Nasce a Firenze negli anni settanta, mentre diventa autore televisivo negli anni novanta, il più giovane del fantastico team di “Fuori gli Autori” di quest’estate 2014,qui su TvBlog. Filippo Cipriano ha collaborato alla stesura dei testi di programmi quali: Passaparola, Sbarre, Target, Attenti a quei 2 la sfida, Invincibili, Cash taxi, Sei più bravo di un ragazzino di quinta, fino al recentissimo Si può fare con Carlo Conti. Nel frattempo è diventato amministratore delegato di “Nonpanic Banijay“, oltre che direttore artistico e creativo della società di Marco Bassetti “Ambra Banijay“. Insomma una carriera dalle molteplici facce professionali, giocata tutta nel mondo del piccolo schermo.
Oggi a Fuori gli Autori esce la sua personale ed originale visione del mondo della televisione e della categoria dell’autore televisivo. Signore e signori ecco a voi Filippo Cipriano.
Se Timbuctu vale un viaggio
Quando mi hanno chiesto di esprimere un parere sul significato attuale di “autore televisivo”, ho cercato subito la scorciatoia del riferimento letterario colto ma mi sono arreso al primo patetico tentativo. Allora mi sono domandato se non fosse l’occasione per ribadire concetti “a effetto” che suscitano sempre una certa reazione: l’importanza delle app nei nuovi format (citando magari il trend Rising Star ), il fondamentale confronto con idee metatelevisivie (così ci infilavo Goggle Box) o il rinnovato interesse per i reality d’importazione (e qui sciorinavo titoli come Utopia & le decine di nuovi BIg Brother all’orizzonte. Uno più inutile dell’altro).
Poi mi è venuto in mente lui: Renè Cailliè, uno degli esploratori più scalcagnati di tutti i tempi; il primo europeo ad essere tornato vivo dalla leggendaria città segreta di Timbuctu ad inizio 800.
Uno che decide di fare l’esploratore perchè è rimasto affascinato dai racconti di Robinson Crusoe (dico “racconti” e non “letture” perchè Renè era anche semianalfabeta) e lo fa in un’epoca in cui è già stato scoperto quasi tutto. Visto il curriculum infatti nessuno gli finanzia l’impresa ma lui si imbarca lo stesso. Ci mette 10 anni per raggiungere Timbuctu e per farlo impara anche l’arabo; quando ci arriva scopre di essere stato anticipato di due giorni da un nobile latin lover scozzese pagato dalla regina.
Lo scozzese (per sua somma gioia) viene ucciso dai tuareg mentre lui torna in Francia e testimonia ciò che ha realmente visto: Timbuctu è solo un povero villaggio in rovina. Ma nessuno gli crede perchè nel frattempo hanno ritrovato i diari dello scozzese che si vanta di aver visitato la città più ricca del mondo, una versione decisamente più appealing. Non c’è lieto fine: Renè muore – con la sua verità – a causa di una malattia contratta in Africa. Voi vi chiederete cosa c’entri Renè Cailliè.
Nella sua parabola tragicomica a metà tra Don Chisciotte e Fantozzi, Renè ha fatto quello che fa un autore oggi: ha inseguito la suggestione di un racconto con tutte le sue forze, lo ha fatto usando gli strumenti a sua disposizione e quando questi non bastavano se li è inventati, ha dimostrato che le storie non si scrivono partendo dal finale e che i problemi di budget sono sempre esistiti.
In sintesi, per fare gli autori televisivi oggi bisogna essere degli esploratori scalcagnati. Conoscere il mondo, le tendenze e viaggiare controvento. Anche con una barchetta piena di falle. Certo, Renè era semianalfabeta e alla fine la sua idea l’aveva già avuta un altro. Ma penso che molti di voi, soprattutto per questo, troveranno molte analogie con la figura dell’autore televisivo…
Filippo Cipriano