Boris, serie “autocritica” (che denuncia i propri limiti)
Il destino catodico di Boris è inesorabilmente legato al pesciolino rosso che ne fa da mascotte. Il classico animale domestico che, nonostante i buoni propositi e le premure per preservarne la longevità, è destinato ad avere vita breve. Trasformate la fiera faunistica in una conferenza stampa e il gioco di parallelismi è fatto: l’entusiasmo per
Il destino catodico di Boris è inesorabilmente legato al pesciolino rosso che ne fa da mascotte. Il classico animale domestico che, nonostante i buoni propositi e le premure per preservarne la longevità, è destinato ad avere vita breve. Trasformate la fiera faunistica in una conferenza stampa e il gioco di parallelismi è fatto: l’entusiasmo per vendere il prodotto e per goderne nell’immediato dei frutti è seguito in entrambi i casi dalla disillusione per l’affare sfumato, sia per i produttori che per i telespettatori.
Negli accattivanti promo Boris veniva definita una fuori serie che si fa riconoscere. E infatti non passa decisamente inosservata. E’ sorprendentemente curioso – anche se non propriamente originale – vedere una fiction che irride se stessa, le leggi del proprio esistere in quanto finzione pagata, il proprio codice linguistico e narrativo.
In Boris, in quanto ad animali da set colti in tutta la loro primitiva bestialità, ce n’è per tutti i gusti, dal divo pieno di sè alla starlette svampita passando per lo stagista-zimbello di turno, completamente allo sbando in un set isterico e in preda a un insensato delirio di onnipotenza.
Questo crea ritmo, dialettica, non-sense a suo modo intriso di una sua carica sferzante e forse persino brillante. Trovare tra gli altri un insospettabile Dipollina nel calderone di citazioni e sfottò metatelevisivi strappa persino un sorriso di complicità, favorisce il consenso di un pubblico stuzzicato nella propria cultura del mezzo.
Boris nasce, dunque, come un’autocritica funzionale ad elevarsi rispetto al genere di appartenenza, grazie alla capacità di svelare le ipocrisie che si celano dietro la macchina da presa. E, proprio perchè lo sfottò è autoreferenziale, si candida da sè, in modo un po’ ruffiano, al titolo di prodotto intelligente, lungimirante, di qualità.
Per quella mentalità un po’ italiana e a cazzo di cane (parole non nostre, ma prese in prestito dal dissacrante diizionario della serie), va a finire che parlar male degli altri e del piatto su cui comunque si sta mangiando è sempre meglio che mettersi in discussione ed esporsi con dei propri contenuti.
Perchè, come scritto tra le righe da Dipollina, questa volta quello vero in carta e ossa, si corre il rischio che a rubarsi tutta la scena sia proprio Gli occhi del cuore 2, il prodotto di bassa lega ma pur sempre di budget ridotto che fa da cornice denigratoria durante le riprese della stagione stagione.
Le scene sconclusionate su cui è incentrato l’intento caustico di Boris funzionano da sè come sketch ad alto tasso satirico, un po’ come i trailer parodiati dalla Gialappa’s o le clip fintamente promozionali di Gene Gnocchi.
Tolti questi inserti umoristici, la serie pare offrirci un’autoanalisi dei propri limiti, di quanto effettivamente scarsi debbono essere stati gli investimenti di Fox e di quanto convenga, con l’alibi dello sfottò seriale, girare tutto in una topaia e risparmiare sulla sceneggiatura (tanto prendersi gioco del più o del meno viene un po’ naturale a chiunque in qualsiasi set televisivo e non c’è bisogno di un copione per questo).
Se poi considerate che a mettere alla berlina i propri colleghi sono due attori in erba come Pietro Sermonti e Carolina Crescentini, dal profilo artistico non molto diverso da quello ‘pompato’ dei personaggi interpretati, allora, forse, ci sarebbe poco da ostentare (la stessa Crescentini si presta di suo alla parte della cagna come potete vedere nel video in coda al post).
Prima di arrivare a parlar male degli altri bisognerebbe avere dei buoni motivi per ritenersi superiori (magari proprio un Macbeth a teatro anzichè Un Medico in famiglia con lo spirito prendo il bottino e scappa o Notte prima degli esami 2 – la vendetta del luogo comune).
Dunque, quel che manca a Boris, in certi passaggi, è proprio la credibilità, il potersi permettere la boria nei confronti della categoria, la coscienza dei propri handicap, spacciati per punti di forza di una campagna autocelebrativa che ha invaso i manifesti pubblicitari come le pagine dei giornali senza rinunciare allo spamming via blog (che è un po’ il vecchio passaparola).
Giusto per non scontentare proprio tutti, in chiusura, va detto che Caterina Guzzanti e l’esordiente Alessandro Tiberi (l’ultimo arrivato che ci racconta il set dalla sua prospettiva) meritano qualcosa in più. Magari una fiction vera e fatta bene (non solo perchè sparla di quelle fatte male).
Carolina Crescentini che recita (?!?) la parte della cagna