Anna, Niccolò Ammaniti fa “una serie sulle cose importanti”: la recensione in anteprima
Non spaventi l’apocalisse causata da una pandemia: Anna, la nuova serie di Sky, è un inno all’importanza della conoscenza e delle nuove generazioni
Fonte: Greta De Lazzaris
Prendere il mondo come lo conosciamo, inserirvi un elemento piccolo ma che cambia tutto e vedere l’effetto che fa. Il gioco “inventato” da Niccolò Ammaniti funziona, sempre: ci era riuscito già con Il Miracolo (che esplorava le conseguenze della scoperta di una statua della Madonna che lacrimava sangue) ed ora ci riesce con un’altra serie, Anna. Sei episodi, tutti disponibili dal subito su Sky e su Now a partire da domani, venerdì 23 aprile 2021.
Un’altra pandemia? Sì, ma non fatevi ingannare
Anna, però, è anche e soprattutto altro: l’apocalisse virale voluta da Ammaniti -ricordiamo che la storia è tratta dal suo omonimo libro del 2015 edito da Einaudi e disponibile in e-book e che le riprese sono iniziate sei mesi prima dell’emergenza sanitaria- è solo il punto di partenza di un’avventura tanto insolita ed assurda quanto affascinante e poetica.
Nella serie, un’influenza definita “la Rossa” a causa delle macchie che provoca sulla pelle causa la morte della popolazione adulta, risparmiando solo i bambini. Solo diventando adolescenti, il virus si prende possesso di loro. Prima, però, ne sono assolutamente immuni.
Il mondo, quindi, è totalmente a loro disposizione: Ammaniti si chiede come possano sopravvivere senza nessuno che dà loro delle regole ed insegnamenti validi per la sopravvivenza. La risposta la trova nella vicenda della protagonista Anna (l’esordiente Giulia Dragotto), a cui la madre Maria Grazia (Elena Lietti) prima di morire non solo ha lasciato il compito di prendersi cura del fratello minore Astor (Alessandro Pecorella), ma ha anche affidato un quaderno, o meglio, un “Libro delle cose importanti”, dentro cui ha scritto tutto ciò che potrebbe tornare utile ai due figli nel Nuovo Mondo. Da consigli su come capire se un cibo è scaduto oppure no, a come occuparsi del suo corpo una volta morta, e numerose altre indicazioni. Con la consapevolezza, però, che il mondo che Anna ed Astor dovranno vivere potrà richiedere nuove regole, che dovranno scoprire loro stessi.
Per questo, quando Astor sparisce nel nulla, ad Anna non resta che iniziare a cercarlo ed uscire da quel rifugio nel bosco che fino ad allora li aveva tenuti in sicurezza. Un viaggio che la vedrà incontrare Pietro (Giovanni Mavilla), che vive da solo in riva al lago; la cattiva Angelica (Clara Tramontano), a capo dei Blu, una tribù senza scrupoli e Katia (Roberta Mattei), detta La Picciridduna perché unica adulta immune al virus.
Anna su Sky, la recensione: l’importanza di un lascito alle nuove generazioni
Perché Anna ci mette davanti a quella che è una delle paure più grandi di chi ha figli: “dopo che me ne sarà andato/a, loro come faranno?”. Un dubbio che la serie proietta a livello più generale, trasformando il rapporto madre-figlia da cui parte il racconto ad un rapporto tra generazioni.
Cosa stanno lasciando, oggi, le generazioni più grandi a quelle più piccole? Chi sta vivendo il presente con consapevolezza del passato, quanto si sta occupando di coloro che rappresentano il futuro? E’ su questa domanda che Ammaniti fa scorrere tutto il racconto, senza trovare per forza una risposta definitiva, ma mostrando, tramite le varie sottotrame e personaggi che la protagonista incontra lungo questo suo insolito percorso di formazione, tutte le varianti dell’atteggiamento adulto verso i più piccoli.
Facile dire “sono il futuro del mondo”, più difficile dare loro gli strumenti necessari perché quel futuro si possa plasmare già adesso e garantire sia a loro che alle generazioni che verranno non solo una sopravvivenza, ma la vita. Che insegnamenti stiamo lasciando alle nuove generazioni? E’ una domanda che rimbomba per tutti e sei gli episodi, che torna potente ogni volta che viene mostrato il Libro delle cose importanti, un oggetto apparentemente così piccolo nel caos in cui vivono i personaggi, eppure di così grande importanza.
Quel libro diventa così il vero perno intorno a cui far ruota tutta la comprensione della serie: scrivere, leggere, conoscere sono i veri strumenti -e non armi, attenzione- per poter vivere il presente, consapevoli del passato e con lo sguardo rivolto al futuro. La conoscenza si fa alleata indispensabile per la garanzia di una continuità ed al tempo stesso per preparare al cambiamento naturale delle cose.
In Anna, evidentemente, questo ragionamento guarda ad un fallimento che ha portato il mondo ad essere com’è. Ma allo stesso tempo, nel corso degli episodi, prevale sempre più quella luce di speranza che la protagonista stessa, nonostante le mille avversità (e fidatevi che ne vive davvero di ogni), non abbandona. Ci ritroviamo così ad essere noi, pubblico, allievi di fronte ad una bambina che supera i confini del vecchio mondo per affrontare quello nuovo. Con poche regole in tasca e la voglia di trovare un futuro non tanto per sé, quanto per il fratellino. Et voilà, Anna non è più una serie sulla pandemia.
Lo sforzo produttivo di Anna che dà speranza alle serie italiane
Prima di chiudere, non possiamo non soffermarci sul lato produttivo di Anna: lo sforzo di Wildside (società del gruppo Fremantle), Arte France, The New Life Company e Kwaï è stato davvero notevole nel creare dentro la serie una Sicilia totalmente post-apocalittica, pur preservandone la bellezza naturale. Paura e speranza si intrecciano grazie anche al paesaggio, in alcune scene in particolare, in cui sembra lo stesso mondo a dare la spinta necessaria perché la protagonista non molli.
Sappiamo bene che il genere post-apocalittico non è nelle corde dell’audiovisivo italiano, che preferisce andare sul sicuro su altri generi. L’ottima riuscita di una serie come questa dimostra però che si possono intraprendere nuovi percorsi narrativi senza dover per forza cercare l’imitazione a tutti i costi.
Anna non è The Walking Dead, non vuole esserlo, piuttosto vuole essere qualcosa di più: una serie che comunica una propria filosofia anche per immagini, che fa degli occhi dei giovanissimi interpreti uno sguardo fresco ed inedito, che trasforma quella che poteva essere solo una “favola post-apocalittica” una poesia dedicata al futuro. Ed a tutti noi che quel futuro lo dobbiamo scrivere.