Lo share dei programmi? No. Conta lo share degli spot
Immagino che quando fu fondato l’Auditel ci fossero le migliori intenzioni – condite da immotivatamente cieca fiducia nella scienza statistica – per utilizzarlo come unità di misura quantitativa/qualitativa dei programmi televisivi.Qualcosa però non deve aver funzionato: è tutta “colpa” dei pubblicitari, che hanno visto nell’Auditel stesso un sistema infallibile per capire quante persone potessero vedere
Immagino che quando fu fondato l’Auditel ci fossero le migliori intenzioni – condite da immotivatamente cieca fiducia nella scienza statistica – per utilizzarlo come unità di misura quantitativa/qualitativa dei programmi televisivi.
Qualcosa però non deve aver funzionato: è tutta “colpa” dei pubblicitari, che hanno visto nell’Auditel stesso un sistema infallibile per capire quante persone potessero vedere i loro spot, cosa che poi ha generato lo share minimo garantito, i risarcimenti, i periodi fuori garanzia e compagnia cantante.
Allora, però, sorge un dubbio: considerato il fatto che la serrata guerra dei punti percentuali serve sostanzialmente per vendere pubblicità, considerato il fatto che nessuno si sogna di usare l’Auditel come indice qualitativo, né la cosa interessa a chicchessia, è più utile sapere quanta gente guarda uno show o una serie tv oppure quanta gente si sorbisce gli spot?
Perché far contratti sulla media di share di uno show, quando questo vuol dir ben poco nella media di share di un break pubblicitario? Certo, i dati sono ricavabili dalla curva minuto per minuto, ma non sono pubblici. E soprattutto, non è sulla base di quei dati che si fanno i contratti.
Anche in America devono averci pensato. Ecco perché – ne parla la Reuters – il vecchio sistema di misurazione della Nielsen Media Research sta per essere rivoluzionato, mostrando quanta parte degli spettatori resterà in visione durante le pause pubblicitarie.
Mi pare una scelta assolutamente coerente e necessaria. Dopo il continua, vediamo insieme le reazioni negli States, visto che in Italia nemmeno se ne parla. Sapete, in America hanno i DVRs (digital video recorder), e gli spot li possono bypassare. Così, mantenere lo spettatore anche durante gli spot diventa essenziale. Prima però, cerchiamo di capire cosa ne pensate voi.
ABC, NBS, CBS e Fox hanno avuto reazioni positive al questo cambiamento epocale, che si traduce con il commento del presidente del reparto Vendite e Marketing della ABC, Michael Shaw:
The network that delivers the high commercial ratings… will attract the highest amount of ad dollars.
E quanto sia diventato strategico mantenere gli spettatori durante gli spot, lo dimostra la decisione della ABC stessa di inibire il “fast-forward” durante i break dei programmi on demand. E così, che fare?
Si stanno studiando le possibilità di realizzare spot seriali, con storyline orizzontali e personaggi fissi che catturino l’attenzione degli spettatori.
Fox ha inserito nei breal una mini-sit-com dal titolo Oleg, la storia di un tassista, mentre la NBC ha annunciato che applicherà la stessa tecnica realizzando dei microepisodi con Jerry Seinfeld (sic!) per la General Electric Co. Ovviamente, gli sketch non avranno un orario prestabilito di messa in onda.
Del resto, uno dei dirigenti NBC (Randy Falco, CEO di AOL) afferma senza timore di essere smentito:
You can’t keep slamming people over the head with the same commercials all the time.
Va a finire che negli States rifaranno Carosello (in versione random magari). Forse qualcuno dovrebbe registrare il format, no?