Saverio Raimondo a Blogo: “Dal programma in Rai con Belen a La Gabbia, ecco cos’è la satira”
“La comicità televisiva in questi ultimi anni ha finito col confondersi con l’animazione turistica alla villaggio”. L’intervista di Blogo a Saverio Raimondo
Ha ‘soltanto’ 30 anni ed il suo spazio a La Gabbia dura mediamente 3 minuti a puntata. Eppure la sua carriera televisiva offre tanti spunti interessanti e forse è pure più ricca di quella di altri personaggi che oggi affollano il piccolo schermo nostrano. Saverio Raimondo, di cui ci eravamo ‘accorti’ un anno fa, è colui che ha dato vita ad ‘Abbasso Radio 2 – Il Contro-Fiorello’ (su Radio Città Futura per Red Tv), una trasmissione “fintamente polemica, fintamente antagonista perché non sono un fan di Fiorello, ma nemmeno uno che gli va contro”. Ma è il concetto base la cosa più importante.
La satira cerchiamo di non appiopparla a chiunque. Fiorello fa un programma quotidiano sull’attualità, ma non fa satira. Fa battute, ma non è un comico satirico. Non dico che la satira sia un’arte nobile eccetera eccetera… è una stroxata come tutto il resto, ma è un’altra cosa.
Oggi, oltre a realizzare servizi/editoriali satirici nel talk show di La7 condotto da Gianluigi Paragone, è anche uno dei protagonisti di Stand Up Comedy, in onda su Comedy Central, canale 124 di Sky (la seconda stagione è prevista per i primi mesi del 2015). Il suo passato televisivo è suggestivo, comprendendo collaborazioni con Sabina e Caterina Guzzanti, ma anche la partecipazione decisamente non esaltante in un programma Rai condotto da Belen Rodriguez. Nella lunga intervista di Blogo al comico satirico ce n’è per tutti i gusti.
Preparando l’intervista ho scoperto che hai iniziato la carriera televisiva come autore di Serena Dandini…
Sì, a 18 anni. All’epoca lei era direttrice dell’Ambra Jovinelli a Roma e organizzava ogni anno provini per giovani comici. In maniera del tutto incosciente mi presentai e piacqui. Ero molto giovane, acerbo anche fisicamente, e in parte lo sono rimasto… (ride, Ndr) Accettai di dare una mano con i testi, lavorai con il gruppo della Dandini a Bra – Braccia rubate all’agricoltura su Rai3 per due stagioni.
Il vero debutto davanti alla telecamera risale invece al 2007 sul canale satellitare NessunoTv (diventato successivamente RED TV). Poi sei arrivato su La7, con Tetris di Luca Telese.
Sì, feci diverse ospitate.
Ma io voglio arrivare ad un punto cruciale. La tua partecipazione nel 2010 al programma comico di Rai2 Stiamo tutti bene, condotto da Belen Rodriguez. Perché ho recuperato quello che scrivesti su Facebook all’epoca. Non solo autocritica del tipo “su RaiDue è appena andata in onda la mia peggiore performance televisiva; belle battute bruciate dalla mia pessima esecuzione“, ma soprattutto: “È finita. Questa settimana andrà in onda l’ultima puntata di Stiamo Tutti Bene – non so più se di lunedì, mercoledì, venerdì… Stiamo Tutti Bene… di certo ora che è finita io sto meglio! È stata una marchetta necessaria, ma chi mi conosce sa che quello in video era solo l’ombra del sottoscritto. Io, di mio, mi sono sentito come Peter Sellers in Hollywood Party: uno invitato per sbaglio, fuori contesto“.
Per la prima volta mi fu chiesto di partecipare ad un programma su una tv generalista, nel cast fisso. Era come se fino ad allora avessi pomiciato parecchio, però per la prima volta c’era da fare le cose fino in fondo. Come si sa, la prima volta fa male, poi magari diventa piacevole. Stiamo tutti bene era un programma arrangiato. L’idea che mi sono fatto – per carità, magari sbagliata – è che fosse una trasmissione che bisognasse fare per dare a Belen in curriculum una conduzione. Infatti l’anno dopo fece Sanremo. In realtà fu Stefano Disegni, uno degli autori del programma, a portarmi dopo avermi visto live negli spettacoli di Satiriasi. Un riconoscimento che accettai. Però ero davvero Peter Sellers in Hollywood Party: marziano e alieno rispetto al programma. Fui preso per fare il monologo dell’Italiofobo, poi avevano paura per la satira e mi chiesero di cambiare. Ma alle prove generali mi dissero ‘no, aspetta quello era più forte, fallo’. Fui sottoposto ad una serie di censure surreali: in un monologo facevo la battuta ‘fateci caso all’estero i capi di Stato sono tutti stranieri, solo in Italia il Premier è italiano’. Venne un capostruttura di Rai2 all’epoca per spiegarmi che non potevo dire che in Italia il Premier è italiano. Insomma, era tutto sbagliato ma era da farsi, perché da qualche parte bisogna pur cominciare. Ricordo che dopo la registrazione di una puntata ero talmente avvilito che quando tornai in albergo su Facebook scrissi ‘In albergo. Come Tenco’.
Se per questo scrivesti anche che le ballerine avevano la cellulite e che erano pagate col canone Rai.
Sì, questo fa parte di un monologo nel quale ironizzo sulla sfortuna di essere un comico satirico mai censurato.
Oggi in Rai i tuoi pezzi satirici verrebbero censurati?
Oggi io ho una certa reputazione; si sa quello che faccio. Se mi chiami accetti che io possa alzare l’asticella. Qualche anno fa mi chiamarono a Glob e lì ho potuto fare battute che per il canone Rai – non quello che si paga – erano hard: sul Papa, con riferimenti sessuali, su Berlusconi. Andai prudente, mi accorsi che nessuno mi diceva niente. Andai meno prudente, mi accorsi che nessuno mi diceva niente. Quindi se hai un briciolo di reputazione a un certo punto le cose puoi farle. La censura c’è, ma non c’è, in questo senso. A La Gabbia ho il grande vantaggio di avere maglie censorie molto larghe. Le cose che stanno andando in onda su La7 difficilmente potrebbero andare in onda in Rai. Poi io penso che grazie al cortocircuito creato dal mio parlare qualche volta forbito nel trattare temi controversi abbia potuto fare cose che ad altri non sono state permesse.
Se ti avessero chiesto di fare la copertina di Ballarò, cosa avresti risposto?
Avrei pensato sul come farla. Per gusto mio non andrei in studio davanti ai politici (come ha fatto invece l’amico e collega Giorgio Montanini, Ndr). Non mi piace. Ma non mi sarebbe piaciuto nemmeno il collegamento alla Crozza. Avrei dovuto inventarmi qualcosa. Insomma, a me non piace il comico che interloquisce col politico.
Montanini è stato attaccato da Libero (Belpietro era ospite in studio) che ha scritto che non fa ridere. Successe anche a te ai tempi di Stiamo tutti bene.
È una critica che viene mossa da 100 anni per stroncare un comico. È capitato a tutti.
Torniamo all’excursus sulla tua carriera tv. Hai fatto Un due tre stalla di Sabina Guzzanti, su La7.
È durato una sola stagione, ma quello per me è stato il vero debutto; con i pregi e i difetti che aveva, era il programma giusto per ‘suonare la mia musica’. Non ero stonato rispetto al profilo del programma.
Nel 2013, con la sorella di Sabina, Caterina Guzzanti, nel programma La prova dell’otto su Mtv.
Sì, lì il coinvolgimento è stato più autoriale. Ero al servizio di Caterina, era un woman one show.
@GalantoMassimo meglio, no? è più nelle mie corde
— Saverio Raimondo (@saverioraimondo) 16 Novembre 2014
@GalantoMassimo @GigiGx confermo: i miei nn sono servizi ma editoriali satirici -ho dato forma televisiva al mio essere stand up comedian
— Saverio Raimondo (@saverioraimondo) 16 Novembre 2014
@GalantoMassimo l'anno scorso ho sperimentato servizi in esterna: alcuni ok ma in generale non ero al top -no condizioni produttive
— Saverio Raimondo (@saverioraimondo) 16 Novembre 2014
@GalantoMassimo quest'anno ho fatto altra scelta stilistica, molto individuale e autonoma è vero ma direi più efficace
— Saverio Raimondo (@saverioraimondo) 16 Novembre 2014
@GalantoMassimo per fare quello che volevo fare non c'erano tempi e mezzi. No polemica, semplice constatazione -e mia conseguente scelta
— Saverio Raimondo (@saverioraimondo) 16 Novembre 2014
@GalantoMassimo inoltre rivendico soluzione attuale come a me più congeniale, e non dico più originale ma "diversa" nel panorama tv italiano
— Saverio Raimondo (@saverioraimondo) 16 Novembre 2014
@GalantoMassimo ammetto: è stata scelta molto "individualista". Del contesto non rispondo, ma almeno posso rispondere di quello che faccio.
— Saverio Raimondo (@saverioraimondo) 16 Novembre 2014
E dopo Glob, sei arrivato a La Gabbia. Rispetto alla prima stagione, però, quest’anno il tuo contributo è cambiato, come mi hai già spiegato su Twitter qualche settimana fa.
L’anno scorso mi contattarono con poco preavviso rispetto alla prima puntata, proponendomi di fare dei servizi in esterna. Non li avevo mai fatti, ma l’idea di sperimentare qualcosa mi stuzzicava. La mia volontà era di non fare servizi in stile Le Iene. Se volevo fare la Iena sarei andato lì e invece in quel programma non mi sono mai proposto. Comunque volevo provare a capire se riuscivo a fare servizi satirici in esterna diversi da quelli che si vedono in giro. Ci sono riuscito a metà; alcuni servizi dello scorso anno li rivendico con orgoglio, quello sull’Olocausto di Berlusconi (lo trovate qui sotto, Ndr), sul linguaggio sessista, sull’incontro tra Renzi e Berlusconi al Nazareno. La mia sfida era riuscire a tirar fuori degli sketch in esterna. Il più delle volte, però, questo non mi riusciva perché il tempo e i mezzi a disposizione non lo permettevano. E lo dico senza polemica: se il tempo e i soldi sono quelli non è perché ti puniscono, ma perché sono quelli. Per questo alcune cose che ho fatto l’anno scorso per quanto mi riguarda possono andare nel dimenticatoio. Quest’anno non ho voluto ripetermi. Ho detto agli autori de La Gabbia che se avessero voluto proseguire la collaborazione avrei voluto cambiare completamente, facendo editoriali con mezzi miei (con l’aiuto di un fil-maker, Maurizio Montesi).
E gli autori cosa ti hanno risposto?
‘Facci vedere cosa intendi’. Così ho mandato il primo editoriale, sull’Ice Bucket Challenge, e hanno dato l’ok.
Degli ascolti te ne preoccupi?
Sinceramente no. So che è importante (ho fatto un esame con Carlo Freccero), ma so anche che l’ascolto è indipendente da quello che faccio. È arbitrario. Non ci penso perché io non posso averne il controllo diretto.
Quando Montanini ha fatto la copertina di Ballarò in studio uno degli elementi che più ha colpito il pubblico generalista credo che sia stato il fatto che nessuno dei presenti abbia riso. Tu eviti di fare altrettanto a La Gabbia per sfuggire a questo effetto?
Il mio riferimento sono i comici satirici americani. Guarda John Oliver sulla HBO: il pubblico non si vede mai, potrebbero essere risate finte, lui è sulla scrivania, fa il suo editoriale. Io mi ispiro a quella cosa lì. Televisivamente parlando trovo che quello che faccio sia più efficace. L’esibizione live funziona tantissimo quando sei in un locale, mentre televisivamente ha bisogno di un trattamento particolare. Un conto è una trasmissione interamente dedicata, un conto è stare in un talk show, ed entrare dopo una discussione sulla disoccupazione tra un politico e un sindacalista. Io mi rifiuto, non è questo che voglio fare. E poi trovo che la confezione dei servizi sia migliore dell’affidarsi alla regia live. C’è un caro vecchio adagio: se non lo fanno gli americani ci sarà un motivo. Quando agli stand up comedian propongono di fare un programma loro costruiscono un’idea televisiva.
Montanini sostiene: “I programmi comici televisivi, sono tutti indirizzati ad un pubblico di bambini e adolescenti. Pupazzi, tormentoni, faccette e personaggi“. Condividi?
Beh, tu che dici? Basta vederli. Effettivamente la maggioranza, se non la totalità, è così. La comicità televisiva in questi ultimi anni ha finito col confondersi con l’animazione turistica alla villaggio. Si è creato un cortocircuito per cui il cabaret sarebbe animazione, ma in realtà non è così. Sono sempre stato dell’idea che se quella roba – se ha successo – si vuole fare, prego, avanti, alle otto di sera va bene. Ma mi sono sempre chiesto: perché a mezzanotte valgono le stesse regole delle nove di sera? Anche in base alla mia esperienza Rai, le maglie censorie sono identiche che sia mezzogiorno o che sia mezzanotte. E invece è molto diverso. Se c’è un bambino davanti alla tv a mezzanotte non è un problema di chi fa la tv, ma della famiglia di quel bambino. Trovo illogico che i criteri censori non cambino in base alle fasce orarie.
So che potresti citarmi Lenny Bruce, George Carlin e Bill Hicks. Per questo ti chiedo quali siano i tuoi riferimenti satirici italiani.
Sì, effettivamente la mia formazione e il mio gusto sono quasi esclusivamente americani e anglosassoni. Italiani, direi i fratelli Guzzanti. Hanno fatto cose straordinarie, sulle quali mi sono formato. La tv degli anni ’90 l’ho apprezzata. Daniele Luttazzi ha svolto un ruolo fondamentale per il linguaggio comico del Paese. Al di là dei meriti artistici, vista la questione plagi, ha un merito culturale. È la Fernanda Pivano dei comici. Come la Pivano ha importato in Italia Hemingway, Luttazzi così ha fatto con i grandi comici. Io, Giorgio Montanini e tutti gli stand up comedian in Italia siamo eredi culturali di Luttazzi; è stato il primo a portare un certo stile, certi temi, un certo linguaggio. Diciamo così: lui è arrivato primo, probabilmente era dopato, ma il merito culturale gli resta.
Hai detto “Siti come Spinoza, dove ogni giorno migliaia di utenti scrivono battute sulla notizia del giorno. Questa non è satira: è un tic“.
La sottoscrivo. So che molti nel sito Spinoza si sono offesi per questa che è una battuta. Ho citato Spinoza, ma è solo un caso. La battuta furtiva sui casi d’attualità ormai ha invaso i social network. È il Sudoku, un esercizio di ginnastica mentale che fanno in tantissimi. Da un comico professionista io mi aspetterei qualcosa di più.
Cosa è la satira, allora?
Non ho mai lavorato ad una sua definizione, a me la satira viene spontanea. È un ritmo nel sangue. La satira sicuramente non è impegno civile, lotta, rivoluzione. La satira è….
Ti aiuto: la satira si può fare su tutti gli aspetti della vita?
Certo. In Italia si pensa che ridere di una cosa voglia dire svilirla. Mentre ridere è semplicemente un modo di comprendere di capire. La satira può farti arrivare a comprendere e elaborare cose che altrimenti non avresti capito. C’è una battuta che dice che la comicità è scivolare su una buccia di banana, la satira su un preservativo usato. Fanno ridere entrambi, ma nel secondo caso fa più schifo. La satira è controversa, è un brivido, è provocazione. Ma non cambierà il mondo. È un mezzo di espressione e di comprensione per chi la fruisce. La satira è l’utilizzo della comicità laddove apparentemente non c’è.
Ecco, allora hai la definizione. Per chiudere: cosa pensi di The jackal, The Pills, Il Terzo segreto di Satira che dal web sono passati alla tv?
(ride, Ndr). L’ibridazione dei mezzi è sempre rischiosa. Si va in tv perché in tv ci sono soldi, pochi, ma ci sono. Se ci fossero più soldi sulla rete ciò che è web resterebbe sul web e non avrebbe bisogno del compromesso televisivo. Rispetto ai gruppi che hai citato… sono tutti molto bravi…
Sento che sta per arrivare un ‘ma’…
Sono divertenti in moltissimi casi, ma non la chiamerei satira. Ma non lo sto dicendo come un difetto: uno non è obbligato a fare satira. Penso che sia un ottimo umorismo sull’attualità. Io nel mio piccolo cerco di fare i miei editoriali su temi larghi e non sull’attualità, ma sulla contemporaneità. Sui tempi che stai vivendo, non sulla giornata. Lo sforzo da fare, dal punto di vista satirico, è lasciar perdere i titoli dei giornali di oggi e pensare a temi che ci riguardano oggi, come ieri e come domani.
In chiusura segnaliamo che Saverio Raimondo è in tour, partito a Bologna il 20 novembre. Il 4, 11 e 18 dicembre sarà a Roma al Comedy Central Cocktail Club, il comedy club che lui stesso dirige, mentre il 5 tornerà a Milano.