Aldo Grasso su Link 11: “Cosa fanno gli intellettuali per la nostra tv? “
Nella collana RTI Idee per la televisione il critico tv del Corriere condivide un importante auspicio sul Nuovo Mondo televisivo.
L’ufficializzazione dei palinsesti autunnali è praticamente imminente. Ad aprire le danze domani è la Rai, con la serata-evento di presentazione per gli sponsor della Sipra a Milano. A introdurla il direttore generale Lorenza Lei, che passerà poi la parola al vicedg Antonio Marano e al direttore intrattenimento Giancarlo Leone, mentre potrebbe non esserci il presidente Paolo Garimberti.
A Cologno Monzese la Notte dei palinsesti è prevista, invece, il 4 luglio, mentre il giorno dopo sarà La7 a svelare le sue carte, annunciando forse l’accreditato acquisto di Michele Santoro.
Peccato che, dal quadro già profilato sulla programmazione dell’anno venturo, le novità siano ben poche. E, se anche si parla di qualche titolo inedito, un vero e proprio “cambio di mentalità” sembra lontano: Gli Spietati con Magalli e Lippi dà di ritorno al giurassico o Pechino Express, su RaiDue, sembra un ritorno sul luogo del delitto dopo il flop di Wild West.
Per non perdere le speranze e confidare che un New Deal sia davvero possibile Link. Idee per la televisione, la collana RTI dedicata al piccolo schermo e ai media, ha pubblicato l’undicesimo volume “La tempesta. Ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad amare il Nuovo Mondo”.
I contenuti sono sempre validi, stavolta in grado di spaziare tra i colossi del web all’assalto della tv, le nuove frontiere del copyright e il travolgente ruolo della crisi economica sui modelli di business, che reggevano l’industria culturale e le nostre abitudini di consumo.
Tra una serie di saggi, rivolti soprattutto alle serie televisive di nuova generazione e ai nuovi mercati tv internazionali, c’è un contributo più atipico e che, proprio per questo, non passa inosservato. Mi riferisco a “Il tradimento dei chierici e dei chierichetti” firmato da Aldo Grasso, che riflette sulla diffidenza e incomprensione reciproca tra intellettuali e tv. Secondo il critico tv del Corriere di questo dualismo non ci libereremo mai (e in effetti non ha tutti i torti):
“Gli intellettuali vanno volentieri in tv a presentare i loro libri ma fanno poco per la tv, molto poco. Anzi, se possono ne parlano male. Abbassare il tiro è la maledizione della tv generalista, il suo Geist, il demone inquieto. In questi anni la tv non ha fatto altro che spostare i confini dell’accettabile (…) Ma è anche vero che i Faletti raggiungono il loro livello più basso in video e poi diventano scrittori di successo. Sulla buona tv c’è rassegnazione intellettuale. In tv, quando si tratta di ‘spessore’, siamo abituati all’indigenza, alla mendicità, alla ristrettezza. Quattro immagini di repertorio commentate da un giornalista “della carta stampata”, molto bianco e nero (…). I libri sono diventati occasioni per sontuose markette”.
Grasso fa l’esempio de Le Invasioni Barbariche, ma è evidente che si riferisca velatamente anche a Che tempo che fa:
“Gli uomini di pensiero sono presentabili se accettano la guitteria di un talk show. La prosopopea è soverchiante rispetto all’essenziale. Non è il caso qui di riaprire l’annosa questione sulla consolidata tesi secondo cui la tv generalista deprime la cultura dei colti e innalza quella degli incolti, ma è doveroso sottolineare come da almeno trent’anni la tv generalista, in nome dell’audience, abbia deciso di abbandonare il pubblico più istruito. Ma è anche vero il contrario: da più di trent’anni, forse da sempre, gli intellettuali hanno abbandonato la tv (…) Il peggior nemico della buona tv rischia di essere il perbenismo culturale di cui la tv generalista non riesce a liberarsi: perché non si fa più il teatro in tv? (…) perché non si affida alla famiglia Angela un intero canale?”.
Per Grasso, insomma, il problema non è l’ampio o scarso spazio dato alla cultura in tv, secondo l’annoso dibattito retorico sul tema, ma “il perbenismo culturale che ha trasformato la cultura in noia, pavidità, melensaggine, nell’infernale buona volontà dell’educational”, mentre “la mediocrità è diventata un valore positivo e rende potenti i mediocri”.
Per Grasso le motivazioni di questo fenomeno sono varie, “l’incompatibilità di linguaggi diversi, il prevaricare di una tradizione accademica anche dentro il piccolo schermo, la mancanza di una tradizione divulgativa in campo culturale, la convinzione che la cultura televisiva debba prescindere dagli intellettuali, l’implacabile ossessione che la cultura non faccia audience”.
Un rimedio prospettato dal Professore? A suo parere, “finché non usciremo dall’equivoco storico che la comunicazione popolare sia una corruzione di una cultura più alta, finché gli intellettuali continueranno a considerare la tv come un megafono delle loro opere, la tv generalista italiana resterà per sempre una televisione di serie B, per fare il verso a Moravia”.
Direi che non c’è proprio altro da aggiungere.