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Virus, La Gabbia e la vicenda Stacchio: l’apologia dell’oclocrazia per un punto di share in più

La vicenda del benzinaio di Ponte di Nanto e della campagna virale #iostoconstacchio.

pubblicato 9 Febbraio 2015 aggiornato 2 Settembre 2020 18:49

C’era una volta il populismo, anche se è corretto scrivere che il populismo, la retorica spicciola o la demagogia sempliciotta non sono mai passati del tutto di moda (per quanto riguarda la giornata di ieri, citofonare Massimo Giletti che, anche questa domenica, non ci ha deluso).

Evidentemente, però, solleticare gli istinti primordiali della classe meno abbiente, e quindi meno preparata e più facilmente malleabile, che non tollera più i privilegi della kasta in quanto attanagliata dalla crisi, non risulta più sufficiente per la corsa al punticino di share in più.

Nel caso di Virus – Il contagio delle idee e La Gabbia, a dire il vero, non si tratta affatto di una ricerca dello share perduto ma di una ricerca dello share mai avuto: i programmi di approfondimento politico condotti rispettivamente da Nicola Porro e Gianluigi Paragone non hanno mai convinto a livello di Auditel però mantengono indenni il loro posto.

Se nel caso di La7 e de La Gabbia, son tutti fattacci di Cairo, nel caso di Virus, Rai e quindi tv pubblica, il programma di Porro, in onda da luglio 2013, non ha mai realmente sfondato, superando raramente il 5% di share, con una media spettatori per stagione sempre poco superiore a 1.200.000.

Se la Rai considera questi numeri soddisfacenti, a questo punto ogni discorso relativo agli ascolti, ad esempio su Forte Forte Forte, diventa completamente inutile.

A parte ciò, in questi giorni si sta trattando la vicenda riguardante Graziano Stacchio, il benzinaio di Ponte di Nanto, paese in provincia di Vicenza, che ha sventato una rapina ad una gioielleria, ferendo mortalmente uno dei malviventi. Stacchio è attualmente indagato per eccesso di legittima difesa e sul web è partita una campagna di solidarietà con l’immancabile hashtag di riferimento: #iostoconstacchio.

Fermo restando che non è qui la sede per giudicare l’iscrizione del benzinaio nel registro degli indagati, il malcontento popolare è stato immediatamente strumentalizzato affinché una giustissima lotta contro la criminalità diventasse una banalissima, ma molto più stuzzicante, caccia allo straniero.

Nicola Porro, conduttore di Virus, definisce continuamente se stesso un giornalista “brutto, sporco e cattivo” (parole sue), allergico al buonismo e ai trinariciuti. E’ sufficiente soffermarsi su questo particolare per asserire che deviare i propri programmi verso certi lidi è televisivamente molto più vantaggioso al fine di costruirsi una personalità mediatica ben distinta.

Durante l’ultima puntata di Virus, Porro ha invitato il giovane scrittore italo-angolano Antony Dikele Distefano. Lo scrittore, autore del libro Fuori piove, dentro pure, passo a prenderti?, si è giustamente lamentato della pericolosa ambiguità di un certo tipo di informazione, di come una potenziale caccia allo straniero possa coinvolgere anche persone oneste ma “colpevoli” di avere un diverso colore di pelle (Tor Sapienza docet). Distefano è stato liquidato con accuse di vittimismo provenienti da Vittorio Feltri e dalla sua solita boria.

Distefano, dal suo profilo personale Facebook, visibile a tutti, si è sfogato con questo messaggio:

Non andrò mai più in programmi del genere, perché quando vedo qualcosa che non mi va giù, m’incazzo e poi dico un mucchio di stronzate senza pensare. Perché ho amici Rom, ho amici zingari, albanesi, senegalesi, dell’est che subiscono tutti i giorni questo tipo di disinformazione e non è possibile. Che messaggio si vuole passare? Che gli immigrati rubanoe stuprano? Non mi va, davvero. Non mi va di spiegare a questo paese che nessuno dei miei amici ha precedenti penali e che le statistiche dimostrano il contrario di ciò che si respira e si percepisce. E poi per la giornata della memoria tutti buoni a scrivere ” Per non dimenticare”. Tutti bravi a parlare di libertà di espressione, quando ci sono fasce di persone che vengono attaccate tutti i giorni e non si possono difendere. Io non ci voglio vivere in un posto così. Ma davvero pensateci al ragazzo di origine Sinti che guarda un programma del genere e domani è costretto ad andare a scuola. In un paese civile, se sbaglia Luca, paga Luca , e se non lo mettono in carcere non me la prendo con tutti i Luca, ma con chi non l’ha messo in carcere. Io non so parlare e non parlerò più, ma davvero spegnete la tele e guardatevi attorno perché abbiamo tutti bisogno di una mano.

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La Gabbia, ieri sera, partendo sempre dalla vicenda Stacchio, è riuscita a fare anche di peggio.

In un filmato riguardante la vicenda (come di consueto, andato in onda più volte), un signore ha dichiarato che i cittadini dovrebbero fare come “quelli dell’Isis”, mimando il gesto di una decapitazione. Se da una parte, quindi, guardiamo al terrorismo con cosciente e ragionevole paura, dall’altro si erge paradossalmente l’Is come modello da imitare per difendersi dallo straniero che fa tanta paura.

In un altro servizio, realizzato in un poligono di tiro (ed è tutto dire), davanti alle domande provocatrici della giornalista (“L’avete saputo che i familiari del rapinatore hanno chiesto il risarcimento?”), i semplici cittadini italiani intervistati hanno risposto, mostrando fieramente delle pallottole (“Eccolo qui, il risarcimento!”).

Un terzo servizio è stato dedicato alla caccia al rumeno in un paese dell’hinterland romano. Non di una caccia al criminale (che anche quella è sbagliata) ma di una vera e propria caccia al rumeno con ronde popolari.

La retorica spicciola non basta più.

Ormai si punta all’apologia dell’oclocrazia per raccogliere un punto di share in più, si punta a spingere implicitamente, come primo capitolo di questa nuova saga, l’idea di giustizia fai da te.

Graziano Stacchio, una brava persona che ha fatto un gesto di civiltà ma che ha dichiarato in più occasioni di non sentirsi un eroe e di essere anche dispiaciuto per i familiari del rapinatore che ha involontariamente ucciso, è diventato l’uomo-simbolo, suo malgrado, di una campagna ideologica pericolosa e sbagliata che viene supportata da un certo tipo di trasmissioni.

Scrivere ciò non è buonismo ma soltanto buonsenso.