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Aliens in America, la nuova sitcom di Cw

Aldo Romersa, nell’intervista rilasciata al nostro Share nello scorso maggio, aveva dichiarato che nella miriade di serie e di drama di cui, per lavoro, deve essere a conoscenza, quelle poche risate che sono riuscite a strappare gli Screenings provengono anche da “Aliens in America”. E come non dargli torto. Questa sit-com (di cui in fondo

17 Ottobre 2007 07:54

Aldo Romersa, nell’intervista rilasciata al nostro Share nello scorso maggio, aveva dichiarato che nella miriade di serie e di drama di cui, per lavoro, deve essere a conoscenza, quelle poche risate che sono riuscite a strappare gli Screenings provengono anche da “Aliens in America”. E come non dargli torto.
Questa sit-com (di cui in fondo al post potete trovare una gallery), in onda sulla Cw dallo scorso primo ottobre (la season premiere è stata seguita da 2.300.000 telespettatori), rappresenta una boccata d’aria (assieme a pochi altri prodotti del suo genere) nel panorama di sci-fi e drama che la televisione ci sta proponendo, questa volta trattando un tema più che delicato negli Stati Uniti, ossia quello dell’integrazione culturale.

Eccoci così a seguire incuriositi le vicende della famiglia Tolchuck, in particolare del giovane Justin (Dan Byrd, visto ne “Le colline hanno gli occhi”), ragazzo sfortunato nelle relazioni sociali (al contrario della sorella ClaireLindsey Shaw-, una delle ragazze più popolari della scuola da entrambi frequentata). Justin cerca di diventare qualcuno di importante, ma i suoi tentativi si sciolgono in svariate prese in giro dei compagni più grandi (come quando, nel pilot, viene inserito nella classifica delle ragazze più…corteggiabili). Insomma, la sua vita è paragonata da lui stesso (la sua voce fuori campo interviene numerose volte) come quella di un “alieno in terra straniera”.

All’ennesima derisione, la madre Franny (Amy Pietz), in effetti più preoccupata dell’immagine del figlio che lui stesso, decide di intervenire: si rivolge così alla dirigenza scolastica, che le consiglia (ovviamente per trarne vantaggio) di partecipare al programma di scambio studentesco, che garantirebbe al figlio una maggiore popolarità.
Peccato (o fortuna) che il ragazzo che la famiglia Tolchuck si ritrova ad aspettare in aereoporto non sia un norvegese alto e biondo, ma un pakistano dal nome Raja Musharaff (Adhir Kalyan), musulmano praticante.

Superate le prime incomprensioni, soprattutto da parte della madre, visto che il padre Gary (Scott Patterson, lo storico Luke di “Una mamma per amica”) sembra vivere in un mondo tutto suo, Raja inizia la sua permanenza negli Stati Uniti, che non sarà affatto facile, dati gli usi e costumi ben diversi tra lui e la società americana (alla quale cercherà di adattarsi fin dal primo episodio, soprattutto dopo aver conosciuto la sorella di Justin…).

Gli “alieni” del titolo, quindi, non fanno altro che rappresentare le molteplici differenze che esistono tra diverse società, ma anche tra i singoli personaggi della sit-com: nerd, bulli, ragazze modaiole e genitori lontani, è il caso di dirlo, anni luce dai propri figli, in un confronto generazionale dai mille spunti per situazioni comiche.
Le vicende raccontate e la scelta di sfruttare in chiave ironica le numerose diversità che esistono tra culture e generazioni ricorda molto il plot di “Kebab for breakfast” (in onda su Mtv), ma devo dire che la serie tedesca calca molto di più la mano sull’argomento multietnico.
La differenza sostanziale tra le due serie sta nel fatto che “Kebab for breakfast” è molto più attenta alle questioni culturali, prende di mira certe abitudini e le dissacra con pungente ironia. “Aliens in America”, invece, usa quest’argomento solo come pretesto iniziale: la diversità che col tempo si trasforma in integrazione, per la serie “e vissero tutti felici e contenti”.

La serie creata da David Guarascio e Moses Port e prodotta da CBS-Paramount e Warner Bros., infatti, sfrutta la iniziale differenza dei due ragazzi protagonisti per giocare successivamente sulla loro curiosa amicizia, vista con diffidenza da tutti (gli stessi insegnanti di Justin istigheranno gli alunni ad avercela con quelli come Raja per “quella cosa fatta alle torri di New York”) per via della spontaneità con la quale i due ragazzi stanno bene insieme, senza costrizioni volute dalle mode, dai compagni di classe o dai pregiudizi.

Anche gli altri personaggi sono tutti costruiti a partire dalla loro paura per la diversità, soprattutto quelli femminili: la madre s’inventa la morte della nonna di Justin pur di allontanare il figlio dal nuovo amico che gli stava insegnando le preghiere della propria religione, mentre la sorella confessa al fratello di aver progettato un percorso tutto suo a scuola che le permette di non incontrarlo mai e di evitare di dire che sono parenti…
Mentre gli uomini sono stati descritti come più accondiscendenti verso la novità, o per lo meno più calmi di fronte all’eventualità di un cambiamento.

Per concludere, è una sit-com che si fa vedere e che fa passare dei buoni venti minuti, magari non è il massimo dell’innovazione (a mio parere si è ispirata molto alle sit-com di ultima generazione, vedi “Arrested development”), però non è neanche banale. E il titolo, all’apparenza chiarissimo, in realtà vuole dirci di più: i veri alieni, non sono solo gli estranei, ma siamo anche noi…



Aliens in America, la nuova sit-com della Cw