Pupi Avati, pro e contro la tv (a seconda degli interessi)
Il rapporto tra grande e piccolo schermo è sempre stato tra i più tormentati. La contraddizione tra due mondi così reciprocamente diffidenti eppure impossibilitati a stare lontani è esplosa con il fenomeno dei divi della tv prestati all’obiettivo cinematografico. Tra i convertiti (o addirittura ispiratori) di un costume sempre più radicato vi è Pupi Avati,
Il rapporto tra grande e piccolo schermo è sempre stato tra i più tormentati. La contraddizione tra due mondi così reciprocamente diffidenti eppure impossibilitati a stare lontani è esplosa con il fenomeno dei divi della tv prestati all’obiettivo cinematografico. Tra i convertiti (o addirittura ispiratori) di un costume sempre più radicato vi è Pupi Avati, che in ben due film ha puntato su una stellina della televisione come Vanessa Incontrada, ma ha anche accolto a braccia aperte una reduce dal teleromanzo come Vittoria Puccini (nel caso di Katia Ricciarelli è avvenuto il processo inverso, perché dopo la consacrazione filmica ha pensato bene di darsi al reality o di riciclarsi in fiction dalla dubbia qualità).
Peccato che Avati rientri nella classica categoria ‘vorrei snobbare la tv ma non posso’ e, soltanto quando viene colto in flagranza di reato, non può che esprimere disappunto e sconcerto per gli stravizi catodici:
“Guardo pochissimi programmi. Mi piace molto Otto e mezzo su La7, seguo lo sport, Sky Tg24 e i documentari sul satellite. Il cinema in tv non riesco a vederlo. Quando ho visto delle telerisse, non ho cambiato canale, sono rimasto basito. Ormai mi annoiano quasi subito anche i talk show politici, che sono molto prevedibili e hanno perso la capacità di stupire. Si dovrebbe ridurre il numero dei reality show, dei talk show e dei finti processi. Ci vorrebbe un po’ più di pulizia e ispirarsi di più alla Tv satellitari. Il mio rapporto con la generalista finisce con le news”.
Ma ha ancora senso contestare sempre le stesso cose? Aggiustare il disco rotto non sarebbe male visto che, anzichè essere tratte da un’intervista per l’ultimo numero di Visto (non di Ciak o dell’Espresso per intenderci), queste polemiche potrebbero risalire al mese scorso come a diversi anni fa.
I reality sono stati ridotti, ma non perché fossero trash: era il meccanismo a non funzionare più. E vedere Avati che si arrampica sugli specchi fingendo di non ricordare è piuttosto snervante (soprattutto se qualche nome dalle sue memorie televisive spunta eccome):
“Chi ha vinto la prima edizione del Grande fratello? Mi pare Taricone. La prima edizione dell’Isola dei famosi? Quel cantante bestiale che urla, aggressivo al massimo, Adriano Pappalardo. Oppure Al Bano. Non conosco il significato del termine tronista, mi offenderei se mi chiamessero tronista o velina. Mi sembra molto modesto avere come progetto quello di diventare velina”.
Caro Pupi Avati, come si fa a giudicare aberrante qualcosa che non si conosce? Come è possibile non conoscere il significato di un termine ma sentirsene offeso? E come mai Elisa di Rivombrosa è finita in un suo film proprio nel momento in cui la sua popolarità televisiva era alle stelle (si dice che sia stata proprio questa la pecca della scarsa credibilità di Ma quando arrivano le ragazze?). E come mai ha riesumato per le sue pellicole Johnny Dorelli, personaggio consacrato da Sanremo e dal varietà, o Antonio Albanese e Neri Marcorè, freschi freschi di comicità televisiva? Per non parlare dell’attore chiamato per la sua prossima creatura, nientemeno che Ezio Greggio, mattatore per eccellenza di Striscia la notizia. Va detto, in chiusura, che il risentito autore di questo post è un grande estimatore de Il Cuore Altrove e della maestria nella regia di Avati. Da cui ci si aspetterebbe soltanto un pizzico di coerenza in più, visto che reclutare attori dall’appeal televisivo fa parte del gioco. Un gioco di cui, a quanto pare, non può proprio fare a meno (come tutti gli intellettuali radical-chic del resto):
“Quando la tv è rotta in casa nostra qualche problema c’è. La casa si svuota di una presenza. Anche se non sono un telespettatore, sono dipendente dal fatto che la televisione deve funzionare”.