Storie Maledette dal 13 settembre su Raitre. Franca Leosini a Tvblog: “Sarà una stagione caratterizzata da storie di impatto narrativo estremo”
A partire da sabato 13 settembre, e per cinque puntate, torna su Raitre in seconda serata Franca Leosini con le sue Storie Maledette. Tvblog l’ha intervistata.
A partire da sabato 13 settembre su Raitre – in seconda serata – torna l’imperdibile appuntamento con Storie Maledette, trasmissione cult per gli amanti del noir che quest’anno festeggia i 20 anni di messa in onda. Autrice e conduttrice del programma, come sempre, sarà Franca Leosini, un mito del giornalismo televisivo sia per gli appassionati del genere che per gli addetti ai lavori, che le hanno sempre riconosciuto, e continuano a farlo, grande professionalità e competenza. Dopo l’intervista dello scorso anno, torniamo quindi a fare due chiacchiere con la giornalista che ha creato e portato al successo Storie Maledette. Le cose di cui parlare sono come sempre tante, tante le cose da scoprire e da analizzare insieme a lei. La Leosini è proprio come la si vede in tv: elegante, pacata, sempre disponibile. Quando si parla con lei – anche dei più terribili dei delitti – si ha come l’impressione di essere lì a conversare del più e del meno con una vecchia amica che si conosce da sempre, davanti a un buon the. Sarà anche per questo che è così amata e seguita dal suo pubblico, da oltre vent’anni. Ed è certamente per questo che solo con lei si aprono coloro che sono inciampati in terribili Storie Maledette.
Torni in tv dopo un anno e festeggi i 20 anni di trasmissione. Cosa caratterizza questa nuova stagione di Storie maledette?
Sarà caratterizzata da storie di impatto narrativo estremo, anche se la struttura del programma rimane la stessa, perché in caso contrario sarebbe tradire un tipo di approccio alla tematica che ho scelto da sempre. Intanto inizio col dirti che il primo caso, diviso in due puntate perché è una storia molto complessa, avrà il titolo “Quando Stefania ha il cuore di tenebra”. È un caso che spero e credo che farà storia. È la dolorosa storia di una donna che oggi ha 30 anni e che ho intervistato nell’ospedale psichiatrico di Castiglione delle Stiviere. Lei, Stefania Albertani, si è resa responsabile di una tragedia che potremmo definire di stampo greco: ha ucciso la sorella e ne ha bruciato il corpo. Ha tentato di uccidere i genitori dando fuoco alla macchina mentre loro si trovavano all’interno dell’auto. Ha tentato di strangolare la madre, dandole puoi fuoco: la donna è stata salvata in extremis dai carabinieri. Questi sono i reati di cui si è resa responsabile questa creatura che, premetto, io amo particolarmente. Nutro per lei un affetto e una pietas profondi. Detto questo, la straordinarietà di questa storia è innanzitutto il fatto che la vicenda giudiziaria fa storia: è la prima volta, infatti, nella storia giudiziaria italiana e nel mondo, che le neuroscienze entrano in un processo. Le neuroscienze sono quelle tecniche di accertamento che consentono di studiare aree del cervello che controllano le funzioni specifiche del comportamento, e nel caso specifico di Stefania hanno accertato che nel suo cervello ci sono istinti aggressivi e criminali. È la prima volta in un processo che un tribunale ammette che intervengano le neuroscienze. Al di là delle perizie psichiatriche effettuate su di lei, le neuroscienze hanno appunto verificato l’esistenza di questa malformazione, definendola una psicopatica dalla doppia personalità. Stefania è stata condannata a 20 anni di reclusione e 3 di ospedale psichiatrico giudiziario, per reati che avrebbero forse richiesto più ergastoli. Per questo dico l’importanza dell’applicazione delle neuroscienze. C’è poi un altro aspetto di straordinarietà: è la prima volta in una trasmissione televisiva che una persona che si è macchiata di tali reati, e che al processo ha taciuto dicendo di non ricordare nulla, confessa tutto quello che ha fatto. Lei mi ha raccontato tutto, nei minimi dettagli, tanto che ho sofferto moltissimo durante il nostro incontro, dovendo fare uno sforzo veramente alto per non piangere. Le lacrime poi le ho versate tutte in fase di montaggio, perché è una storia che mi ha davvero straziato. È un’intervista drammatica e struggente. Stefania ha avuto la forza di confrontarsi con se stessa e di farlo con me. Devo anche dire però che gli pischiatri di Castiglione delle Stiviere hanno fatto davvero un ottimo lavoro.
Quante sono le puntate e quali i casi trattati?
Sono quattro storie in cinque puntate. Per il momento ti dico solo il secondo caso trattato, dal titolo “Vissi d’arte, vissi d’amore”, come l’aria della Tosca. Protagonista di questa storia è infatti una bellissima donna di 38 anni, che ho intervistato sempre nell’ospedale psichiatrico di Castiglione delle Stiviere (una struttura davvero straordinaria, con clinici straordinari, che andrebbe portata a modello in Italia). La donna, Daniela Werner Del Monaco, ha accoltellato il marito, uno dei figli del grande tenore Del Monaco. L’uomo è sopravvissuto, con una lesione permanente al cuore. Lei voleva fare la cantante, lui era regista di opere, in un mondo difficile come quello della lirica: è una storia molto tragica e struggente, in cui racconterò la discesa agli inferi di questa coppia.
Molti quando vai in onda si lamentano del numero delle puntate: sarebbero troppo poche…
Devo dire che questa cosa mi lusinga e mi gratifica sempre molto. Considera però che ogni volta che mi metto al lavoro per una stagione è come se scrivessi un libro. Sono autore unico della trasmissione e quindi puoi immaginare quanto lavoro ci sia dietro a una sola puntata. Probabilmente se cercassi di fare più puntate Storie Maledette non sarebbe così, perderebbe in qualità. Per ogni caso studio gli atti giudiziari dalla prima all’ultima parola, studio la psicologia dei personaggi, l’ambiente in cui si è svolta la storia, scrivo dalla prima all’ultima parola. È un lavoro talmente intenso che fare più puntate non è davvero possibile.
Su Twitter l’anno scorso, durante le puntate, eri seguitissima. In particolare ciò che ho notato è che la tua narrazione e le tue espressioni forbite sono molto amate dal pubblico, soprattutto dai più giovani. Dopo oltre 20 anni di esperienza nel campo, quale è il segreto per piacere al pubblico, se c’è?
Più che linguaggio ricercato o forbito, il mio è un linguaggio non povero. È un linguaggio che vorrebbe e dovrebbe essere un modello per chi segue la trasmissione. Non so quale è il segreto per piacere al pubblico, ma quello che so per certo è che i giovani di oggi sono più sensibili, intelligenti e preparati di quello che noi non pensiamo. Nel momento in cui il pubblico ritiene un prodotto di qualità, è chiaro che lo segue. Pensa che io ricevo sempre tantissime email. Una delle più belle me l’ha inviata il pugile Clemente Russo, che mi ha scritto di essere un appassionato della mia trasmissione, dicendo: “La sua trasmissione ha l’eleganza di un grande incontro di boxe, con la differenza che a vincere è sempre lei”.
Tra i tuoi estimatori ci sono anche tantissimi colleghi. Gianluigi Nuzzi, che ho intervistato recentemente, di te ha detto “la Leosini per me rimane una candela accesa nel buio, perché è un’ottima professionista”. Che effetto ti fanno questi complimenti?
Intanto dico che Nuzzi è davvero bravissimo, e non lo dico per ricambiare un complimento. Una sua valutazione di questo genere, nei miei confronti, mi riempie davvero d’orgoglio, perché lui è un professionista di grandissimo livello, che ha un background fortissimo, che ha aperto squarci di verità in ambienti che erano preclusi. Si pensi al Vaticano e a tante altre vicende su cui ha saputo mettere le mani con grande prudenza. Sono quindi molto grata a Nuzzi, e gli ricambio la stima e i complimenti con tutto il cuore. Poi sai, la stima dei colleghi è quella che più mi gratifica, proprio perché sono sempre i critici più severi.
I salotti televisivi, pomeridiani e serali, si occupano spesso di cronaca, avvalendosi anche della collaborazione di esperti del settore. Perché non ti abbiamo mai vista in quelle occasioni? Immagino sarai stata cercata più volte…
Immagina che io dico almeno due “no” a settimana. Da parte mia c’è molta gratificazione per il fatto che i colleghi mi cercano sempre, quando c’è da parlare di cronaca. Ma io dico no per scelta, innanzitutto per il rispetto che ho per le storie, per le persone e anche per la materia che tratto. In tutte le trasmissione si fa ormai ampio consumo della materia giudiziaria, del noir, e io lo rispetto, ma preferisco non partecipare. Quando ad esempio c’è stato il caso di Bossetti, puoi immaginare quante proposte mi siano arrivate. Io ho accettato di intervenire solo alla trasmissione radiofonica di “Radio Anch’io”, però a un patto: non dare giudizi preventivi sul caso. Ho espresso solo la mia opinione sul fatto che la stampa non poteva tacere, nel momento in cui l’annuncio viene dato dal Ministro dell’Interno. Quando si ha una notizia, è nostro dovere darla. Però un conto è dare la notizia, altro è andare per citofoni, a cercare la madre, la sorella e via dicendo. Quello è il tipo di giornalismo che io non condivido, che sporca il mestiere e sporca le storie.
Vai in onda con Storie maledette da 20 anni ed è sempre un successo, perché la qualità paga. Ma quanto è difficile, oggi, fare qualcosa di innovativo in tv, specialmente nel campo della cronaca nera?
Qualche innovazione l’ho vista recentemente, ma preferisco non indicarla. Quello che però posso dirti è che quando le innovazioni imbastardiscono un prodotto, è meglio evitarle. Nel nostro campo è come nelle sinfonie: le note sono sette, più di tanto non si può fare. L’importante è sempre suonarle bene quelle note, suonarle con qualità. Come dico sempre, di ogni vicenda si può fare una storiella, una storiaccia o una storia. Io cerco di fare storie.
C’è una tipologia di ‘storia maledetta’ che non tratteresti mai in televisione? Quali sono i limiti di ciò che si può mostrare in tv?
Assolutamente sì. Non ho mai voluto trattare di serial killer e di pedofili. E questo perché ho grande rispetto dell’infanzia e orrore per chi si macchia di questi crimini. Ti faccio un esempio: mi ha cercato più volte Bilancia, ho tutte le sue lettere, ma io non l’ho mai voluto incontrare. È un serial killer di grande malvagità, che si vuole far passare per pazzo. Ma io non mi faccio usare da nessuno. Detto questo, voglio ricordare che i protagonisti di Storie Maledette sono sempre non professionisti del crimine, ma persone che a un certo punto della loro vita si sono trovate a commettere un crimine.
Se in tv non dovessi più occuparti di cronaca nera, cosa ti piacerebbe fare sempre a livello televisivo?
Secondo me sarebbe poco cortese nei confronti della materia che tratto dire “voglio fare un’altra cosa”. Anche perché amo moltissimo quello che faccio. Però se proprio dovessi scegliere, per assurdo, qualcos’altro, farei forse un talk di tipo particolare. Come autore, poi, io sono molto attenta alla parte autoriale dei prodotti. Il vantaggio di essere autore è che sono libera di scegliere di cosa parlare e di come parlarne.
Per chiudere e salutarci: è notizia degli ultimi giorni che Rosa Della Corte è evasa. Un caso, quello della ragazza condannata per l’omicidio del fidanzato, di cui tra l’altro ti sei occupata solo tu in tv e che per questo è noto al pubblico televisivo. Che effetto ti ha fatto sapere dell’evasione?
Sono dispiaciuta e distrutta. Se Rosa mi avesse chiamato, visto che siamo in contatto, le avrei detto di non farlo. È un vero colpo di testa. Mi auguro che chi l’ha mal consigliata e ce l’ha in gestione, la riporti indietro, perché così Rosa rischia di perdere tutti i benefici di legge. Siccome Rosa non è malavitosa, non riuscirà a vivere da latitante. Questa cosa mi ha addolorata moltissimo, mi auguro che si consegni e riduca al minimo i danni.
L’appuntamento con Franca Leosini e Storie Maledette è per sabato 13 settembre su Rai 3, intorno alle 23.30.