Pietro Sermonti: un divo come il suo Stanis?
Quando si è parlato qui di Boris per la prima volta, in termini critici, si è giunti all’appellativo di “serie autocritica che denuncia i propri limiti”. Molti di questi limiti, va detto, con la seconda stagione sono stati ampiamente superati. Basta la risoluzione in Hd e la più alta qualità delle sceneggiature per rendere impeccabilmente
Quando si è parlato qui di Boris per la prima volta, in termini critici, si è giunti all’appellativo di “serie autocritica che denuncia i propri limiti”. Molti di questi limiti, va detto, con la seconda stagione sono stati ampiamente superati. Basta la risoluzione in Hd e la più alta qualità delle sceneggiature per rendere impeccabilmente innovativo un prodotto che aveva un puro titolo sperimentale.
Questa sera vi consigliamo di non perdere su Fox alle 23.00 La mia Africa (prima parte), il primo episodio di Boris 2 che ci ha fatto sganasciare dal ridere all’anteprima del Telefilm Festival. Una novità che vi salterà subito all’occhio, oltre “alle cosce” di Karin Proia, è l’evoluzione orizzontale della struttura narrativa.
Un aspetto su cui personamente non riesco a ricredermi, invece, è il parallelismo tra Pietro Sermonti attore e Pietro Sermonti personaggio (discorso che estenderei anche alla “cagna” Crescentini, non più presente nel nuovo cast salvo che per un cameo). Nella sitcom interpreta il ruolo del “divo Stanis”, per cui è tutto troppo italiano, troppo sprecato, troppo stretto per le sue manie di grandezza. Nella vita il copione non cambia, visto che la sua scelta di uscire dai soliti giri e rimboccarsi le maniche è puntualmente smentita dall’ennesimo colpo di testa: dare alla collocazione di Boris della catacomba satellitare.
Questa dichiarazione, rilasciata al Sorrisi per un’intervista appena pubblicata, ha messo in difficoltà persino Umberto Brindani (come anticipatovi dal nostro Paolino). Il direttore della testata ha infatti ammorbidito il potenziale lato sminuente dell’affermazione, ironizzando sulla possibilità di bloccare la stampa del giornale o scusandosi lui stesso per essersela “inventata”. Lo stesso produttore della Wilder ci ha tenuto a sottolineare che anche le catacombe possono essere tutt’altro che anguste.
La verità è che, estrapolazioni decontestualizzate a parte, l’intero tono dell’intervista ha un non so che di provocatorio. Da quando, infatti, è stata divulgata la notizia di un possibile ritorno di Sermonti a Un Medico in famiglia, da cui aveva ingratamente preso le distanze, la sua versione dei fatti è nuovamente cambiata:
“Non so. E’ prematuro parlarne. Ma quelli che continuano a chiamarmi il Che Guevara della fiction perché prima ero nell’Olimpo delle serie tv e adesso sono un rivoluzionario sul satellite mi fanno venire una gran voglia di rifarlo”.
Non che Sermonti stia rinnegando Boris, anzi ne parla un gran bene a proposito della sua originalità. Ma la sua volontà di rimarcare continuamente la propria distanza da certe tendenze al ribasso continua a suonare pretenziosa:
“Di sicuro non farò le miniserie pompose in costume. Quelle con dialoghi così finti che nemmeno De Niro riuscirebbe a pronunciarli. Non ho detto molti no, ma ho detto vari sì di cui poi mi sono pentito”.
Tra i tanti sì, escluso il flop SuperSenior, non ci sarà anche quello a Elisa di Rivombrosa, in cui prima della popolarità con Guido Zanin interpretava il ruolo dell’anonimo Beppo? Ma, fermi tutti… Elisa di Rivombrosa non è una serie in costume?