Home Notizie 60 anni di Rai, 25 di Blob. Mi è sembrato di veder la tv

60 anni di Rai, 25 di Blob. Mi è sembrato di veder la tv

Il servizio pubblico boccheggia ancora. L’offerta è cresciuta esponenzialmente, non la qualità. Ma continuiamo a guardar la tv, anche se parole e forme sono in continuo mutamento. Blob vive

pubblicato 9 Giugno 2014 aggiornato 3 Settembre 2020 03:35

Chiunque si sia sintonizzato, venerdì 6 giugno, su Rai3, non può che aver avuto una di due reazioni possibili. La prima reazione possibile è quella di chi non conosce Blob (esiste qualcuno che non lo conosce?) o di chi lo odia (immagino tanti). Scanalare. Fra l’altro c’è Insinna, dei vecchi che pontificano, cose che non si capiscono bene, la solita roba di Blob, una scala con su scritto “scaletta”, un po’ di tette e culi ci sono, ma cambiamo canale comunque.

L’altra reazione, l’unica plausibile per un onnivoro televisivo che ama la memoria, la cannibalizzazione del mezzo, il ribaltarne l’estetica ma anche la funzione attraverso la forma, le capriole tipiche di Blob, be’, l’altra reazione è quella dell’ipnotica fruizione, neanche si fosse di fronte alla cartuccia perduta, all’Entertainment, allo samizdat di James Orin Incandenza Jr(*). E’ la reazione che abbiamo raccontato, di pura ammirazione non acritica, di ammirazione sincera anche nel dubbio. Perché Blob è la tv. Blob fagocita la tv e la risputa fuori, la viviseziona (e funziona anche in diretta) e ne costituisce memoria.

Blob festeggia i suoi 25 anni. Proprio nell’anno in cui la Rai (e la televisione italiana, dunque) festeggia i suoi 60. Di questi sessanta, per inciso, quasi un sesto è stato seguito da Tvblog e dai fiumi di parole che spendiamo per parlare di televisione. Fiumi come questo. Perché ci piace, e perché vale la pena parlarne: la tv sarà anche quella cosa che si fa per riempire gli spazi fra un’interruzione pubblicitaria e l’altra, ma questo non significa che la si debba fare male.

Ora sta per iniziare un’estate anomala, di quelle che si replicano ogni quattro anni coi mondiali di calcio: si spegne tutto, tranne i mondiali. Anche se la copertura delle 64 partite sarà su Sky, non sulla Rai. Una Rai sempre più in difficoltà, che nell’ultimo weekend sportivo è riuscita a inanellare una doppietta di figuracce davvero imbarazzanti: prima interrompe sul 4-4 al terzo set la finale femminile del Roland Garros per mandare la Lega Pro (e il Papa). Poi perde il segnale nel corso dell’amichevole di calcio Italia-Fluminense. La prima è una scelta. La seconda un disservizio. Materiale per Blob.

Materiale che mortifica il servizio pubblico, che fa imbufalire i telespettatori.

Scene già viste di una Rai sempre più in difficoltà, non c’è nemmeno bisogno di parlarne, né di ricordare tutte le bordate che ha subito, questa benedetta tv di stato che il mondo nuovo non ama più. D’altro canto è in difficoltà la televisione tutta, non solo la Rai. E’ in difficoltà Mediaset, lo sono le grandi case di produzione, lo è tutto quel golem, quel gigante melmoso dai piedi d’argilla in cui si fanno strada figuri che pensano di aver le soluzioni in mano, che non solo non hanno studiato la teoria ma non vogliono nemmeno pensare alla pratica, che recitano mantra di successo senza avere il minimo gusto per la narrazione. Per la scrittura. Perché la tv è scritta, lo deve essere per natura, piaccia o meno.

L’offerta televisiva, rispetto a 60 anni fa, ma anche rispetto a 15, è cresciuta con una funzione esponenziale che l’essere umano quasi non concepisce: l’offerta si è moltiplicata, fra canali “free” (eccezion fatta per il famigerato canone, naturalmente) e a pagamento. I servizi “on demand” imitano la frammentazione di palinsesto che l’utente si sta abituando a progettare sul web (il concetto stesso di palinsesto fisso, per le nuove generazioni native digitali, è qualcosa di sempre meno concepibile). Il che non significa che sia aumentata la “qualità”. Anzi. Il nuovo che avanza sa di vecchio e stantio. La lezione estera non è stata introiettata, salvo poche eccellenze. La lezione nostrana è già dimenticata.

E “qualità” è un termine di cui ci si riempie fin troppo la bocca, senza conoscerne realmente il significato. Come se pronunciarlo, automaticamente, rendesse “di qualità” il prodotto, come se il “segno” della parola diventasse realtà. Non è così, naturalmente, e chi ne patisce sono i telespettatori. Mi è sembrato di veder la tv davvero poche volte, quest’anno. Sempre meno.

Eppure la tv non è morta, ma di sicuro non sta tanto bene. Blob, invece, gode di grandissima salute perché si nutre dei malanni della tv stessa. Evviva Blob.

(*) Il riferimento è, naturalmente, a Infinite Jest di David Foster Wallace. La televisione di Ghezzi è quanto di più simile a un montaggio sinaptico alla Wallace che io abbia mai avuto occasione di vedere.