Nasce a Savona nel 1964 ed esordisce come autore televisivo a Loretta Goggi in Quiz su Rai1 nei mitici anni ottanta. Pietro Galeotti, padrone di casa oggi qui su TvBlog di “Fuori gli Autori”, da allora esplora l’universo mondo dei programmi del piccolo schermo, passando dalle trasmissioni musicali, a quelle comico-satiriche, fino ai programmi d’informazione ed i talk show, insomma quella enorme branca della televisione che si chiama: varietà. Stretto collaboratore di Fabio Fazio, Galeotti è nella squadra degli autori di Che tempo che fa dal 2003 ed ha fatto con lui i Festival di Sanremo, non solo con lui, come leggeremo… Per “Fuori gli Autori” oggi su TvBlog esce: Pietro Galeotti.
Uomini e autori
Alle 10.30 di un giorno di settembre del 1983 mi sono presentato (puntuale) alla mia prima riunione di redazione. Avevo 19 anni.
Da allora non sono più uscito da quella stanza, lì dentro ho trascorso tutta la mia vita, ho scritto e firmato programmi di successo, flop , tolsciò, varietà, quotidiani, seconde serate,eventi, speciali, fino a diventare quello che sono oggi: un autore di mezza età.In riunione. Silenzio. Carico di pensieri(il silenzio, dico?). Noia.
Il televisivo usa a differenza degli esseri umani, parole-mostro che nascono dalla fusione in un unico blocco di sostantivi, congiunzioni, verbi, esclamazioni, preghiere, aggettivi, pronomi, minacce e bestemmie. Questo per non perdere tempo nella discussione e riaddormentarsi subito.
Intorno ad un tavolo, gli AUTORI.
Sul lato corto il REGISTA.
Appoggiato alla lavagna il DIRIGENTE.
Vicino alla finestra, con la sigaretta accesa verso il corridoio, il PRODUTTORE.
Dalla porta , chiusa, entrano ed escono senza un motivo apparente CANI E PORCI.
Di uno spettacolo televisivo quanto appartiene veramente all’ autore?
Un libro è di chi scrive, o forse no, perché tutto sommato ogni libro non é che la somma dei libri che abbiamo letto e che leggeremo.
Un programmino in tv come fai a dire che é di chi lo scrive?
Infatti nessuno lo dice, ne lo pensa.
E poi chi scrive cosa? E quanti siamo a scrivere? Qualcuno legge quello che scriviamo? Semmai si interpreta quello che pensiamo. Ma allora la fase più importante dell’autore televisivo é la fase del pensiero. Quella in cui tutto può accadere, immediatamente precedente a quella in cui scopri che nulla di ciò che hai pensato accadrà mai. All’inizio di ogni spettacolo – quello che ho sentito definire da un televisionaro lo spermatozoo- c’é un’idea. Lì ce la giochiamo per conquistare un ruolo che giustifichi il titolo di testa.“Bisogna fare il possibile, sapendo che è inutile.”
Mi sono appuntato questa frase letta in un racconto di Pier Vittorio Tondelli . Perfetta.Da ormai oltre trent’anni, sono autore televisivo. Sapendo che è inutile.
Ritrovo il senso di questa giornata tiepida ed invitante di fine estate consumata in una sfondante riunione alla ricerca dell’idea buona per una trasmissione in un’altra frase:me la disse il più grande di tutti noi, Enrico Vaime, tanti anni fa mentre assisteva con me alla performance di un pubblicitario squilibrato francese, che inopinatamente vestito da paracadutista proponeva idee per le telepromozioni di non so più quale Festival di Sanremo:
“Pietro, ci pagano un tanto a umiliazione”.Avanza in sottofondo una vocina timidissima, di autore junior, premette che si tratta di una cazzatina tanto per rompere il ghiaccio, butta lì una possibile ipotesi sfocatissima di progetto che a chiamarla idea svanirebbe del tutto.
Non é che a me le idee vengono così, a getto continuo, per questo quando una di loro si fa largo tra i miei neuroni e non trova ostacoli nel pudore personale, la tengo lì, me la coltivo non la faccio trapelare neppure per accenni, e me la gioco quando la riunione entra nello stallo totale e per interminabili minuti tutti guardiamo verso il pavimento, o verso il soffitto e nessuno fiata neanche per tossire, in attesa di qualche cosa, qualunque cosa, che a quel punto sembrerà geniale.Godo a spararmi in quel preciso momento il jolly come ai bei tempi di Giochi senza frontiere e dagli astanti parte un urlo di sollievo. Si può andare a mangiare. Di quell’idea fra due ore o l’indomani al più tardi, si sarà fatta carne di porco.
Le idee sono nell’aria. Se mi metto a raccontare a qualcuno un progetto per un programma, quello stesso progetto verrà realizzato dopo un non definito lasso di tempo da qualcun altro.Semo tutti autori. Tanto, nel passaggio da un ufficio all’altro, da un produttore all’altro, da un dirigente all’altro l’IDEA si annacqua via via, in un pezzullo di ideuzza riciclaticcia che fai fatica a riconoscere pure tu che te l’eri inventata. Per cui taci, che il broadcaster ti ascolta.
Odio questa riunione. Va avanti da trent’anni. Ascolto in sottofondo il dirigente mentre ci informa che alla rete servono dodici puntate di una prima serata, perché il presentatore che doveva condurre lo spettacolo già messo in palinsesto si é accordato con la concorrenza e ha dato forfait al’improvviso, insieme a tutta la produzione. Compiti di questa bella giornata di fine estate: inventare da zero uno spettacolo che deve andare in onda tra due settimane. Due settimane.
Quindici giorni dentro questo appartamento, al primo piano di un borghesissimo palazzo romano con portineria, stanza in fondo a destra -non fate casino che a fianco c’é il noto giornalista, che quando lavora non vuol essere disturbato- con qualche genere alimentare, una pala che pende dal soffitto, una lavagna per segnare tracce di scaletta, sempre un computer in meno dei presenti, un televisore e un paio di armadietti da ministero, traboccanti di faldoni di vecchi contratti di vecchissime produzioni con vecchissime scalette di programmi stradefunti.
Noi siamo già in completa catalessi , occhi pallati nel vuoto. Guardo le foto nel telefonino, alla ricerca di un’idea. Di tutti questi anni di tv conservo solo una foto con Gianni Brera scattata in un vecchio studio Rai della Fiera ( non c’è più lo studio e nemmeno la Fiera) : Brera é seduto in poltrona ,fuma la pipa, mentre io gli sto del tutto innaturalmente a fianco, appoggiato sul bracciolo . E’ una foto fine anni ‘80 .
Qualcuno ha un’idea,per favore?
In un foglietto che distrattamente il dirigente mi ha passato prima di uscire, leggo due o tre nomi di possibili conduttori da contattare, liberi ed evidentemente ritenuti adatti. Chissà a cosa, dato che qui nessuno parla.
Qualcuno telefoni giù al bar per ordinare qualche panino. Perché bisogna mangiare male, di corsa e in piedi per fare l’autore?
Il bello di chi fa il mio lavoro, non dovrebbe essere quello di trascorrere buona parte della giornata a tavola insieme a commensali stimolanti , mangiando ottimi piatti della tradizione , serviti da una ribalda cameriera che aspira ad una carriera televisiva e lasciandosi andare a ricordi aneddoti e pettegolezzi, sugli amorazzi dei dirigenti e delle soubrettes? E far confluire il tutto nel serbatoio dell’anima, di modo che nei mesi, negli anni quel vissuto ti permetterà di inventare storie belle?
Da studente liceale, mi immaginavo scrittore: un signore vestito di lino bianco, perennemente seduto allo stesso tavolo di una trattoria romana (o milanese), con un bel pergolato durante la bella stagione, intento a conversare davanti ad un piatto di salumi ed un vinellino profumato, con gli eredi naturali di Achille Campanile, di Marchesi, di Flaiano, mentre poco distante il nuovo Fellini parlottava sottobraccio con il Mastroianni del terzo millennio e al momento del caffé ci raggiungeva Letizia Casta (proprio lei, che non ha niente da invidiare a nessuno).
Invece.
Anni buttati a ingoiare panini contundenti, in compagnia di tre disgraziati come me, un occhio agli ascolti di ieri e uno a Repubblica.it, tanto per vedere con gusto sadico chi é andato male e farselo spiegare dagli addetti ai lavori con l’arma di distruzione di massa del televisivo : il senno di poi.
Il momento in cui diventa chiarissimo a tutti che il comico, che meno di dodici ore prima ti faceva sganasciare, non funziona, non ha mai funzionato e non funzionerà mai e chi l’ha scelto è un coglione; e chiunque si sente autorizzato a spiegarti che la scenografia è tombale, gli ospiti bolliti,il meccanismo non funziona e l’unica cosa carina è la gag con gli animali, che dalla prossima puntata, se mai si farà, dovrà avere un ruolo centrale nello show.
Ma ieri sera per fortuna in onda c’é andato qualche altro poveraccio e quindi tocca a noi adesso sentenziare, leggendo gli ascolti:
– ormai per qualche anno quello lì é morto, ma gli sta bene così impara a sparare sentenze su tutto e su tutti, con quella spocchia da primo della classe che non si capisce da dove gli viene -. Fine della filippica e fine anche di questi schifosi panini;sarà venuta un’idea, un’idea qualunque?Sul tavolo si materializza uno scartafaccio che risulta essere il FORMAT di un realitytutorialcookshowtalentmaking centroamericano, che con le opportune modifiche per adattarlo al pubblico della rete, potrebbe funzionare. Come brillano gli occhi dei dirigenti quando risuona nell’aria la parola format! Quando è nato il format?
Quando ho iniziato con questo lavoro – anche se mio padre che é un operaio in pensione, dunque una persona seria , ogni volta che deve spiegare a qualcuno cosa faccio non sa dirlo e butta là tanto per troncare il discorso, il giornalista – comunque quella volta lì il format non esisteva. Conseguenze: alla tirannide dei capistruttura, che ancora alla metà degli anni ‘80 erano divinità potentissime con diritto di vita e di morte sugli autori, sui conduttori e sui registi; si é sostituita la tirannide dei produttori esterni che sono i proprietari dei format.
All’ora del quinto caffè abbiamo un format e una terna di conduttori all’interno della quale pescare il jolly. Quale andare a vedere prima? Bisogna decidere in fretta, guai mai venisse a qualcuno di noi un’idea originale, in grado di spezzare questo equilibrio. Si parte dal conduttore, tanto per stare in allegria.
Anni fa ho riscritto per gioco la celeberrima divisione in “fasce” che il rag.Fantozzi suggeriva all’Ill.mo e Spett.le Direttore de “Il Tempo” di Roma (“Le lettere di Fantozzi” Rizzoli). Giunto alla V fascia, la divisione originale “studenti di sinistra polli ruspanti e operai”, diventava inevitabilmente “coreografi polli ruspanti e presentatori.”
I tre nomi scritti nel foglietto si riferiscono a professionisti di fascia A/2, nomi abbastanza affermati ma in ritardo di un giro rispetto aquellidimodaoggi , e quindi bisognosi di un collaudo e di una messa a punto nuova.
Bene, a Roma, con un format battente bandiera bananense e un presentatore da scegliere tra una terna malandata.
Quando uscirò di qui, voglio pubblicare un librino illustrato con i disegnini che ciascuno di noi esegue sul foglio bianco durante queste interminabili riunioni .
F. per esempio ne fa di meravigliosi e da quando io ho incominciato a collezionarli prima di cedermeli, vuol essere sicuro che siano “buoni” . All’inizio disegnava solo alberelli striminziti, secchi, piegati dal vento: uno in particolare del 1998, simile alle stampe giapponesi antiche, ne raffigura quattro di alberi in una prospettiva stramba, disegnati con un pennarellone nero che fa ancora più bianco lo sfondo dell’A4, mentre dall’alto getta su tutto una luce sinistra, un piccolo sole rosso fuoco.
Sicuramente quel disegno nacque durante una riunione per uno sponsor. Negli anni, al tema degli alberelli, F. ne ha sempre aggiunto di nuovi: le casette, tutte arroccate medievali, quasi a confondersi una dentro l’altra, le quadrerie, pareti di quadri
piccoli e grandi, la bellissima serie, involontariamente credo ispirata alle città futuriste di Sant’Elia, con grandi autostrade sopraelevate che irrompono dentro stazioni ultramoderne, la serie dei colori una vera cagata fatta con gli evidenziatori. Ma non é che tutte le fasi di un’artista debbano essere ugualmente interessanti,la serie dei volti realizzati con forme geometriche….Da quando si é sparsa la voce che colleziono questi foglietti di riunione vissuta, molti amici me li conservano e me li fanno avere; io li catalogo tenendo sempre al primo posto il disegnino di L. espressamente dedicato a me e riproducente una mia caricatura, nato sui tristissimi tavoli dell’ammezzato del teatro Ariston.
Anche adesso stiamo producendo per la mia collezione: io realizzo la mia solita serie di frecce che partono da un centro e si diramano in tutte le direzioni, spesso incrociandosi tra loro. P. appunta singole parole o singoli spezzoni di frase e li incasella in quadratoni, che colloca a varie altezze del foglio secondo la lezione marinettiana dei mots en liberté. T. disegna facce di porcellini. M. compila elenchi di ospiti in quadricromia.
Rompere lo stallo e partire.
Oltre allo scartafaccio, il funzionario ha lasciato sulla scrivania il DVD del format boliviano, per dare un’occhiata. Gli diamo un’occhiata: riassumendo potremmo dire che è boliviano. Il DVD finisce nell’armadio ministeriale insieme ad altri milleduecento ed il silenzio ripiomba sul nostro tavolo di lavoro. Bisogna partire dal conduttore. Se almeno non si vestissero così! Frase tipica del conduttore: io devo andare in scena allegro, perciò risparmiatemi le rotture di coglioni, i seccatori, le raccomandazioni e i vostri musi lunghi. Se vi vedo tristi, sono triste. Se siete preoccupati mi preoccupo. Se vi distraete mi distraggo.
La sua allegria dipende quindi dalla mia esasperazione. E se lo show andrà male potrà sempre dare la colpa agli autori. Come il saluto che un direttore di rete ci rivolse in quanto autori di un programma di tante estati, fa clamorosamente brutto. Per colpe non esclusivamente nostre. Rivolgendosi a noi poveri disperati, messi in un tavolo vicino al cesso e lontano dalle ballerine, ci ringraziò per aver portato il nostro tocco RUSTICO al programma!
Cosa avrà voluto dire? Sarà stato un complimento? Il conduttore rimuove l’autore che ne é la coscienza critica. D’altronde, ai tempi in cui il presentatore andava in scena con il copione ( ci sono stati anche quelli, milioni di anni fa) ad ogni sbaglio, lo si poteva cazziare orrendamente davanti a tutti, sarte e coreografi compresi; ma se va in diretta con una scaletta approssimativa cosa gli vuoi dire?
E’ lui, semmai che si lamenta di non essere stato avvertito in tempo di un certo cambio di programma o di un qualche dato biografico mancante dell’ospite intervistato. L’ autore può solo prendersi sottili vendette vedendolo in difficoltà davanti all’imprevisto totale; in quel caso dalla sua postazione dietro le telecamere, suggerirà a bassa voce per non farsi capire o scriverà male sulla lavagnetta il suggerimento giusto, dopo aver assaporato ben bene il lampo di terrore negli occhi della sua vittima/carnefice.
Bisogna convocare uno alla volta i presentatori candidati. Comunque, serve un’idea. Così almeno dice qualcuno. Si affaccia nella stanza il produttore: “Ragazzi,attenzione: ogni idea accende un costo!” La prima volta che ho sentito questa frase me la riportò mia moglie, che l’aveva ascoltata da un produttore ad una riunione alla quale lei era presente. Allora risi molto. Solo dopo ho capito che si trattava anche della mia vita ed era ormai troppo tardi per cambiare mestiere. Metti un produttore e all’autore non resta che un penoso elemosinare qualche rivoletto di budget, per fare spettacolo a scapito di costi industriali, casting, collegamenti, scene, uffici stampa, stylist…
Ma se pronti via, tutto il budget che abbiamo a disposizione se ne va in mille e cinquecento voci di spesa, mandiamo in onda la scenografia e morta lì. Purchè non sia tombale. La scenografia. Tanto l’importante é che il programma sia già stato venduto. Ma venduto a chi? Chi se lo compra se ancora non sappiamo cosa c’é dentro, neanche noi che dovremmo inventarcelo? E non é neanche detto che ci riusciamo ad inventarcelo, se questa cappa silenziosa continua ad avvolgere la nostra riunione.
Proviamo a ripartire dall’inizio. Serve una prima serata da inventare in fretta, che costi poco, che utilizzi un conduttore in chiara parabola discendente, possibilmente discenda da un format orrendo, faccia molto ascolto e sia pronta per andare in onda tra due settimane.
Decidiamo domani, in riunione.
Pietro Galeotti