Alle Olimpiadi le aspettative sono alte. E non lo ha deciso Elisabetta Caporale
Se Mattarella chiede di sentire tante volte l’Inno, se Malagò punta a superare le 40 medaglie e se i compensi decretano una differenza tra bronzo e quarto posto, allora significa che alle Olimpiadi c’è un’alta aspettativa. E non è colpa della Caporale
Brutto lavoro quello dell’inviato a queste olimpiadi. Ne sa qualcosa Elisabetta Caporale, finita nell’occhio del ciclone per alcuni suoi approcci non troppo empatici con le atlete nei post-gara. A dire il vero il problema non sarebbe nemmeno troppo quello, bensì domande tese a sottolineare la delusione e i rimpianti nel caso di prestazioni che non hanno portato a medaglie o qualificazioni.
Nulla di strano. In fondo, raccogliere gli sfoghi e le recriminazioni degli sportivi è uno degli obiettivi del giornalista, che non può esimersi dal valutare il risultato, al di là delle prestazioni. Perché lo sport è pure questo, inutile girarci attorno.
Ai Giochi, a questi Giochi soprattutto, si sta esigendo una narrazione all’insegna de “l’importante è partecipare”, che però cozza con le forti pressioni di certo non causate dalla Caporale.
Perché se il presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla vigilia della partenza degli azzurri si augura di “sentire spesso l’Inno di Mameli”, chiedendo sostanzialmente di vincere, crea di fatto un’alta aspettativa. Perché se il capo del Coni Giovanni Malagò sostiene che l’Italia “può superare il record delle 40 medaglie di Tokyo”, crea anche lui un’elevata aspettativa. E perché se per questo motivo, ogni giorno, si indirizza tutti lo sguardo al medagliere per osservare dove è classificata l’Italia, si crea un’aspettativa. Per non parlare dei compensi – decisamente diversi per chi conquista l’oro (180 mila euro), l’argento (90 mila euro) e il bronzo (45 mila euro) – che oltre a creare l’aspettativa, dimostrano candidamente che non tutti i piazzamenti sono uguali e che tra un quarto e un terzo posto, magari svanito per un centesimo, c’è tutta la differenza di questo mondo.
E così, nell’ambito di un racconto basato persino sul conteggio delle medaglie di legno, quasi a voler pompare il senso del rimpianto, nella bufera ci finisce colei che tutti questi sentimenti è chiamata a sintetizzarli in un intervento di pochi secondi.
La Caporale è schietta, diretta, concreta. Non troppo diversa da chi interpella gli allenatori di calcio al termine delle partite. E siccome al cospetto di Giampiero Ventura e a Roberto Mancini non vennero accesi i fari sulla qualità del percorso ma solo sul cocente e drammatico responso di altrettante esclusioni dai Mondiali, è lecito chiedersi per quale motivo altrove si dovrebbe evitare di mettere lo sportivo di turno di fronte alle proprie responsabilità. Tuttavia, se nel contesto pallonaro il commentatore che stuzzica gli addetti ai lavori è considerato una sorta di ‘cuor di leone’ che disintegra noiosissime liturgie, alle olimpiadi no, questo non vale. Anzi, come ti sei permesso, ti gridano in coro.
Che poi esistano le storie personali è altrettanto innegabile. Così come è fuori discussione la necessità di comprendere chi c’è dall’altra parte del microfono. Ciò non è accaduto con Benedetta Pilato, soprattutto per colpa di una Elisa Di Francesca imperdonabile nel ridicolizzare uno sfogo a cuore aperto che avrebbe meritato sostegno e una doverosa comprensione.
Vincere non sarà l’unica cosa che conta (a proposito, oggi Boniperti subirebbe un processo sommario per aver coniato quel motto), ma togliamoci dalla testa che le olimpiadi equivalgano ad una gita di gruppo dove la competizione è di contorno. Per non passare da un estremo all’altro e per non mentire a noi stessi.