Adamo e Eva: la tv regredisce alla pochezza del varietà anni ’90
L’amore sta dilagando nuovamente in tv e noi siamo basiti, o forse recalcitranti a fare gli avvocati delle cause perse, o gli artefici di stroncature troppo facili. Da giorni non fanno che chiederci, a TvBlog, perché non si stroncano più i programmi, se stiamo diventando troppo buoni, perché, soprattutto, non ne abbiamo criticato uno. Posto
L’amore sta dilagando nuovamente in tv e noi siamo basiti, o forse recalcitranti a fare gli avvocati delle cause perse, o gli artefici di stroncature troppo facili. Da giorni non fanno che chiederci, a TvBlog, perché non si stroncano più i programmi, se stiamo diventando troppo buoni, perché, soprattutto, non ne abbiamo criticato uno. Posto che quell’uno non merita neanche la nostra considerazione (essendo un aborto spontaneo a detta degli stessi autori, che stanno esternando la propria vergogna ben pagata su Facebook), ce n’è un altro andato in onda ieri sera che merita una riflessione. O più che altro un pauroso interrogativo.
In che razza di tv ‘sperimentale’ ci stiamo cacciando? L’ennesimo numero zero andato in onda ieri sera, Adamo e Eva, è la conferma della brutta china presa dall’intrattenimento nostrano in una preoccupante congiuntura come quella attuale. I dirigenti non sanno più che pesci prendere: il reality è in agonia, il talent è in overdose e da qualche parte bisogna pur ripartire. Così si torna a riprodurre varietà rosa, nella convinzione che i buoni sentimenti in tv tirano sempre. E si pensa di affidarne uno “nuovo” a una mascotte del buonismo catodico come Fabrizio Frizzi.
E’ desolante, come uno che ha imparato a rimodernarsi nei Soliti Ignoti sia condannato a tornare quello di una volta. Frizzi, ieri sera, è riuscito di un botto ad azzerare anni di corsi di aggiornamento, regredendo al livello zero del conduttore cerimonioso, dai tempi lentissimi e fintamente entusiasta. Il programma era quello che era: gigantismo monumentale dello studio di X Factor a parte, si è subito rivelato in tutta la sua pochezza di contenuti e atmosfera.
Il concept era quello di un gioco delle coppie con pretese sociologiche (come se si possano ricavare paradigmi adamitici dal tempo impiegato a chiudere un bagagliaio o dal dimostrarsi multitasking). Alla fine la si butta sempre su stereotipi come l’affinità di coppia e chi ricorda quando c’è stato il primo bacio. E per tutto questo bisogna in ogni caso comprare il format dall’estero e farlo co-produrre a Endemol, perché la Rai da sola non ce la fa. Poi c’è la solita maledizione degli autori, in questo caso un Chicco Sfondrini evidentemente troppo preso da Kalispéra per spremersi le meningi, mentre Piparo e Fasulo sono assuefatti alla scuola di Milly Carlucci, tutta camomilla e leziosaggini.
Insomma, in parole povere un meccanismo masturbatorio, a uso e consumo degli addetti ai lavori, sta uccidendo la televisione italiana mettendo fuori gioco il pubblico. E il vero dramma di questa televisione è che professionisti come Frizzi e la Carlucci, dopo che gli è stata data una mano per tornare in prima linea, si sono presi tutto il braccio, limitando la programmazione alle loro scarse pretese.
Magari non è solo colpa loro, però ogni tanto pensi che una De Filippi o una Ventura programmi come questi non li avrebbero mai sposati. Perché le autrici di se stesse, nonostante tutto, sono sincere verso il pubblico che c’è dall’altra parte, mentre i Cip e Ciop Milly e Fabrizio si lanciano in progetti perdenti in partenza senza opporre resistenza.
Non sappiamo il futuro di Adamo ed Eva, che ieri si è dovuto accontentare di circa 4.000.000 di spettatori e del 17%, ma una cosa è certa. Ora che su RaiUno sta per affacciarsi la coppia Liorni e Luzi, con I Perfetti Innamorati (forse martedì 18 gennaio contro gli Amici della De Filippi), si prefigura un altro esempio di passatismo catodico.
Una tv che torna indietro, perché non sa più andare avanti, e che ti fa rivalutare il riemerso racconto degli amori gieffini. Un finto reality che fa spettegolare l’Italia sa essere ancora più convincente di coppie fintamente vere, a loro volte valutate da una giuria impostata e annoiata.