Telefilm Festival 2008: produttori a confronto
Ieri mattina al Telefilm Festival si è tenuta la prima sessione di Workshop che ha visto dibattere i maggiori produttori italiani e i top manager sulla produzione e programmazione dei telefilm in italia e all’estero. Hanno preso parte al tavolo Alessandro Ippolito (Videomedia Italia), Elisa Ambanelli (All Music), Paolo Bassetti (Endemol Italia), Giorgio Gori (Magnolia),
Ieri mattina al Telefilm Festival si è tenuta la prima sessione di Workshop che ha visto dibattere i maggiori produttori italiani e i top manager sulla produzione e programmazione dei telefilm in italia e all’estero. Hanno preso parte al tavolo Alessandro Ippolito (Videomedia Italia), Elisa Ambanelli (All Music), Paolo Bassetti (Endemol Italia), Giorgio Gori (Magnolia), Marina Loi (Raiuno), Giovanni Modina (RTI-Mediaset), Lorenzo Mieli (Wilder) e Jonathan Shiff (H2O ). Il moderatore dell’incontro è stato Paolo Martini, giornalista de La Stampa.
Il primo relatore che ha preso la parola è stata Elisa Ambanelli, direttore di All Music, la rete del Gruppo Espresso in forte espansione di pubblico che negli ultimi tempi ha dedicato una fetta della propria programmazione alla docu-fiction autoprodotta:
“Su All Music, oltre alle serie di oltreoceano abbiamo deciso di programmare un genere a metà tra documentario e fiction, per l’appunto docu-fiction. E un altro contenuto presente è quello dei cartoon. Il motivo per cui abbiamo scelto la docu-fiction è presto spiegato: due anni fa volevamo affrontare la tematica dei sentimenti però volevamo parlare di sesso e di amore non attraverso un talk ma semplicemente a partire dalle testimonianze del nostro pubblico. Abbiamo costruito così con l’autore-regista di film Alberto d’Onofrio un’idea che si basava sulla raccolta di una serie di testimonianze in giro per l’Italia e il rapporto con il sesso nel mondo odierno, tre per ogni puntata. Abbiamo recentemente trasmesso e va tutt’ora in onda un’altra docu-soap, Albakiara, e l’ultimo esperimento è stato Cash, una docufiction che ha per protagonista una banconota. Abbiamo raccolto un reportage che abbiamo montato con le modalità tipiche del film. Abbiamo preso due banconote da 10 Euro, impresse le impronte digitali del regista e poi mandate in giro per l’Italia. Li abbiamo chiamati Romeo e Giulietta e abbiamo seguito il loro percorso nel passaggio di mano in mano“.
Prende la parola successivamente Paolo Bassetti, presidente e amministratore delegato di Endemol Italia.
“Facciamo i produttori di mestiere, non decidiamo dove vadano i prodotti nè contro cosa vadano. Da tempo ci chiediamo come mai in America i telefilm funzionino e da noi no: c’è una differenza sostanziale soprattutto di programmazione della prima serata, che risulta più spezzettata rispetto al mercato italiano (sitcom-comedy-drama). E’ colpa dei produttori se da noi ci siano ancora miniserie da 1 ora e mezza o più che non permettano questa frammentazione. Tra l’altro in Italia solo Raiuno e Canale 5 usano il prodotto nazionale, produce qualcosa Raidue ma Italia 1 e le altre reti non hanno il budget per realizzare queste serie.”
Subito dopo Bassetti è la volta di Giorgio Gori che lancia una forte provocazione contro i telefilm nella sede dei telefilm pur con documentazione e cifre:
“Siamo al Festival dei Telefilm ma in realtà questo gran successo non lo vedo. Occupano grandi spazi nel palinsesto ma questo non corriponde ai numeri come accade in altri Paesi. In Francia su M6 va in onda NCIS: fa il 20-25% su una rete che generalmente arriva all’11%; Senza Traccia va su France 2 che fa mediamente il 18 e invece il telefilm raggiunge il 25-30%; su TF1 vanno in onda CSI (30-35%), Dr. House (30%), Law & Order (35-40%), Criminal Minds (30%); Cold Case sempre su France 2 fa il 25-30%. Tutte queste serie o superano nettamente o si discostano dalla media di rete, cosa che in Italia non avviene. Ma non è solo un fenomeno francese. In Germania, Pro7 con il 6-7% di media trasmette Grey’s Anatomy che fa il 15%; CSI su RTL fa il 27%. In Spagna CSI su Telecinco arriva al 28%, La 4 ha una media dell’8% e con Dr. House arriva al 20 così come con Grey’s Anatomy. In Italia si produce poca fiction originale nazionale e non viene fatto da quei canali che sarebbero più adatti per contenuto e linguaggio, come Italia 1, mentre all’estero M6 oltre a Camera Cafè produce polizieschi, Channel 4 ha segnato trend ed esportato formati in tutto il mondo, La 4 pur essendo giovane produce già fiction.“
Visto che il principale colpevole della provocazione lanciata da Gori è colui che non produce per le reti cadette quali Italia 1 e Rete 4 prende la parola Giovanni Modina, vice direttore generale contenuti RTI-Mediaset:
“Ci sono delle ragioni per cui le reti minori programmino telefilm d’acquisto. La prima è che il telefilm non si lamenta, la seconda è che hanno una pezzatura di un’ora lorda e quindi sono più facilmente programmabili e infine costano oggettivamente meno. Non sono diminuiti i budget delle reti, sono però aumentati i costi e quindi i telefilm servono a coprire le stagioni di garanzia che si sono allungate nell’arco degli ultimi anni. Non è poi così vero che non produciamo per Italia 1: avevamo il prodotto più antieconomico che esista ovvero le sitcom che mandavamo solo nell’orario post tg delle 13 e la domenica pomeriggio su Canale 5; oggi invece abbiamo deciso di spostare le sitcom su Italia 1 con programmazioni di prime time e pomeridiane.”
E’ la volta di Alessandro Ippolito, produttore di Videomedia Italia che sta realizzando per Raidue Hospital Central che polemicamente afferma:
“Stiamo producendo una fiction in 18 puntate da 100 minuti l’una, abbiamo iniziato in novembre e finiamo tra un mese. Viene girata e prodotta a Milano ma c’è un problema: abbiamo iniziato a lavorarci tre anni fa. Se dovesse andare male una puntata potrebbe essere anche soppressa e messa in magazzino come in passato è già avvenuto per altri produttori più importanti di noi. “
La parola passa a Marina Loi, direttore artistico sitcom “Sbadatelli” che va in onda su Raiuno all’interno di Uno Mattina e svolge una funzione sociale anche con il contributo pubblico:
“Noi ci occupiamo di educa-fiction, coniugando l’aspetto informativo con la fiction. Abbiamo percorso alcuni argomenti come il mobbing, o la sicurezza sul lavoro o gli incidenti domestici. Anche all’estero ci sono state delle esperienze simili per esempio in Messico dove esistono delle telenovelas che hanno la missione di spiegare al cittadino in modo più comprensibile contenuti a carattere sanitario o sociale. In Italia ci sono ancora pochi casi, il nostro è un caso di comunicazione istituzionale. Tramite questa famiglia di sbadati abbiamo proposto una serie di comportamenti negativi per poi arrivare a spiegare quelli positivi“.
Tra i relatori presenti, Lorenzo Mieli, amministratore delegato di Wilder (Gruppo NewsCorp) che produce Boris:
“In Italia si produce soprattutto per Raiuno e Canale 5, in seconda serata sulle stesse o su altre reti c’è praticamente nulla se non su Sky. Certo c’è un problema di budget. Oggi Mediaset sta coproducendo due serie con Sky dal punto di vista di pre-acquisto ed è una condivisione di rischio abbastanza inusuale, noi ci auguriamo che queste serie possano funzionare perchè aprirebbe nuovi sbocchi alla produzione di fiction non solo sulla generalista.”
Segue poi una presentazione da parte di Jonathan Shiff, produttore della serie giovanile australiana H2o in onda attualmente su Italia 1:
“Io sono un produttore australiano, un Paese piccolo nel mercato rispetto agli Stati Uniti. Ho iniziato come avvocato poi ho cambiato attività pensando che fosse più interessante; a quel tempo mia figlia aveva 3 anni e non c’era nulla per lei in tv. Questo avveniva circa 20 anni e in Australia siamo fortunati perchè il Governo impone che un certo quantitativo di fiction sia diretto ai bambini e investe su questo. Quando ho iniziato mi sono occupato di children classification, un prodotto che all’epoca era molto di nicchia. Sono creatore dei miei prodotti, supervisiono la scrittura e mi occupo del marketing. 15 anni fa ho iniziato con la prima produzione, Ocean Girl, trasmessa in 15 Paesi e su Disney Channel in America e vedendo quanto ha funzionato ci siamo specializzati in produzioni ambiziose come H2o, difficile perchè la giriamo in ambientazione marina con 22 persone che ci lavorano. Il nostro pubblico va dai 9 ai 14 ma la cosa più importante, come dimostra Harry Potter, non è il valore di produzione ma i personaggi.”
In platea lancia una provocazione che infiamma il dibattito Roberto Giovalli, ex direttore di Tele+, poi Italia 1 e poi La 7:
“L’anomalia italiana precede il telefilm, è quello di un unico gruppo che gestisce l’audience e non c’è mercato. Soltanto in Italia si può arrivare a programmare un episodio di una serie nuova più una replica. Non credo ci siano Paesi in cui i programmi cominciano alle 9 e finiscono all’1 di notte perchè così il direttore possa dire di aver fatto il 40%. Io credo che non siamo capaci di fare cinema nè fare telefilm. Anche produrre situation comedy per mettere a mezzogiorno o alla domenica è sempre stato un mezzo per assicurarsi il contratto della Hunziker o De Luigi non per realizzare qualcosa di remunerativo perchè mandare una sitcom una volta alla settimana non ha alcun senso.”
La parola ritorna poi a Bassetti:
“Chi fa la fiction ha pochi soldi per farla e il broadcaster ritiene che ne spenda troppi. Un’ora di fiction costa in Italia mediamente 1 milione di Euro per 100 minuti, in America 50 minuti costano 2 milioni di dollari. In Italia una sitcom si fa in due giorni, in America una settimana. Noi nella fiction quando produciamo un prodotto siamo esenti dal detenere qualsiasi diritto, consegnamo il prodotto e il broadcaster fa quello che vuole. In America è diverso. Detto questo io ritengo che la tv italiana sia di ottimo livello qualitativo.”
Riprende la parola Giorgio Gori:
“E’ talmente siderale il confronto tra gli USA e noi che ci deprimeremmo se lo facessimo. Resta più interessante chiedersi come mai reti simili a quelle italiane come profilo producano e noi no. Dalla Spagna negli ultimi anni sono arrivati format riadattati nel nostro Paese come I Cesaroni, Hospital Central per Raidue, Ana iiy los siete (che stiamo producendo per Canale 5), La Lola sempre per Mediaset. Il loro mercato è molto simile al nostro. Perché gli spagnoli sono riusciti a inventare un linguaggio universale? Noi siamo grandi compratori e adattatori ma abbiamo difficoltà a esportare gli altri generi in cui siamo molto forti, con la fiction seriale non abbiamo accesso al mercato. Le reti principali negli Stati Uniti negli anni 80 persero il 40% a vantaggio del cable Showtime o HBO che si affermavano con nuovi linguaggi di serialità. Ci vorrebbe una competizione anche da noi più coraggiosa; se succedesse avremmo idee italiane che riusciremmo ad esportare all’estero, prodotti più innovativi e ben curati“.
Tirato in causa, risponde sia a Giovalli sia a Bassetti e in parte a Gori, Giovanni Modina:
“L’America produce tanto perchè i network sono delle vetrine di prodotti da vendere e non da programmare. Producono a ore e il loro non è il business della pubblicità. Raccolgono più denaro vendendo i prodotti in tutto il mondo. I Paesi spagnoli sono forti perchè hanno un bacino grande quasi quanto quello inglese quindi hanno la facoltà di investire molto di più sul prodotto avendo più risorse. Riguardo a Bassetti, i produttori si assumono il rischio di produrre cosa che in Italia non fanno, ovvio che per questo motivo le televisioni si tengano i diritti delle serie.”
La provocazione finale è ancora di Roberto Giovalli, che si è permesso di lanciare una velata frecciatina ai produttori dalla sua posizione di esterno al mondo televisivo da alcuni anni:
“I produttori italiani sono fondamentalmente esecutivi e i presidenti di queste company a monte si accordano con le reti sullo spazio da avere. In America le fiction vengono approvate a progetto, da noi no. In Italia sai quanto produce Valsecchi o quanto produca Endemol. E’ una sorta di manuale Cencelli della produzione.”
Conclude Gori attribuendo anche qualche colpa ai giornali della scarsa produzione e si dichiara contrario alla messa in onda dei pilot:
“Sono contrario all’idea dei piloti in onda, lo trovo pericoloso. Non è casuale che il sistema dei pilot esista in America da sempre ma che non venga mai trasmesso prima. Qui se un programma nostro fa un punto in meno o due punti di ascolti succede il delirio, pagine sui giornali e questo terrorizza il rischio e l’investimento. In America il tasso di flop è molto più alto rispetto a noi ma l’isteria nel trattare quotidianamente i dati d’ascolto come avviene in Italia non c’è. Tornando ai pilot, non metterei mai un prodotto che magari ha 3 anni di incubazione alla berlina di una programmazione sbagliata o una controprogrammazione ad hoc . Ci sono altri strumenti che possono essere il web, i focus group o quant’altro ma non facciamo i pilot in onda altrimenti non faremo più niente di nuovo.”
Riassumendo, secondo i maggiori produttori nostrani il prodotto fiction è ancora molto debole rispetto a quello americano soprattutto perchè non ha le risorse dello stesso. Secondo Giorgio Gori in Italia non c’è abbastanza competitività e questo fa sì che le reti mantengano lo status quo non rischiando più del dovuto. Chissà che il prossimo anno non ci si ritrovi qui a dire che qualcosa è cambiato.