Andrea Scanzi a TvBlog presenta The Match: “Non sarò un arbitro asettico”
Andrea Scanzi racconta The Match, il suo nuovo programma in onda sul canale Nove di Discovery Italia da venerdì 23 marzo alle ore 23.30
Andrea Scanzi torna in tv con The Match (prodotto da Loft), il nuovo programma dello scrittore e giornalista del Fatto Quotidiano, in onda da venerdì 23 marzo alle 23.30 sul canale Nove di Discovery Italia. “Un duello duro, aspro ma con dei tempi dilatati”, afferma il conduttore. Protagonisti di ogni puntata saranno due personaggi di spicco che si scontreranno a colpi di dialettica su un unico tema: dalla famiglia, alle abitudini alimentari, fino alle dipendenze. Argomento, quest’ultimo, attorno al quale ruota la prima puntata di The Match che vede sfidarsi il conduttore radiofonico Marco Baldini e Selvaggia Lucarelli. Il format è già stato testato su Loft.it
Per capire The Match dobbiamo guardare al passato. Cosa dobbiamo aspettarci?
“Il pubblico si deve aspettare due persone che hanno il tempo di dialogare, argomentare e scontrarsi senza che il conduttore gli tolga minuti. L’esempio che avevo in mente era quello di Alberto Arbasino. Negli anni Settanta in Rai realizzò dieci puntate di una bellezza spaventosa in cui si confrontavano due diversi e contrapposti ospiti: da un parte, per esempio, Giorgio Bocca e dall’altra Indro Montanelli, o da un lato un giovane Nanni Moretti e dall’altro Mario Monicelli. L’approccio a cui voglio ispirarmi è quello. Il programma si chiamava Match, senza il The davanti. È chiaro che il padrone di casa era Arbasino e non Scanzi, quindi con me si scende parecchio. Gli ospiti erano del calibro di Bocca e Montanelli. Ma lo stile deve essere quello. C’è un compadrone di casa che dice scontratevi, non escludete colpi anche sotto la cintura però fatelo con il vostro stile, con un certo garbo sapendo che il padrone di casa vi dà tutto il tempo per parlare”.
C’è un’idea di televisione controcorrente rispetto a quella che siamo abituati a vedere.
“Sì, spero che gli spettatori se ne possano accorgere. Questo è merito di Loft che lo produce, ma anche di Canale Nove che ha creduto nel progetto. Credo che le reti che vogliono distinguersi debbano cercare qualcosa di diverso. Raccontare l’attualità in maniera più calma, più quieta e rilassata è una carta vincente”.
Però, televisivamente parlando, gli scontri funzionano.
Per carità, il casino che è successo con Sgarbi andrà avanti per anni e come share è stata una botta per CartaBianca. Ma il talk show politico più forte come ascolti è Otto e Mezzo. Dalla Gruber ci sono degli scontri, anche forti, ma non si trascende mai. Non è il processo del lunedì. Ecco io cerco di seguire quell’impronta lì. Mi piace la tv che non annoia, ma dove si può argomentare. Ok i ritmi televisivi, ma non urlare a caso. Perché se c’è quello non ci sono io, non c’è Loft e non c’è Canale Nove“.
Rispetto al modello di Arbasino avete introdotto alcune novità, prima fra tutti l’assenza del pubblico.
“Al momento abbiamo deciso di non prevedere il pubblico all’interno della trasmissione, anche se magari un nuovo programma potrebbe contemplarlo. Abbiamo provato a rimodernare un prodotto straordinario. È un po’ come quando fai le cover, l’originale sarà sempre migliore, tranne rarissimi casi, però si può tentare di aggiornarla”.
C’è un po’ la scommessa di rendere pop un format nato per essere “alto”, a livello di target?
“Hai usato la parola giusta, pop. Non credo che il pop sia basso. Fare cultura non deve per forza contemplare nomi altissimi che se la cantano e se la suonano. Non è il caso di Arbasino. Lui aveva la fortuna di avere personaggi come Bocca e Montanelli. Io non ce l’ho. Ma la sfida è rendere alto un confronto che comunque può coinvolgere tutti”.
Come il tema su cui è incentrata la prima puntata: la dipendenza.
“Al centro del confronto tra Selvaggia Lucarelli e Matteo Baldini non c’è la vita di quest’ultimo, ma la dipendenza in sé. Ognuno di noi è dipendente da qualcosa: dall’alcol, dal fumo, dal sesso, dagli smartphone, dal gioco d’azzardo. Uno dei miei più grandi amici, che è quello che mi ha introdotto al vino, è morto per colpa delle scommesse. Quindi è un tema che mi tocca fortemente. Quando vedo Claudio Amendola che pubblicizza il gioco d’azzardo, anche se lo fa in maniera lecita, io mi arrabbio perché so quanto può essere pericoloso. Chiunque può immedesimarsi in una delle due parti del duello. Durante la prima puntata io ero uno spettatore perfetto perché mi sentivo profondamente coinvolto”.
Quali altri argomenti affronterete?
“Toccheremo temi come la legittima difesa con un confronto tra Alessandro Meluzzi e Diego Fusaro; l’eterna diatriba Milano contro Roma con Alessandro Sallusti da una parte e Massimiliano Fuksas dall’altra; le abitudini alimentari di carnivori e vegetariani con Gianfranco Vissani e Daniela Martani. E infine parleremo dell’idea di famiglia. Da una parte ho voluto Vladimir Luxuria e dall’altra Massimo Gandolfini, padre del family day. È una puntata molto forte, divertirà il pubblico, entrambi sono stati molto bravi. Io sono sicuramente più vicino all’idea aperta di Vladimir, ma dò atto a Gandolfini di aver argomentato vermente molto bene”.
Sei spesso ospite di programmi in cui tu sei uno dei “duellanti”. Non ti trattieni nel prendere un posizione ferma. Hai menzionato prima anche il tuo litigio in diretta su Rai3 con Vittorio Sgarbi. Come ti trovi in questo nuovo ruolo di arbitro?
“È difficile rimanere neutrali. Io non sarò un vigile del traffico. Non sono asettico, non lo voglio essere e non lo sarò mai. Mi son sempre piaciuti i conduttori che hanno la loro impronta, cito Santoro, ma anche Massimo Giletti, si capisce lontano un miglio coma la pensa. Non sono faziosi, ma ti fanno percepire esattemente come sono. Mentre sono totalmente distante dalla conduzione di un Fabio Fazio, un Carlo Conti, bravi, soprattutto Conti è bravissimo, ma i cerchiobottisti non li ho mai amati. Nel caso di The Match tante volte ho dovuto anche fare un passo indietro”.
In tutto sono cinque puntate?
“Al momento sono cinque puntate. Chissà che non ci siano sorprese però… Andiamo in onda sempre in seconda serata, sempre dopo Peter Gomez. Una serata all’insegna del Fatto Quotidiano. E prima di noi Maurizio Crozza”.
Non senti un po’ la pressione? Su La7 ti incroci con Propoganda Live.
“I ragazzi di Propaganda Live sono molto bravi, sono consapevole della controprogrammazione. Ma la cosa che mi rende più felice è andare in onda con due giganti come Maurizio e Peter. Non lo avrei mai immaginato nella vita. Così mi sento a casa”.
Ci sono dei nomi che non sei riuscito a portare a The Match? Chi vorresti veder sfidare?
“Mi piacerebbe ripetere oggi la sfida di Arbasino, che mise uno di fronte all’altro Monicelli e Moretti. Magari avere da una parte Paolo Sorrentino e dall’altro Gabriele Muccino. Oppure in ambito musicale, che poi è da dove nasco io, vedersi confrontare Fiorella Mannoia con Luciano Ligabue. O in letteratura una bella sfida tra Andrea Camilleri e Fabio Volo. Sarebbe divertente. Forse al momento non vedo indispensabile dedicare spazio alla politica. Per carità se avessi Di Maio e Salvini sarei molto contento. Ma nella mia testa The Match è più adeguato a sfide in ambito culturale o perché no, anche sportivo.”
Magari Roger Federer contro Novak Djokovic.
Sei stato molto criticato dopo che hai annunciato la fine di Federer e Nadal un paio di anni fa. Oggi Roger è il numero 1 della classifica Atp…
“Allora ho preso una cantonata clamorosa, così come l’ho presa con Gattuso quando ho scritto che con il Milan avrebbe fallito. Meno male che mi sono sbagliato. Quella cosa lì l’ho scritta nel maggio-giugno 2016. C’era un Djokovic le vinceva tutte, sembrava un cyborg, era pronto per fare il grande Slam. Io non ho mai amato Djokovic e mi giravano le scatole. Ho scritto un po’ per rabbia e un po’ perché avevo quel terrore lì. Federer e Nadal allora sembravano morti. Chiedo scusa, ma son contento come un bimbo di aver sbagliato”.
Scanzi conduce The Match. C’è chi ti dice di essere un tuttologo, come rispondi?
“Come quando mi dicono che Scanzi è narciso, io dico sì, lo sono, che c’è di male. Soltanto in Italia abbiamo l’idea che una persona debba fare esclusivamente una cosa. Io mi annoierei da morire se parlassi solo di politica. La vita è fatta di tante passioni. Quando faccio esperienze diverse è perché, di solito, le so fare. E non lo dico io, lo dice il pubblico. Quando decido di fare una cosa studio, tanto. Evidentemente un po’ di talento ce l’ho e risulto credibile. Se poi un giorno mi vedrai fare un programma di cucina o di finanza telefonami”.