 l’idea di un cooking show.
Esatto. Andai da Giorgio Gori e gli confidai che avrei voluto fare un programma di cucina. A Mediaset non credevano nel progetto, sembrava una roba strana, ma io mi ero fissata. Continuavo a ripetere: ‘funziona in America, dove mangiano male, mentre in Italia dove tutti ci invidiano il cibo non abbiamo una trasmissione di questo tipo’. Ad ogni modo, non volevo più stare con Funari. Staccarmi fu la mia salvezza, trovai Marco Bassetti, che ringrazierò sempre, a cui rivelai le mie intenzioni. Mi rispose che un format esisteva, durava appena mezz’ora. La Prova del Cuoco ci scoppiò tra le mani. Successivamente, Fabrizio Del Noce capì la forza del programma e dal 2001 lo ampliò.
Erano anni in cui i programmi di cucina si contavano sulle dita di una mano.
Adesso la cucina è sdoganata, a quei tempi no. La cucina è il fulcro della nostra vita, attraverso la cucina si risolvono i problemi. A tavola è cambiata la politica mondiale, si sono riconciliate le persone. Mi incavolo come una bestia quando per zittirmi su un argomento mi dicono ‘che ne capisci tu, tornatene in cucina’. La cucina è il pretesto per chiacchierare, è il centro della nostra casa, è un luogo importantissimo. ‘La Clerici sa di sugo’, affermò un famoso cantante di cui non farò mai il nome. Ebbene, per me è un valore aggiunto, significa essere popolare. Non sarò mai un piatto di caviale, preferisco sapere di sugo.
Tentò l’abbinamento tra cucina e reality con Il Ristorante. L’esperimento non fu memorabile.
Non sono d’accordo. Tanta gente mi domanda ancora oggi perché non venga riproposto. Probabilmente era un reality troppo innovativo per l’epoca e non propriamente adatto a Rai 1, ma ci divertimmo molto. L’idea era di Simona Ercolani, donna brava e dinamica che stimo molto. Il programma che non andò bene fu semmai un altro.
Si riferisce a Portobello?
Sì, il remake non ha funzionato e ragionandoci col senno di poi era naturale che accadesse. Quel programma è stato saccheggiato da chiunque e con i social ha perso parte del suo significato. Mi è dispiaciuto molto, mi sarebbe piaciuto onorare al meglio la memoria del grande Enzo Tortora. I tempi evidentemente erano sbagliati. Era un periodo per me faticoso, se l’avessi seguito più da vicino l’avrei un po’ modificato, rendendolo più un mercatino. Comunque non amo scaricare le colpe, il conduttore è sempre responsabile, nei successi e pure negli insuccessi.
Tra gli errori ci inserisce anche l’eccessiva durata delle puntate?
Se il programma fosse durato un’ora sarebbe stato diverso. Secondo me le durate dilatate annacquano tutto. E’ un peccato, sarebbe meglio evitarle, ma lì subentra un discorso di risparmio.
Risale al 2005 la sua prima volta a Sanremo, al fianco di Paolo Bonolis. Si trattò di un’edizione tanto riuscita quanto tormentata e funestata dagli eventi.
Successe di tutto, dalla morte di Alberto Castagna nella serata inaugurale fino alla tragica uccisione di Nicola Calipari, con la salma che rientrò in Italia durante la finale. Fu traumatico, però fu soprattutto Paolo, in quanto conduttore, a sobbarcarsi il peso di quelle notizie tragiche. Una bara che arriva dentro al Festival non è semplice da gestire. Ho il ricordo di trattative estenuanti su cosa fosse giusto o non giusto fare. Non c’erano i social, forse oggi sarebbe stato più complesso, visto che le notizie si sarebbero sapute in tempo reale. Non si sarebbe potuto attendere il momento più propizio per dare l’annuncio. Io non ero la presentatrice, in quell’edizione imparai molto stando dietro le quinte. Al di là di tutto fu una bella esperienza che mi tornò utile quando lo condussi da sola nel 2010.
Come arrivò la chiamata?
Dopo il boom di Bonolis del 2009 nessuno voleva farlo e la scelta cadde su di me. Vivevo un momento personale molto forte, avevo appena avuto mia figlia ed ero al centro dell’attenzione mediatica. Mi avevano mandato via dalla Prova del Cuoco, dove avevo sperato di rientrare dopo la maternità, ed ero reduce dall’insuccesso della seconda stagione di Tutti Pazzi per la Tele. Avevo tutto contro, ma nella vita ci devi credere. Accettai la proposta e feci il Festival come piaceva a me, molto al femminile, raccontando la mia storia. Chiesi a Rania di Giordania la ricetta di biscotti con cui aveva conquistato il marito, intervistai Jennifer Lopez, mi misi in gioco con le ballerine del Moulin Rouge e ospitai la diva del burlesque Dita Von Teese. Non essendo invidiosa delle donne più belle e brave di me, mi diverto a giocare con loro. Per questo motivo ho un ottimo ricordo di tutto.
Provò anche a portare all’Ariston Checco Zalone.
Lo interpellai, però ci comunicò subito che non se la sentiva. Non fu un rifiuto, Checco non è un amante della televisione, è un attore più da cinema e teatro. Sono una sua grande fan e mi sarebbe piaciuto molto mettere in scena degli sketch con lui, come vorrei farli tuttora. Per me è un vero mito.
Fu conduttrice, ma non direttrice artistica. Suppongo che non sia della corrente che sostiene che i due ruoli debbano andare a braccetto.
La direzione artistica non è il mio mestiere. Pippo Baudo è unico, Amadeus viene dalla radio, è un grandissimo intenditore di musica ed è giusto che ricopra quell’incarico. Io non ero così esperta, lo sono più oggi avendo una figlia che ascolta di tutto su Spotify. Mi sento una conduttrice eclettica e a Sanremo mi sono dedicata esclusivamente a quello, mentre Gianmarco Mazzi si è occupato della direzione artistica. Ciascuno deve fare ciò che sa fare.
Il mini talk show con Pierluigi Bersani e il ministro Claudio Scajola fu forse l’unica nota stonata.
Non la definirei una nota stonata. Fu un momento molto difficile e delicato gestito da Maurizio Costanzo, alla presenza di alcuni operai di Termini Imerese che erano finiti in cassa integrazione. Maurizio è stato un grande della televisione, che ha sempre creduto in me. Va detto che quelli erano altri tempi, non penso che oggi un passaggio del genere si ripeterebbe.
Nonostante gli ottimi risultati d’ascolto, l’anno seguente non concesse il bis.
Non volli rifarlo. A mio avviso non è facile ripetersi, soprattutto se sei solo conduttore. Portare la mia esuberanza per due anni di fila sarebbe potuto diventare ridondante.
Per il futuro lascia aperta la porta?
Magari accadrà, però non ci penso. Sono già molto felice di aver avuto il privilegio di vivere quelle due esperienze straordinarie.
The Voice Senior è un’altra sua scommessa vinta. Oltre a lei, alla vigilia in pochissimi ci avevano puntato.
The Voice è un format che conosco da tantissimi anni. Ho sempre pensato che fosse adatto a Rai 1. Finì su Rai 2 e fu declinato in base alle caratteristiche della rete. Quando mi avvisarono che c’era la possibilità della versione ‘senior’, mi convinsi immediatamente che sarebbe stata una bomba. C’era da poco stato il covid e gli over 60 erano stati i più segnati dalla pandemia. Non a caso, la prima edizione fu molto di cuore, ebbe un significato preciso. Poi è anche un modo per riscattarsi, in una fase della vita in cui rischi di sentirti finito. Ho incontrato signori gagliardissimi, con tanta voglia di cantare e senza alcuna aspettativa. Nessuno partecipa per diventare famoso o incidere un disco. Le loro storie di vita vissuta sono l’aspetto più straordinario di questo format.
Con The Voice Kids si tocca l’estremità opposta.
Sono i due lati dell’esistenza. Da una parte chi ha cantato per una vita, dall’altra il bambino talentuoso ancora in erba. Mi incuriosiva la possibilità di parlare a due universi agli antipodi e al contempo così comuni. I bambini, con alle spalle genitori sani, pensano solo a divertirsi; gli over 60 invece non pensano alla celebrità e vogliono solo godersi l’esperienza.
Le viene da sempre riconosciuta una capacità unica di relazionarsi con i più piccoli. Ma la questione sui minori in tv resta aperta: come vanno trattati?
Innanzitutto bisogna saperli ascoltare. A The Voice Kids non sono chiamati a realizzare uno show, bensì a divertirsi o ad esprimere un talento. Il problema non sono mai i bambini, ma i genitori. Tante volte ho assistito a situazioni in cui le eccessive aspettative di padri e madri hanno rovinato i ragazzi. Più che il talento, è importante come lo coltivi. In genere quando alle selezioni l’aspettativa del genitore prevale sul divertimento del bambino, tendo a scartare la candidatura. Quasi sempre il ragazzino meno spinto è anche il più bravo. Come nel calcio, i grandi giocatori non sono mai quelli che da piccoli hanno avuto i genitori presenti al campo ad urlare sugli spalti.
Nel 2006 si affacciò per qualche mese ad Affari Tuoi. Il game show rimane tuttavia un genere che tra le donne non gode di terreno fertile. Un caso, o ritiene che ci sia una motivazione a monte?
La conduzione del quiz non è femminile. Nei game devi essere sintetico, didascalico e le donne non lo sono, tendono a parlare molto. Ad Affari Tuoi bisognava giocare d’azzardo, rilanciare, bluffare, come nel poker. La maggior parte delle donne non ama l’azzardo, gli uomini in questo senso sono molto più portati. Sono stata l’unica donna a condurlo e non è un caso. Per me fu una grossa fatica. Ci misi molto di mio, dal maialino portafortuna al cazzeggio. Così sopperivo a delle mancanze. I giochi richiedono una conduzione maschile, tesa a sottrarre, a togliere.
Tra le esperienze non positive ci inseriamo pure Domenica In. Le interesserebbe il ritorno ad un’esperienza domenicale?
Condussi Domenica In due volte. E’ un programma che professionalmente non mi ha dato molto. Sono convinta che Mara (Venier, ndr) stia alla domenica pomeriggio come io sto al mezzogiorno. E’ il suo regno, così come il mezzogiorno è la collocazione a me più congeniale.
Ha avuto la capacità di trasformare le gaffe in punti a suo favore. Qualità che non appartiene a tutti.
Sono espressione della mia naturalezza e mi hanno regalato una popolarità pop. Ridono ancora sulla storia della ‘borra’. La figlia del mio compagno Vittorio è andata in Islanda. Sul libro dei ricordi che i turisti riempiono, qualcuno un anno prima aveva lasciato scritto ‘fa schiuma, ma non è un sapone’. Sono situazioni che ti caratterizzano e non te ne devi vergognare. Mike Bongiorno sulle gaffe ci ha costruito la carriera.
A TeleSogni era andata peggio. Avrebbe voluto dire che non poteva vivere senza calcio, ma le uscì un’altra parola.
In quell’occasione davvero non me ne accorsi. Facevo Uno Mattina e arrivai in trasmissione che ero stanca morta. Poco prima una persona utilizzò la parola ‘cazzata’. Quando mi fecero la domanda unii le due cose e non me ne resi conto. Realizzai il tutto a casa, quando accesi il televisore e scoprii che ero finita su Striscia. Pensa, Il Messaggero mi dedicò persino la prima pagina. Sono episodi che mi hanno regalato notorietà e che mi hanno donato tanti meme. Ci sorrido su.