Aldo Grasso su Paolini
Leggo con un certo stupore le esternazioni di Aldo Grasso su Paolini. Vale la pena di leggerne un ampio estratto per capire di cosa si parla. Quando Paolini racconta è un incanto: il viaggio in Ford Transit verso la Polonia, Paese del teatro alternativo nei lontani Settanta, le avventure di Gelindo (un suo pezzo forte),
Leggo con un certo stupore le esternazioni di Aldo Grasso su Paolini. Vale la pena di leggerne un ampio estratto per capire di cosa si parla.
Quando Paolini racconta è un incanto: il viaggio in Ford Transit verso la Polonia, Paese del teatro alternativo nei lontani Settanta, le avventure di Gelindo (un suo pezzo forte), l’introduzione del walkman come isolamento dal mondo. Da un po’ di tempo, però, sulla scia di Dario Fo e Giorgio Gaber (suoi indiscussi punti di riferimento), Paolini cede alla predica: fra le righe (ma anche fuori), vuole impartire lezioni di economia («non è la democrazia che ha tirato giù il muro ma il mercato, il consumismo»; e se anche fosse?), intimorisce gli spettatori con citazioni di Margaret Thatcher, fa sentire il peso della nostra ignoranza citando il principio di indeterminazione di Heisenberg e chiedendo agli spettatori cosa sia l’entropia. Meno male che faceva un freddo cane (ma che sadismo tirarla alla lunga per vedere schiattare in diretta il pubblico!), così ci è stato risparmiato il global warming. Ovviamente, tutte queste teorie e tutti questi sermoni della montagna vanno a scapito dello spettacolo. Se solo Paolini accettasse le interruzioni pubblicitarie, imparerebbe ad asciugare di più le sue storie, a riflettere sull’importanza del ritmo in tv.
P.S. Sì, ma poi, se non c’è pubblicità, come fa Urbano Cairo, che ha la concessionaria per La7, a guadagnare qualche euro da investire nel Toro?
La captatio benevolentiae iniziale serve per introdurre una serie di critiche che lasciano davvero l’amaro in bocca. Che mai avrà fatto Paolini (e con lui Dario Fo, Giorgio Gaber) a Aldo Grasso?
Francamente, per cominciare, non mi sento ignorante se qualcuno cita qualcosa che non conosco (e grazie a qualche studio conosco abbastanza bene sia l’entropia sia il principio di indeterminazione di Heisenberg, ma va be’), anzi, mi sento stimolato a approfondire l’argomento, a leggere, a informarmi. Non trovo nemmeno che l’informazione vada a scapito dello spettacolo, né mi sento sermonizzato quando qualcuno racconta qualcosa di alto in televisione. Poi c’è il discorso sulla pubblicità.
D’accordo, una rete commerciale sulla pubblicità ci campa. Ma anziché stigmatizzare quel che ha fatto La7 con Paolini con una facile ironia da pochi centesimi di euro, non bisognerebbe forse incoraggiare questo tipo di intrattenimento?
Non dovrebbe, il critico televisivo, riconoscere che si può anche evitare, per una volta, di bombardare uomini e donne con spot di pannolini, merendine, macchine, SUV et similia, e lasciare che l’intrattenimento puro – anche nella sua funzione informativa – prenda il sopravvento?
L’ossessione per il ritmo – che è condivisibile quando si parla di programmi che si prolungano, sempre uguali a se stessi, in dirette infinite e ammorbanti – non ha senso parlando di teatro civile. E’ un’ossessione che ha ammazzato qualunque forma di comunicazione alternativa, una motivazione addotta da produttori della prima e dell’ultim’ora per sintetizzare qualunque racconto, per annichilire la forza del racconto stesso in nome di quello che vuole lo spettatore.
Per una volta, dunque, che una rete – commerciale e piccola – propone una serata come quella di lunedì, con un ottimo successo in termini di dati numerici, il critico televisivo, forse, dovrebbe tributare il suo plauso all’affabulatore e all’emittente e non trovare qualche pretesto per attaccare un “prodotto” che sapeva di pubblico servizio e che invece era offerto da un network commerciale.