Home Interviste Alberto Nerazzini a TvBlog: “100 minuti? Una scommessa in una rete che sta andando bene”

Alberto Nerazzini a TvBlog: “100 minuti? Una scommessa in una rete che sta andando bene”

Debutta questa sera su La7 un nuovo programma d’inchiesta, 100 minuti. Alla guida, insieme a Corrado Formigli, Alberto Nerazzini

8 Aprile 2024 07:15

Negli ultimi anni è tornato in tv con le sue inchieste grazie a Corrado Formigli, che ha deciso di trasmetterle all’interno di Piazzapulita. Alberto Nerazzini dedica però da quasi 25 anni il suo lavoro al giornalismo d’inchiesta e investigativo. Dopo le esperienze con Santoro, prima a Sciuscià, poi a Il raggio verde e ad Annozero, per anni è stato parte della squadra di Report. Oggi è presidente del DIG Festival e guida una casa di produzione, Dersu, che si occupa di prodotti d’inchiesta.

Da questa sera, insieme a Corrado Formigli, è alla conduzione su La7 per sei settimane di 100 minuti. Ogni puntata avrà come protagonista un film d’inchiesta dalla durata variabile, a cui si accompagnerà la presenza di un ospite in studio che interagirà con Formigli e Nerazzini per fornire contributi e approfondimenti sul tema di puntata.

La prima inchiesta con la quale sarà tenuto a battesimo il programma è Roma città aperta, realizzata da Alberto Nerazzini. Ospite in studio sarà Nicola Gratteri, per allargare lo sguardo sulle infiltrazioni della criminalità organizzata.

100 minuti si presenta come un prodotto radicalmente diverso da quello che la tv italiana propone attualmente. Come nasce un’idea così ambiziosa?

100 minuti è il format più semplice e antico che si può proporre, dove l’indagine si fonde all’interno del documentario con la narrazione. Proporre questo in una tv sempre più abitata da talk show, che si ripetono tutti con lo stesso schema, è quasi rivoluzionario. L’obiettivo di 100 minuti è quello di contrastare, affrontando un tema unico per puntata, l’approssimazione e la velocità. Cerchiamo di invertire rotta rispetto a quella tensione al rotocalco che anche un programma come Report subisce sempre di più. Agli inizi si proponeva un tema che dominava la puntata, ora invece l’inchiesta è sempre più frammentata e in ogni puntata si inseriscono vari servizi. 

Nel 2018 quando hai lasciato definitivamente Report, in un post su Facebook, spiegavi che non c’erano più le condizioni per continuare a lavorare all’interno del programma. A cosa ti riferivi?

Da Report io me ne ero già andato nel 2014, quando ancora c’era Milena Gabanelli. Quando poi Milena se n’è andata, sono stato richiamato da Ranucci e in generale un po’ da parte di tutta la redazione. Non trovai però le condizioni per fare al meglio il lavoro che dovevo fare. Il giornalismo d’inchiesta prevede delle regole di base che vanno rispettate. L’inchiesta deve essere libera, non deve conoscere nessuna forma di censura o autocensura, e non deve seguire un teorema. Purtroppo in Italia, anche all’interno del servizio pubblico, non sono mai esistite strutture di investigative pool, che prevedono giornalisti che possono lavorare staccati dall’attualità per potersi addentrare in storie più complesse. 

L’inchiesta richiede importanti risorse economiche e umane. Come state lavorando per realizzare questi sei film-inchiesta?

A livello di produzione ci stiamo appoggiando a Banijay che mette a disposizione anche per Piazzapulita una squadra di film-maker fra le più solide della televisione. A 100 minuti lavora una redazione che interagisce con quella di Piazzapulita, ma che rimane comunque indipendente. La possibilità di avere questi vasi comunicanti, sia a livello di produzione esecutiva, sia a livello di redazione, ha reso possibile questo progetto.

Tu e Corrado Formigli venite dalla scuola di Michele Santoro. In molti descrivono le sue redazioni come luoghi in cui si creava una grande competizione fra chi vi lavorava. Voi che rapporto avevate?

Io e Corrado ci siamo conosciuti nella redazione di Sciuscià. Era una redazione in cui c’erano tantissimi sguardi e tantissimi giornalisti di qualità, ognuno con il suo stile. La potenza di Michele è stata quella di imporre un racconto per immagini, al quale prestavamo grande attenzione e cura, grazie anche ad una squadra produttiva che oggi è inimmaginabile avere a disposizione per fare un programma. A distanza di anni rimane nell’immaginario il carattere fortemente competitivo di questa redazione, così come di quelle che lavoravano con Minoli. Il carattere forte di queste personalità e l’insegnamento scalfariano del “divide et impera” hanno sicuramente dato vita a redazioni in cui si pensava di potere tirare fuori il meglio di un giornalista alimentando la competizione con i colleghi. Oggi direi che questa stagione del giornalismo è superata. Si è capito che per affrontare la complessità globale e le crescenti disuguaglianze è necessario collaborare, anche attraverso grandi consorzi.

Di fronte ad un progetto ambizioso come 100 minuti, come ci si rapporta con gli ascolti?

100 minuti è una scommessa in una rete che sta andando particolarmente bene. Il lunedì è una serata bella e difficile allo stesso tempo. Debuttiamo contro l’ultima puntata di Presa Diretta e nelle prossime settimane continueremo a confrontarci con un programma d’approfondimento come FarWest.

In un tv commerciale, gli ascolti, però, saranno determinanti per stabilire se il programma potrà avere continuità in palinsesto con una seconda edizione.

Sicuramente noi avremo bisogno di farci notare e per questo non basterà solo la prima puntata. Credo però che ci sia un pubblico televisivo pronto ad accogliere un prodotto del genere. Non voglio credere alla rappresentazione spesso deformante che si dà di chi sta davanti alla tv: in fondo il documentario è uno dei generi più apprezzati sulle piattaforme. A Piazzapulita ci sono già stati esperimenti interessanti premiati dal pubblico. Speriamo che con 100 minuti si possano ripetere quei risultati per poter così consolidare il format, rafforzando la squadra e disponendo di ulteriori investimenti su questo progetto.