Alla fine ha vinto “la mucca che guarda i treni passare”. Così Flavio Briatore aveva definito i limiti di Alice Maffezzoli, la vincitrice della seconda edizione di The Apprentice Italia. Una “trascinata”, più che trascinatrice, la stagista perfetta da rappresentanza, nonché l’alternativa in gonnella al damerino ossequioso, Francesco Menegazzo.
Alla fine Briatore elimina sempre i suoi alter ego, come Matteo Gatti (con la sua “giacca vista culo”) o Fabio Cascione (jolly della finale per la sua simpatia travolgente), temendo di sembrare rozzo come loro. Ma in Muhannad Al Salhi può aver visto uno troppo tosto, che sapeva più lingue di lui ed era più acuto di lui. Non a caso gli ha fatto capire che si stava scavando la fossa da solo a furia di contrariarlo.
Così ha fatto vincere la classica bionda, “che è più bella quando sorride”. Nata a Sabbioneta, in provincia di Mantova, il 13 Luglio 1984, a 19 anni si trasferisce a Pavia per intraprendere gli studi di Ingegneria Elettrica e a 24 anni si sposta in Danimarca per gli studi di Ingegneria Meccanica. Attualmente nel weekend frequenta un Master in Business Administration al MIP Politecnico di Milano. Appassionata fin da piccola di matematica, si è sempre considerata un tecnico, ma da qualche anno ha scoperto il suo lato commerciale. Attualmente ricopre il ruolo di Responsabile Commerciale in un Gruppo leader nelle tecnologie per l’energia e l’automazione. Le caratteristiche che le hanno permesso di emergere in un mondo prettamente maschile sono: precisione, puntualità, determinazione e autostima.
Alice ha ora la straordinaria possibilità di iniziare la propria carriera professionale lavorando a fianco di Briatore in una delle sue aziende, con un ruolo di rilievo e un importante stipendio a 6 cifre.
Difficile ipotizzare che The Apprentice possa avere un futuro. Quest’edizione è andata in onda nell’anonimato generale (ora sperano di risollevarsi la media col passaggio in chiaro su Cielo, da aprile) e l’equivoco vero sul format continua a essere lo stacco troppo grande tra la tensione del business e l’umorismo involontario di Briatore. Uno che meriterebbe di restare su SkyUno in un programma demenziale con la Gialappa’s Band, con le sue frasi motivazionali trash-cult.
Tutto il resto è pricing, packaging, autoreferenzialità della Finale a New York (a risollevare il ritmo ci ha pensato l’aiutante Joe Bastianich, direttamente da Masterchef). Insomma, two balls.
P.S. Simone Avogadro è il nuovo mito del sottoscritto. Perché non parla mai come quello di Fabio e Mingo. Il Boss lo ringrazia perché lui sta lì, zitto, o tutt’al più lo asseconda. E’ lui il manager perfetto.