Claudio Gioè: “Codice Rosso non era un granché, il mercato è alla frutta”
Claudio Gioè ha conquistato, tutto a un tratto, la grande notorietà. Non che prima non avesse una carriera di tutto rispetto. Ha frequentato l’Accademia di arte drammatica a Roma, studiando duramente teatro. Poi ha interpretato, tra i vari ruoli cinematografici, quello del sindacalista nei Cento passi e quello dell’operaio ne La Meglio gioventù, entrambi di
Claudio Gioè ha conquistato, tutto a un tratto, la grande notorietà. Non che prima non avesse una carriera di tutto rispetto. Ha frequentato l’Accademia di arte drammatica a Roma, studiando duramente teatro. Poi ha interpretato, tra i vari ruoli cinematografici, quello del sindacalista nei Cento passi e quello dell’operaio ne La Meglio gioventù, entrambi di Marco Tullio Giordana.
Insomma, un percorso ben calibrato e decisamente ambizioso. In televisione, tra le altre cose, lo abbiamo visto nella fiction su Paolo Borsellino e nella sitcom surreale, nata da un’idea di Andrea Pezzi, Bradipo. Ma la vera fama, meritata più che acquisita, è arrivata grazie all’ottima interpretazione di Totò Riina ne Il capo dei capi, la fiction di maggior successo della stagione televisiva. Da questa sera Canale 5 si propone di bissare i picchi del primo capitolo programmando L’Ultimo Padrino, il film tv sul boss Provenzano a coronamento di una saga mafiosa sempre più discussa.
Gioè, dal canto suo, inizia a essere fermato per strada, ad assaporare le gioie improvvise di una popolarità folgorante. Ma resta decisamente coi piedi per terra e, soprattutto, molto critico nei confronti del panorama artistico italiano, come emerge da un’intervista a Vanity Fair:
“Dopo l’exploit del Capo dei capi non ho avuto nessun’offerta eccezionale. Qualcuna era anche ridicola. Il mercato è veramente alla frutta. Però sono piccolo e porto scarpe basse, aderenti al terreno, vedremo”.
Pur credendo nel ruolo di attore impegnato, dice di non voler schierarsi su una posizione di impegno sempre e comunque. Non sopporta, ad esempio, gli autori del cinema italiano che tromboneggiano e fanno film che parlano al vento:
“Bisogna dare spazio e voce a chi ha una vita davanti da vivere. Basta con questa farsa del regista quarantenne che in Italia viene considerato giovane, quando in America a ventisette è già vecchio. E basta anche con il nepotismo e con i vecchi che occupano in maniera mafiosa tutti gli spazi culturali di questo Paese. Non serve fare nomi. Basta andare a vedere chi è a capo di teatro, cinema e Tv in Italia. Assieme agli inutili critici, questi signori fanno favori a parenti e amici, e agli amici degli amici, e non vanno mai al di là del loro piccolo mondo. Non hanno alcun interesse verso il nuovo e verso le vere esigenze della società”.
Poi Gioè ha una sua filosofia dell’artista mercenario, di baudelairiana memoria, molto chiara. All’inizio è dura, perchè non si vede un soldo. Ora la sua situazione economica va decisamente meglio, anche se per comprare una casa dovrebbe fare sei edizioni del Capo dei capi. Se il gioco è quello di prendere i soldi e scappare, non se lo fa dire due volte, ma bisogna vedere cosa ci fa dopo, con quel bottino. Ad esempio, ha accettato Codice Rosso, prima di potersi permettere delle scelte e quando ancora era più defilato, per fare uno spettacolo teatrale:
“Ovviamente non sono rientrati. Fa niente. Comunque quella serie non era un granchè. Il soggetto era interessante, ma il risultato… Preferisco lavorare con giovani registi che hanno grandi idee e poco spazio. Quelli che resistono. Al contrario di quello che si vuole far credere sui giornali o in Tv, ce en sono tanti molto acuti, attivi e appassionati”.
Per chi volesse scoprirne a fondo il talento, l’attore è in scena al teatro Ambra Jovinelli d Roma con L’istruttoria di Claudio Fava.