Amici, analisi di un fenomeno
Da trentenne cresciuta a pane e Saranno famosi quale sono, mi sento in dovere di dare una valutazione del fenomeno Amici di Maria de Filippi, se non altro per essermici avvicinata tardi, fuori target e in modo laico (tra Saranno famosi e i 30 anni ne è passata di acqua sotto i ponti). E nonostante
Da trentenne cresciuta a pane e Saranno famosi quale sono, mi sento in dovere di dare una valutazione del fenomeno Amici di Maria de Filippi, se non altro per essermici avvicinata tardi, fuori target e in modo laico (tra Saranno famosi e i 30 anni ne è passata di acqua sotto i ponti). E nonostante abbia sempre avuto poca simpatia per la sua ideatrice-conduttrice, do alla De Filippi il merito di avere portato la danza, addirittura il balletto classico, nell’intrattenimento televisivo di oggi, dopo anni di sculettamenti e di ballerine di fila costrette a fare da sfondo all’imbranata soubrettina di turno. Detto questo, il programma avrebbe teoricamente un altissimo potenziale irritante: ruffianeria, piccoli-grandi drammi giovanili, retorica del sogno televisivo e della Tv che salva. Per non parlare dell’immersione nel mondo delle Tv del pomeriggio, e quindi pubblicità a go go e telepromozioni onnipresenti, inevitabilità della marchetta (dal personaggio in tournée che “passa a salutare” al cantante con cd in uscita, anche lui “di passaggio”). E poi ragazzi più o meno normali trasformati in personaggi e in veicoli di pubblicità, vestiti come sono di tutto punto sempre con le stesse marche-sponsor. Eppure, eppure c’è vita nel pianeta Amici di Maria, e la cosa è tanto più sorprendente proprio per le ragioni di cui sopra. Il talento dei ragazzi è quasi sempre innegabile, sorprendenti i progressi che fanno, messi sotto torchio dai vari Steve o Fabrizio o Vessicchio, emozionante vedere corpi e voci così giovani che si plasmano mentre la grinta viene incoraggiata, modulata, indirizzata, ma mai soppressa, derisa o castigata, come spesso accade non solo nel “brutto mondo cinico”, ma proprio nell’ambiente adolescenziale, dove non di rado gli entusiasti e i sognatori rischiano, se non hanno sufficiente autostima, di essere oggetto di isolamento o scherno. E invece di entusiasmo e sogni il programma si nutre. E già per questo sarebbe una bella rivoluzione, dato che oltretutto si tratta di sogni pagati, proprio come nel telefilm che diede il nome alla prima edizione, “col sudore, ed è qui che si comincia a sudare”.